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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

Una vita di ricerche per conoscere chi sono.

  

1948, Nasce la GUERRA FREDDA

Al termine del secondo conflitto mondiale, logoratasi la grande alleanza contro le potenze dell'Asse, cala sull'Europa lo spettro della Guerra Fredda. La grande rivalità tra USA e URSS congelerà la storia del continente per quarant'anni.

Al termine della Seconda Guerra Mondiale il crollo del Reich hitleriano, lo sfinimento di Inghilterra e Francia, e al contempo la crescita di potenza degli USA e l'estensione dell'Impero Sovietico vengono a determinare le condizioni per un nuovo scontro a livello mondiale. L'Europa in rovina sembra ormai solo una preda da cogliere. La comparsa sulla scena mondiale dell'arma nucleare contribuisce a sconvolgere i rapporti di forza, fornendo agli USA i mezzi per tenere a freno l'espansionismo dell'URSS in Europa. Questa relativa posizione di stallo provoca la nascita della cosiddetta "Guerra Fredda", un conflitto silenzioso e (apparentemente) senza vittime belliche le cui conseguenze generano un nuovo sistema di relazioni internazionali e marcano in modo significativo anche lo spirito pubblico. 

L'attacco all'URSS, lanciato dai Tedeschi il 22 giugno 1941, aveva dato una nuova dimensione alla guerra, iniziata due anni prima da Hitler, dopo il patto germano-sovietico (Ribbentrop- Molotov) del 23 agosto 1939. La Russia staliniana, trasformata dall'aggressione tedesca in alleata delle democrazie occidentali, ne riceve immediatamente i benefici per mezzo del considerevole aiuto americano. 
Nel corso del conflitto, però, fra le potenze alleate emergono da subito rilevanti divergenze. Gli USA, entrati in guerra nel dicembre 1941, rifiutano di riconoscere la trasformazione degli stati baltici in repubbliche sovietiche, mentre gli alleati britannici rimangono particolarmente attenti e sensibili alla futura sorte della Polonia. Contro la resistenza patriottica nazionale, che riconosce l'autorità del Governo in esilio polacco a Londra, Stalin gioca la carta del poco rappresentativo governo fantoccio filosovietico(il "Comitato di Lublino"). 
Queste divergenze non impediranno comunque ai tre grandi di incontrarsi una prima volta a Teheran nel dicembre 1943. Il clima di euforia derivato dalle prospettive di vittoria - l'Italia era uscita dalla guerra, la Russia aveva iniziato la riconquista dell'Ucraina - induce i partecipanti al summit ad evitare di proporre questioni spinose. Su una cosa tutti sembrano d'accordo: la capitolazione della Germania senza condizioni e l'occupazione futura del suo territorio. Nel corso dei mesi successivi all'incontro di Teheran, gli interessi degli Alleati iniziano a divergere su numerosi punti. 

In Polonia, l'insurrezione di Varsavia, scatenata nell'agosto 1944 dalla resistenza nazionale, viene schiacciata dai Tedeschi, mentre le truppe del generale Rokossowsky rimangono a guardare. I problemi logistici invocati a giustificazione di un tale atteggiamento da parte dei Sovietici non riescono a mascherare la ferma volontà di Stalin di lasciare annientare un movimento di resistenza in grado di poter assumere in futuro la guida di quel paese. La vittoria tedesca in effetti apre definitivamente la strada al Comitato di Lublino, ormai libero dai condizionamenti di un pericoloso rivale. Questo drammatico episodio è altamente rivelatore delle vere intenzioni dei Sovietici in Europa orientale e nei Balcani, dove Stalin ha la ferma volontà di creare una fascia difensiva che possa impedire nel futuro una aggressione sul tipo di quella tedesca del 1941. 
Questo prospettiva rende particolarmente ansioso Churchill il quale, più realista di Roosevelt, desidera inizialmente, rispetto ad uno sbarco ad occidente, uno sbarco nei Balcani o un'avanzata dall'Italia verso l'Austria e la Jugoslavia, al fine di precedere l'Armata Rossa nell'Europa centrale. Mentre Stalin aveva qualificato come "criminali" i capi degli insorti polacchi vinti alla fine del mese d'agosto dai Tedeschi, le forze vittoriose sovietiche favoriscono l'instaurazione in Bulgaria di un regime dominato dai comunisti. L'atteggiamento adottato dai Britannici spingeva nei fatti il padrone del Cremlino ad assumere rapidamente questo genere di iniziative. 

Nel mese di maggio del 1944 Anthony Eden aveva proposto al "piccolo padre dei popoli" uno scambio Romania contro Grecia: il primo di questi paesi entrava nell'ambito della sfera di influenza sovietica, mentre il secondo doveva rimanere sotto quella inglese. In effetti la situazione ellenica preoccupava non poco il Governo di Londra. Mentre il Re dei Greci si era rifugiato ad Alessandria, dove aveva stabilito un governo in esilio, appoggiato dalla resistenza non comunista (EDES), i comunisti dell'ELAS avevano costituito nel marzo 1944 un Comitato di Liberazione Nazionale. Sebbene fosse intervenuto nel settembre 1944 un accordo per conciliare le varie tendenze la questione greca era ben lungi dall'essere risolta. I Britannici, fedeli alla loro tradizionale politica nel Mediterraneo, temevano soprattutto che un potere comunista installato ad Atene, avrebbe potuto offrire all'URSS quell'apertura sui "mari caldi", obiettivo della politica russa fin dal 1700. La situazione greca si aggrava effettivamente nel corso dei mese seguenti e nel dicembre 1944 Atene diventa il teatro, per diverse settimane, di una vera e propria guerra nelle strade che obbliga gli Inglesi ad intervenire. 
Qualche settimana prima, il 9 ottobre, Churchill aveva concluso con Stalin, a Mosca, il famoso "accordo delle percentuali" relativo alle ripartizioni delle zone di influenza rispettive dell'URSS e della Gran Bretagna nei Balcani ed in Europa centrale (90% per l'URSS in Romania, 75% in Bulgaria; 50% in Ungheria e Jugoslavia, mentre l'influenza inglese doveva avere il 90% in Grecia). Indubbiamente un accordo surreale, specie agli occhi dei Sovietici, stipulato due mesi prima della visita del generale De Gaulle, giunto a Mosca per negoziare la lealtà dei comunisti francesi, in cambio del riconoscimento del Comitato di Lublino in Polonia, nonché l'autorizzazione a Maurice Thorez a rientrare in Francia per far parte, come vicepresidente del Consiglio, del nuovo governo. 

Ed è proprio in questo clima di pesante incertezza che si tiene in Crimea, dal 3 all'11 febbraio 1945, la Conferenza di Yalta. I tre Grandi si accordano sulla convocazione, il 25 aprile seguente, della Conferenza di San Francisco, deputata a mettere le basi dell'ONU, l'organizzazione internazionale delle Nazioni fortemente voluta da Roosevelt. La Francia non è rappresentata, eppure si vede attribuire, grazie all'abilità di Churchill, una zona di occupazione in Germania. L'URSS ottiene la possibilità di conservare i territori polacchi annessi nel 1939, oltre alla assicurazione che la Polonia possa compensare tali amputazioni con ingrandimenti territoriali ad ovest a spese della Germania, fino alla linea dell'Oder-Neisse. Stalin ottiene ugualmente il riconoscimento del "Governo" polacco di Lublino, che deve costituire, con quello di Londra, un "Governo provvisorio polacco di unità nazionale". Egli si impegna infine ad entrare in guerra contro il Giappone entro tre mesi dalla fine del conflitto in Europa. 
La dichiarazione sull'Europa liberata, preparata da Roosevelt, prevede che i tre grandi: «aiuteranno in comune accordo i popoli dell'est europeo liberati o i vecchi stati satelliti dell'Asse, presso i quali, a loro giudizio, la situazione imporrebbe la formazione di governi provvisori largamente rappresentativi di tutti gli elementi democratici che si impegneranno a instaurare, il più presto possibile, attraverso libere elezioni, dei governi secondo la volontà dei popoli .». L'adesione di Stalin a questa dichiarazione sorprende positivamente Roosevelt, cui peraltro stava molto più a cuore la costituzione dell'ONU. Lo stesso Churchill, anche se decisamente diffidente nei riguardi del Cremlino, rientra da Yalta con «l'impressione che il maresciallo Stalin ed i dirigenti sovietici desiderano vivere con amicizia e nella stessa dignità con le democrazie occidentali. Credo che essi abbiano una sola parola.». Nello stesso tempo Vishinsky, l'organizzatore dei processi staliniani, arrivava a Bucarest per imporre la propria volontà al Re Michele. Questi viene costretto a rimpiazzare il Primo Ministro Radescu con Petru Grozea, un vecchio militante comunista, cui viene affidato anche il Ministero degli Interni. I dirigenti dei partiti tradizionali vengono arrestati nel corso dei giorni seguenti e la Romania inizia così la sua lunga discesa nella notte del totalitarismo comunista. 

La situazione polacca presentava non pochi aspetti preoccupanti, tali da riportare Churchill nel solco di un maggiore realismo. Stalin, contrariamente agli impegni presi, rifiuta ogni allargamento del Governo di Lublino con elementi di quello in esilio, denunciando le ingerenze occidentali come «un insulto alla dignità nazionale polacca». Prendendo atto che ormai si trattava «del crollo completo di tutto quello che era stato stabilito a Yalta», il primo Ministro britannico sollecita il diretto intervento di Roosevelt. 
Il 12 aprile 1945, la morte improvvisa di Roosevelt porta alla Casa Bianca il Vice Presidente Harry Truman, un piccolo commerciante del middle west che era solito paragonare Stalin ad Hitler. La scomparsa dei maggiori dirigenti polacchi non comunisti - attirati in un tranello e spediti in detenzione nell'URSS - non contribuisce certo a modificare le proprie convinzioni. Nello stesso momento gli eserciti, americano e sovietico, si incontravano sull'Elba a Torgau, nel cuore della Germania sconfitta. Dal giorno successivo alla firma dell'Armistizio (8 maggio), Truman sospende le consegne di materiali all'URSS, un fatto mal digerito a Mosca. Il mese seguente, in occasione dell'assemblea costitutiva dell'ONU a San Francisco, i sovietici ottengono solo tre seggi nell'Assemblea Generale (Russia, Bielorussia ed Ucraina), a fronte di una pretesa di ben quindici, tanti quanto il numero delle repubbliche socialiste sovietiche. 
La Conferenza di Potsdam (17 luglio-2 agosto 1945) conferma la reciproca diffidenza stabilitasi fra Stalin e gli interlocutori occidentali. Truman ha rimpiazzato Roosevelt e Churchill, battuto alle elezioni, lascia il posto al laburista Clement Attlee. La Conferenza fissa l'ammontare delle riparazioni tedesche e decide il processo dei dirigenti nazisti tedeschi nella cornice del Tribunale di Norimberga. Un consiglio dei Ministri degli Esteri deve preparare i trattati per restaurare la pace con i paesi vinti. Viene infine lanciato un ultimatum al Giappone, qualche giorno dopo il successo dell'esplosione sperimentale della prima bomba atomica nel deserto del Nuovo Messico. Viene anche fissato l'ammontare delle riparazioni tedesche, destinate per metà all'URSS. 

Il possesso dell'arma nucleare, della quale vengono constatati i terrificanti effetti a Hiroshima e Nagasaki il 6 ed il 9 agosto 1945, sconvolge gli equilibri del dopoguerra a vantaggio degli USA. Mentre Roosevelt era sembrato rassegnato di fronte ad una certa egemonia dell'URSS nell'Europa continentale, Truman si trova a disporre di mezzi e convinzioni per opporsi adeguatamente alle ambizioni staliniane. 
Le tensioni appaiono in tutti i loro contorni nel corso del 1946. I Sovietici respingono il Piano Baruch, presentato all'ONU, mirante a un controllo internazionale sugli armamenti nucleari mentre Churchill pronuncia il 5 marzo il celebre discorso nel quale denuncia la "cortina di ferro" abbattutasi sull'Europa. Allorché gli Americani vengono a beneficiare, grazie all'arma nucleare, di un rapporto di forze favorevole, essi si trovano in condizioni di imporre diversi colpi d'arresto alle ambizioni sovietiche. 
E' il caso dell'Iran. Contrariamente alle promesse fatte a Potsdam, i Russi rifiutano di evacuare le regioni del nord del paese che hanno occupato sin dal 1941. La fermezza dimostrata dagli Americani consente il recupero di quei territori e le elezioni del 1947 portano al governo l'anglofilo Hakimi. Nello stesso tempo, Molotov effettua pressioni sulla Turchia, per ottenere una base sulla costa dell'Egeo. Nell'agosto 1946 una potente flotta americana incrocia nelle acque del Mediterraneo orientale nell'intento di far capire ai Sovietici che Washington non tollererà alcun tentativo contro l'integrità territoriale della Turchia. 
In Grecia, gli accordi conclusi a Varkiza agli inizi del 1945 avevano fatto sospendere lo scontro armato, ma il conflitto è tutt'altro che terminato. Nella primavera del 1946 l'astensione massiccia degli elettori di sinistra attribuisce una larga maggioranza alla destra ed un referendum tenutosi nel successivo mese di settembre sancisce la restaurazione della monarchia. Tuttavia la guerriglia comunista - appoggiata ai "santuari" installati in Albania, Jugoslavia e Bulgaria sovietizzate - prosegue la sua lotta. La situazione appare in tutta la sua gravità in quanto l'URSS, non essendovi direttamente implicata, non poteva essere richiamata all'ordine come nei casi dell'Iran e della Turchia. Poiché l'Inghilterra non avrebbe potuto mantenere sul posto i 40 mila uomini del generale Scobie, saranno gli Americani a prendere il loro posto. La cosa diventa realtà il 12 marzo 1947 quando Truman, annunciando la dottrina che porta il suo nome, decide di porre gli USA alla testa del mondo libero. La Grecia si vede attribuire 250 milioni di dollari di aiuti e la Turchia 150 milioni. 

I comunisti greci, nell'intento di prendere sul tempo gli occidentali, proclamano nel dicembre 1947 un Governo della Grecia libera, ma la sconfitta militare dell'ELAS appare inevitabile, tanto più che nel luglio 1948, Tito smette di concedere il suo sostegno alla guerriglia. I comunisti greci, ricacciati nel nord del paese, saranno costretti a dichiararsi vinti nell'ottobre 1949 riparando in Bulgaria ed in Albania. 
Nel corso degli stessi anni, gli avvenimenti dell'Ungheria, della Bulgaria e della Romania la dicono lunga sulla maniera con la quale Stalin ed i suoi alleati locali interpretano la democrazia. In Ungheria le elezioni del novembre 1945 avevano dato 70 seggi ai comunisti (contro i 245 al partito dei contadini, 49 ai socialdemocratici e 23 ai nazional-popolari), ma un comunista occupava il Ministero degli Interni. Nell'agosto 1947, Lazlo Rajk prende il potere per instaurare un regime di "democrazia popolare" mentre il leader del partito dei contadini viene arrestato direttamente dai Russi. Nel corso dello stesso anno i dirigenti dei partiti contadini rumeni e bulgari, Maniu e Petkov, vengono a loro volta arrestati. Petkov viene impiccato con l'accusa di complotto. Nel mese di gennaio 1947 elezioni largamente truccate fanno entrare la Polonia nell'orbita sovietica e nello stesso anno, in Francia, il socialista Paul Ramadier allontana i comunisti dal suo governo, mettendo fine al tripartitismo (comunisti, socialisti e democratici cristiani) che aveva dominato la vita politica francese sin dalla Liberazione. Anche in Italia i comunisti vengono allontanati dal potere. 

In questo momento interviene - per iniziativa del generale Marshall, succeduto a James Byrne al Dipartimento di Stato - la proposta americana di aiuti all'Europa, per assicurarne rapidamente la ripresa economica. Stalin ed i suoi alleati europei respingono la proposta, che interpretano come l'espressione di una volontà "imperialista". Dal luglio 1947 la divisione dell'Europa in due è ormai una realtà. Nel corso dello stesso mese George Kennan definisce nella rivista "Foreign Affaires" la "Dottrina americana del Contenimento". Gli Jugoslavi, dopo aver annunciato la loro intenzione di occupare Trieste, debbono, il 15 settembre 1947, inchinarsi all'ultimatum americano. Tre settimane più tardi, dal 30 settembre al 5 ottobre, la Conferenza di Szlarka Poreba in Polonia sancisce la costituzione del Kominform, nuova riedizione del Komintern disciolto nel 1943 da Stalin al fine di non allarmare i suoi alleati anglosassoni. Il discorso di Andrej Zdanov in tale occasione è rivelatore della nuova situazione mondiale: «Si sono formati due campi nel mondo: da una parte il campo imperialista e antidemocratico che ha per scopo essenziale l'instaurazione della dominazione mondiale dell'imperialismo americano e la distruzione della democrazia; dall'altra il campo antimperialista e democratico, il cui scopo primario consiste nello scalzare l'imperialismo, nel rinforzare la democrazia e nel liquidare i resti del fascismo.». Qualche settimana più tardi in tutta Europa si scatenano violenti scioperi insurrezionali: crisi, queste, che segnano il passaggio all'opposizione dei partiti comunisti dell'Europa occidentale, e avranno un peso relativo nei confronti dei drammatici avvenimenti verificatisi nel corso dell'anno seguente a Praga ed a Berlino. 

La Cecoslovacchia - a differenza dei suoi vicini dell'Europa centrale ed orientale e nonostante la presenza di un potente partito comunista - era riuscita a conservare un regime parlamentare fondato sul pluripartitismo. Uno dei dirigenti del partito cecoslovacco, Rudolf Slansky (che sarà, nel 1949, vittima delle purghe staliniane), spiega ai suoi colleghi del Kominform riuniti a Varsavia che: «occorre eliminare la reazione rappresentata in seno al governo dal fronte nazionale costituito dopo la guerra; in tal modo sarà possibile distruggere definitivamente le speranze che la reazione internazionale ed interna ripone sulla Cecoslovacchia ». Il suo discorso troverà ascolto. Il partito comunista, giunto al potere nel quadro di una coalizione - ma detenendo la Presidenza del Consiglio (esercitata dal Klement Gottwald), e i Ministeri degli Interni, delle Finanze, della Radio, della Difesa - dispone di tutte le carte per imporsi alla testa del paese. Il PC accusa i suoi avversari di voler rovesciare il governo per preparare "elezioni antidemocratiche" e chiama alla piazza i propri sostenitori. Sotto la pressione delle "masse", i ministri liberali sono costretti alle dimissioni il 20 febbraio 1948. Gli ultimi giornali liberi cessano le loro pubblicazioni il 24 dello stesso mese. Gottwald, forte della "volontà popolare" così costruita, ottiene dal Presidente Benes la formazione di un nuovo governo composto di comunisti e loro alleati. Il 23 aprile 1948 la polizia e le milizie sindacali controllano la capitale. Le elezioni previste per il maggio seguente vengono mantenute, ma stavolta gli elettori non hanno altra scelta che votare le liste del fronte popolare, rimaneggiate a seguito della "rivoluzione popolare" di febbraio. Il vecchio Ministro degli Esteri, Jan Masarik, accetta apparentemente il nuovo regime, ma viene trovato suicida poco dopo. Il Presidente Benes morirà nel settembre 1948: il regime organizzerà in suo onore esequie nazionali, grato per aver accordato a Stalin il controllo del famoso quadrilatero boemo, nel cuore dell'Europa (che Bismarck considerava la chiave per il controllo del continente). 

Il "colpo di Praga" contribuirà in larga parte alla formazione del blocco atlanticointorno agli USA, Stalin però non se ne preoccupa troppo: il dittatore sovietico cerca infatti di approfittare del momento favorevole per ottenere ulteriori progressi in Europa. Le potenze vittoriose hanno firmato a Parigi trattati di pace con i diversi paesi alleati della Germania nell'Asse, ma la questione tedesca non ha trovato una soluzione. Di fronte a questo vicolo cieco, gli USA, la gran Bretagna e la Francia decidono, in occasione della Conferenza di Londra dell'aprile-giugno 1948, di organizzare politicamente le loro tre zone di occupazione, preparando a questo scopo la riunione di una assemblea costituente tedesca. Questo fatto apre la prospettiva di una divisione della Germania. Stalin risponde il 24 giugno 1948 interrompendo le comunicazioni stradali e ferroviarie fra i settori americano, inglese e francese a Berlino e la Germania occidentale. Egli è convinto che gli Americani non arriveranno fino alla guerra e pensa di obbligarli a riprendere i negoziati sul destino del paese vinto. 
Gli Americani, senza arrivare allo scontro diretto, accettano la sfida realizzando, per 11 mesi, un gigantesco ponte aereo che consente di rifornire i settori occidentali di Berlino. Stalin, che aveva sottostimato le capacità tecniche dell'aviazione da trasporto (275 mila voli effettuati) decide di togliere il blocco il 12 maggio 1949. E' proprio in questo contesto di estrema tensione che Truman, rieletto nel 1948, può finalmente organizzare il contenimento militare reclamato dagli Europei, molto preoccupati dalle intenzioni sovietiche. 
Mentre il trattato di alleanza concluso a Dunquerque nel 1947 fra la Francia e l'Inghilterra rimane ancora orientato contro una Germania peraltro esangue, quello di Bruxelles firmato fra la Francia e l'Inghilterra e gli Stati del Benelux, l'anno seguente, designa tutti i possibili "aggressori". Il Congresso americano vota, poco dopo, l'emendamento che permette agli USA di impegnarsi in tempo di pace in una alleanza con altri paesi (Risoluzione Vandemberg-Connaly dell'11 giugno 1948) ed il 4 aprile 1949 viene concluso a Washington il Patto Atlantico (che riunisce allora USA, Canada, Gran Bretagna, Norvegia, Danimarca, Islanda, Italia, Francia, Portogallo ed il Benelux, cui si aggiungono successivamente Turchia e Grecia). Questo atto costituisce il preludio per la costituzione, nell'anno seguente, della NATO (North Atlantic Treaty Organisation). 

La creazione della Repubblica Federale di Germania nel settembre 1949 (alla quale i Sovietici rispondono con la creazione della Repubblica Democratica Tedesca nella zona di occupazione russa), viene a confermare l'ormai avvenuta divisione dell'Europa. L'esplosione della prima bomba atomica sovietica nel settembre 1949 (gli Americani faranno esplodere la loro prima bomba H, molto più potente nel 1952 ed i Sovietici faranno la stessa cosa nell'anno seguente) crea di fatto un "equilibro del terrore", che congela per quattro decenni la storia dell'Europa. Tale stato di cose raggiungerà il suo apice quando i Sovietici, nel 1957, saranno in condizione di realizzare dei missili intercontinentali in grado di colpire il territorio americano. 
Diventando ormai impossibile il ricorso alla guerra sul continente europeo, il centro di gravità dello scontro fra i due Grandi si sposta a quel punto verso l'Asia, dove Mao Tze Dong esce vittorioso dalla guerra civile cinese nel 1949. La Guerra d'Indocina assume da quel momento un'altra caratteristica: da conflitto di decolonizzazione, essa diventa il teatro del confronto est-ovest. La Guerra di Corea, che ha inizio nell'estate del 1950, provoca l'adesione del Giappone, sconfitto, nel campo occidentale. 
Ormai si affrontano fra loro due mondi, basati su modelli politici, economici ed ideologici antagonisti: questa situazione perdurerà fino all'inizio degli anni '90, allorché le riforme ingaggiate da Mikhail Gorbacev in concomitanza con la politica di netto confronto degli USA con la presidenza Reagan porteranno al crollo dell'impero sovietico. Dietro gli eventi che hanno portato a questa nuova situazione internazionale, la guerra fredda può apparire carica di nuovi significati. 

Se ci si rifà alla prospettiva della geopolitica classica (Nicholas Spykman) la Guerra Fredda che ha inizio alla fine della Seconda Guerra Mondiale corrisponderebbe alla volontà americana di controllare le periferie del vecchio mondo, il rimland, vale a dire la zona "dell'anello continentale", il cui controllo costituisce una delle condizioni necessarie all'instaurazione di una egemonia mondiale. La "patto-mania" dei primi anni della Guerra Fredda (firma del patto Atlantico, dell'ANZUS con Australia e Nuova Zelanda, del trattato americano nipponico, della SEATO e quella del patto di Bagdad) sembrerebbe confermare questa interpretazione. Occorre però fare molta attenzione ai possibili risultati derivanti da un approccio ormai superato. 
Conviene ricordare che l'America del 1945, fiduciosa con Roosevelt nel ruolo da attribuire alla nuova ONU, si pone primariamente, in materia di politica estera, in una prospettiva wilsoniana, basata sulla instaurazione di un nuovo ordine mondiale, indubbiamente propizio all'esportazione del modello americano, ma lontano dalle logiche di potenza tradizionale. La situazione nella quale si trovavano nel 1945 tutte le potenze del vecchio mondo, aprivano una prospettiva favorevole all'egemonia americana. Gli Americani, con un territorio ed un apparato industriale usciti indenni dalla guerra, assicurano da soli il 60% della produzione mondiale. Saranno poi i governi dell'Europa occidentale a richiedere la protezione americana di fronte alle aggressive intenzioni sovietiche, in special modo dopo il "colpo di Praga", pienamente coscienti della evidente incapacità di assicurarsi da soli la propria sicurezza. Durante questo periodo l'URSS, sebbene percepita come portatrice di un progetto di rivoluzione mondiale, si preoccupa prioritariamente di costruirsi una sfera d'influenza o uno spazio difensivo, che derivano da un approccio classico dei rapporti di forze geopolitiche. Stalin scoraggia pertanto ogni tentazione rivoluzionaria, laddove i comunisti sono abbastanza potenti, come in Francia, in Italia o in Grecia, mentre installa dei regimi fedeli a Mosca nei paesi dell'Europa orientale, dove l'influenza comunista era, ad eccezione della Cecoslovacchia, particolarmente debole. Al contrario l'America, portatrice di un messianismo democratico, caro a Wilson e a Roosevelt, è quella che non tiene conto delle realtà storiche e geopolitiche. 
Sarà però l'esistenza di un nemico globale, nel caso specifico il blocco sovietico, che fornirà improvvisamente agli USA la legittimazione del loro intervento negli affari del mondo. Questo intervento è sollecitato molto spesso da tutti coloro che erano preoccupati dall'espansionismo comunista, esso va però di pari passo con l'instaurazione di uno spazio economico favorevole agli interessi americani. 
La Guerra Fredda, prodotto storico nato dal crollo dell'Europa e dalla comparsa dell'arma nucleare, è stata anche l'occasione per l'America di assumere una dimensione "globale". Dimensione che è stata confermata dal nuovo sistema internazionale nato dagli anni 1990. Nel momento in cui scompare il nemico sovietico ed a partire dal 2001, la nuova minaccia globale costituita dal "terrorismo internazionale" continua tuttavia a giustificare, agli occhi dei dirigenti americani, la necessità di attribuire ancora agli USA lo statuto di "impero indispensabile".

 

  • B. Bongiovanni, Storia della guerra fredda, Laterza, 2009
  • F. Romero, Storia della Guerra fredda. L'ultimo conflitto per l'Europa, Einaudi, 2009
  • J. L. Gaddis, La guerra fredda: rivelazioni e riflessioni, Rubbettino, 2002
  • F. Fejto, Storia delle democrazie popolari, Bompiani, 1977

 


1948, NASCITA della GUERRA FREDDA (di Massimo IACOPI)
(Pubblicato sulla Rivista Storia in Network n. 177/178 - Lug/Ago 2011)

1919: L'EUROPA ANCORA IN FIAMME

Legioni rosse, terrore bianco e corpi franchi: le trincee della Grande Guerra si svuotano ma nel Vecchio Continente le profonde divisioni ideologiche e i contrasti sociali generano un nuovo tipo di conflitto. Una "guerra civile" figlia delle rivalità tra comunismo, fascismo e capitalismo.

L'11 novembre 1918 non riportò immediatamente la pace in tutto il Vecchio Continente, devastato da oltre quattro anni di sanguinoso conflitto. Il 1919 risuona ancora del rumore delle armi al di là del Reno. 
Dal mese di novembre la Germania è scossa dalla rivoluzione. Il 9, a Berlino, mentre dal balcone del Reichstag il socialdemocratico Scheidemann proclama la repubblica tedesca, all'altro capo della città Karl Liebknecht, capo della minoranza pacifista appena uscito di prigione - escluso dal SPD nel 1917 e aggregatosi all'USPD, il partito socialdemocratico indipendente - annuncia dal balcone del castello imperiale la repubblica socialista. 
La rivoluzione russa aveva dato un impulso agli "spartachisti" (Liebknecht firmava le sue "Lettere politiche" come Spartacus) che propugnavano la rivoluzione in Germania. «Il giorno che Marx e il suo amico hanno desiderato con tutto il loro cuore per tutta la vita è alla fine arrivato», spiegano i volantini distribuiti nella capitale. Nell'autunno del 1918, vengono scatenati scioperi massicci e una serie di ammutinamenti scoppiano tra le file della Marina. All'inizio di novembre, a seguito di una manifestazione, si costituisce a Kiel un consiglio di marinai, alla stregua dei soviet russi. L'insurrezione è contagiosa e la bandiera rossa viene sventolata in diverse città tedesche. 

A Berlino in sciopero il governo di Maximilian del Baden lascia il posto al socialdemocratico Friedrich Ebert, dopo l'abdicazione di Guglielmo II di Hohenzollern, 
La socialdemocrazia tedesca risulta però divisa. La maggioranza del partito desidera l'elezione di un'assemblea costituente, mentre l'estrema sinistra, dominata dagli spartachisti, esige l'elezione dei consigli degli operai e dei soldati, «sui quali riposeranno esclusivamente il potere legislativo, esecutivo, l'amministrazione di tutte le installazioni sociali, delle banche e di tutti gli altri beni pubblici». 
L'USPD è diviso: i moderati Haase, Bernstein, Kautsky, ostili agli spartachisti, non vogliono cedere alle pressioni della strada, ma l'ala sinistra degli indipendenti con Ledebour reclama anch'essa l'istituzione dei consigli. Il 30 dicembre 1918 viene fondato il Partito Comunista, il KPD(S): la S esplicita l'origine spartachista del nuovo partito. 
Il dramma esplode nel gennaio 1919, allorché, a seguito di uno sciopero e di alcune manifestazioni, sembra ormai giunta l'ora dell'insurrezione. Questo però non è l'avviso di Rosa Luxemburg né quello di Karl Radek, arrivati da Mosca in missione clandestina: i due attivisti richiamano Liebknecht, molto esaltato, alla prudenza. Tuttavia, a seguito della revoca del prefetto di polizia Emil Heichhorn, personaggio favorevole all'estrema sinistra, gli spartachisti e i loro alleati aderiscono alle manifestazioni che diventano delle vere e proprie prove di forza. Gustav Noske, ministro socialdemocratico della Reichswehr, schiaccia nel giro di pochi giorni l'insurrezione. 
A tal fine Ebert e il ministro si appoggiano sui Corpi Franchi, unità derivate dall'esercito regolare, costituite intorno a dei capi di guerra e fortemente intrise di spirito contro-rivoluzionario. Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, arrestati il 15 gennaio, vengono assassinati dai soldati nel corso del trasferimento in prigione. L'ordine regna ormai sovrano a Berlino. Nelle elezioni che seguono, l'SPD trionfa: passa da 4.250.000 voti del 1913 a 11.500.000, mentre l'USPD ottiene solamente 213.000 suffragi. 
Tuttavia gli scioperi e i disordini rivoluzionari non finiscono. Il 7 aprile 1919 viene proclamata a Monaco una repubblica dei consigli, che sopravvive per tre settimane. I Corpi Franchi continueranno a combattere gli ultimi focolai bolscevichi ancora per un certo tempo. 

Più ad est, il vecchio Impero Austro-ungarico è andato in pezzi sotto la spinta delle rivendicazioni armate delle nazionalità. In Ungheria, le motivazioni nazionali si alleano alle parole d'ordine della rivoluzione sociale. Nell'attesa dei trattati di pace, le diverse nazionalità dell'Europa centrale tentano di allargare al massimo le loro frontiere. Gli Ungheresi, sconfitti, vengono sottoposti agli attacchi degli Slovacchi, dei Serbi e dei Romeni e sono costretti a concedere importanti territori. Il 21 marzo 1919 a Budapest viene proclamata una repubblica di stampo bolscevico, la repubblica dei consigli, sotto la presidenza di Bela Kun. Kun riesce a mantenersi al potere per centotredici giorni, sforzandosi di mettere in atto la dittatura del proletariato secondo il modello leninista. Egli però deve affrontare simultaneamente le forze contro-rivoluzionarie e la guerra all'esterno contro i Romeni e i Cechi. La sorte delle armi, inizialmente favorevole alle "legioni rosse", volge in favore dei loro nemici. Bela Kun fugge a Vienna il 1° agosto, da dove si porterà poi in Russia. L'Ungheria, dopo l'evacuazione del territorio da parte dei Romeni e l'entrata a Budapest dell'ammiraglio Horthy (in novembre) alla testa dell'esercito contro rivoluzionario, diventa il teatro del terrore bianco e della repressione anticomunista. La destra al potere accusa i comunisti e gli ebrei di tutti i mali sofferti dal paese; l'antisemitismo infuria e si verificano molti pogrom, mentre la reazione si insedia con forza nel paese. 

Ancora più ad est, in Russia, la guerra civile non diminuisce d'intensità fra il regime bolscevico instaurato da Lenin e gli eserciti bianchi contro-rivoluzionari. Gli Alleati, che erano intervenuti contro il governo sovietico, iniziano a ritirare le loro truppe: i Francesi si reimbarcano a Odessa nell'aprile 1919, i Britannici evacuano Baku e Murmansk nel settembre. L'Armata Rossa deve comunque far fronte agli eserciti bianchi, specialmente in Ucraina, dove appoggia una neonata repubblica sovietica, proclamata nel marzo 1919 da Rakovski contro il governo nazionalista di Petliura. 

Mobilitando tutte le forze nel "comunismo di guerra", il regime dà un giro di vite: viene introdotto il libretto di lavoro nel giugno 1919, il Partito bolscevico cala il proprio maglio su tutte le istituzioni, a cominciare dai soviet, i partiti non bolscevichi vengono eliminati. Il terrore diventa la regola, la famigerata Ceka, la polizia politica, e i campi di lavoro ne diventano gli strumenti fondamentali. 
Di fronte a questo potere ferreo, i Bianchi mancano di unità di coordinamento e d'azione. I loro errori politici sono addirittura maggiori di quelli strategici: i generali Koltchak e Denikin commettono l'imprudenza di abolire i decreti della Rivoluzione d'Ottobre sulla terra: essi rifiutano qualsiasi compromesso con le forze democratiche, scatenano pogrom in Ucraina, nei quali gli ebrei vengono confusi con i bolscevichi. In definitiva, alla fine dell'anno 1919, l'Armata Rossa di Trotsky ha praticamente vinto la guerra civile. 

Tuttavia, l'idea di Lenin è che la Rivoluzione bolscevica non è altro che la prima scintilla della rivoluzione mondiale. Gli eventi della Germania, dove è stato fondato un primo partito comunista, la crisi della seconda Internazionale, lacerata fra pacifisti e difensori dell'Unione sacra, portano Lenin a improvvisare un Congresso della fondazione dell'Internazionale Comunista (Komintern) agli inizi del marzo 1919. La sfida leninista viene lanciata a tutti i partiti socialisti del mondo. L'Italia viene ben presto attraversata da questa ondata. 
Nel 1919 la penisola si trova in piena crisi. Entrata in guerra nel 1915 sulla base di promesse territoriali, l'Italia viene a scontrarsi, durante il Congresso di Pace di Versailles, con i principi wilsoniani, i famosi "14 punti" sui quali si negozia il trattato di pace. Contrariamente alle promesse, l'Italia non viene risarcita dei suoi enormi sforzi di guerra. Indubbiamente ottiene il Trentino, l'Istria e una parte della costa adriatica, ma non la Dalmazia, come sperava e le era stato promesso. 
La crisi nazionalista si concentra sulla città di Fiume, disputata fra Italiani e Iugoslavi. Il 23 marzo, un ex socialista favorevole all'entrata in guerra dell'Italia, Benito Mussolini, fonda a Milano i Fasci italiani di Combattimento. Nel settembre successivo, dopo la firma del Trattato di Saint Germain che fissa le frontiere dell'Italia, lo scrittore Gabriele D'Annunzio mobilita gruppi di ex combattenti, gli "arditi", all'occupazione di Fiume, di cui proclama l'annessione da parte dell'Italia al grido di "Fiume o morte". 
Nell'ottobre del 1919 il Congresso del Partito socialista a Bologna si conclude con la netta vittoria dei "massimalisti", vale a dire dei partigiani dell'Internazionale comunista. La radicalizzazione della sinistra italiana si accompagna, a novembre, con un enorme movimento di scioperi. Lo stesso mese hanno luogo le prime elezioni a suffragio universale, che vedono il successo di due grandi partiti, il Partito Socialista e il Partito Popolare (democratico-cristiano). Non vi sono però i presupposti per una maggioranza stabile, e la crisi è dietro l'angolo. 

In questo caos nascono due figure emblematiche: il militante rivoluzionario e l'attivista nazionalista. La rivoluzione russa galvanizza coloro che sono indignati dalla guerra: il sogno di un mondo pacificato, riconciliato, fraterno, passa attraverso la rivoluzione. Per il momento, l'invito di Lenin a formare dei partiti comunisti aderenti all'Internazionale comunista lacera i partiti socialisti. In Germania, nel gennaio 1919 le truppe inviate dal governo socialdemocratico spengono i focolai rivoluzionari. 
Un'altra figura vive nelle città in stato d'assedio: quella del guerriero nazionalista, sia esso il moderno lanzichenecco dei corpi franchi tedeschi o il fascista che proviene dai ranghi degli "arditi". Il loro obiettivo è la rivoluzione nazionale e conservatrice. 
Nel 1919 le armi non sono state ancora riposte. La guerra interminabile ha creato le condizioni per una crisi senza fine: il risentimento, le frustrazioni, la collera, la crisi monetaria, il declino economico, il malessere sociale, la dissipazione dei valori sui quali si basavano le democrazie liberali. Le società sono febbricitanti. L'Europa è preda di un cupo pessimismo e la Belle Epoque è ormai un lontano ricordo. A meno che la "luce venuta dall'Est" non divenga per i "dannati della Terra" la speranza tangibile di una nuova umanità. Ma anche questa luce di speranza si rivelerà un terribile "buco nero".

 

BIBLIOGRAFIA
  • A ferro e fuoco. La guerra civile europea (1914-1945), di E. Traverso - Il Mulino, 2008 
    Il secolo breve 1914-1991, di E. Hobsbawm - Rizzoli, 2007 
  • I proscritti, E. von Salomon - Baldini e Castoldi, 2008 
  • Alla festa della rivoluzione. Artisti e libertari con D'Annunzio a Fiume, di C. Salaris - Il Mulino, 2008

1919: l’EUROPA in fiamme (di Massimo IACOPI)
(Pubblicato su Rivista STORIA in Network n. 175, maggio 2011 con lo pseudonimo di MAX TRIMURTI)

TRIPOLI 1804, AMERICANI contro i PIRATI

La giovane nazione degli USA decide di intervenire a migliaia di chilometri dal suo territorio per farla finita con le esazioni dei pirati barbareschi, che catturano navi mercantili ed equipaggi, liberandoli dietro riscatto. Uno scenari molto vicino a quello che si svolge oggi al largo delle coste della Somalia.

Fra le navi americane che oggi incrociano al largo delle coste della Somalia per braccare i pirati c'é anche la USS Bainbridge, un incrociatore inviato dal presidente Barack Obama nel 2009. Č una storia che si ripete, in quanto proprio un ufficiale americano, William Bainbridge, si distinse circa due secoli addietro nella cosiddetta "Guerra contro i barbareschi". 
Agli inizi del XIX secolo, quando l'America aveva appena acquisito la propria indipendenza, una quantità non irrilevante delle importazioni della giovane nazione - in particolare grano e pesce secco - transitava per lo stretto di Gibilterra. Gli equipaggi delle navi mercantili venivano regolarmente bloccati e sequestrati da pirati al soldo dei potentati che regnavano sull'Africa del nord. Per sfuggire a questo stato di fatto esisteva una sola soluzione: pagare. 

Dal 1774 il Congresso degli Stati Uniti aveva stanziato ottantamila dollari per rendere "sicure" le rotte commerciali nel Mediterraneo. Nel 1786 Thomas Jefferson e John Adams, rappresentanti americani a Parigi e Londra, incontrarono un emissario venuto da Tripoli per concludere un accordo in cambio di qualche decina di migliaia di dollari. In quell'occasione Jefferson, diplomatico di alto livello, firmò un trattato con il Marocco. 

Nonostante ciò gli atti di pirateria continuarono. Il Dey di Algeri bloccò due navi americane e reclamò sessantamila dollari per liberare ventun marinai ridotti in schiavitů. Jefferson, incollerito, scrisse a James Monroe, uno degli uomini forti del Congresso, che Ťl'unica soluzione sarebbe quella di disporre di una marina capace di farsi rispettareť. Il diplomatico, forte delle sue relazioni nel Vecchio Continente, imbastì quindi un'alleanza con Portogallo, Regno delle Due Sicilie, Repubblica di Venezia, Malta, Danimarca e Svezia contro i pirati barbareschi. Uno sforzo piů che altro di facciata, perché il diplomatico americano sapeva che le grandi potenze - Inghilterra e Francia - avevano ben altre priorità rispetto al problema di rimettere in discussione il pagamento del tradizionale "tributo" agli Ottomani. Gli sforzi degli Stati Uniti e di Jefferson risultarono vani. I barbareschi continuavano a mostrarsi ogni giorno piů intraprendenti ed esosi. 
Nel 1800 William Bainbridge, uno dei piů brillanti ufficiali della marina americana, fu inviato ad Algeri per una missione che consisteva semplicemente nel pagare un milione di dollari ai pirati. In quello stesso anno, l'equivalente di un quinto del bilancio federale statunitense era assorbito da riscatti e tributi versati ai "padroni" del Mediterraneo. 

Quando nel 1801 Thomas Jefferson venne eletto presidente, gli emissari del Pashà di Tripoli, Yussuf Karamanli, inviarono le loro felicitazioni e chiesero al tempo stesso un versamento di 225 mila dollari. Jefferson, finalmente dotato di pieni poteri, decide quindi di passare all'azione: sarebbe stato il primo atto di forza della sua presidenza in materia di politica estera. 
Senza quasi avvertire il Congresso inviň una flotta a incrociare al largo delle coste del Nordafrica, ma la spedizione si risolse in un fallimento. 
Nel 1803, William Bainbridge (sempre lui) venne fatto prigioniero con tutto l'equipaggio della Philadelphia. Un commando americano, a bordo dell'USS Intrepid, riuscì a distruggere, con un audace raid, la fregata americana nel porto di Tripoli. Questo colpo di mano, condotto il 16 febbraio 1804, costituì la prima azione di spicco nella storia del corpo dei Marines. Bainbridge rimaneva tuttavia prigioniero con i suoi uomini nelle galere del Pashà. 
Ma da quel momento, e per quattro anni, gli Stati Uniti condussero una guerra nel Mediterraneo al fine di ottenere la liberazione degli ostaggi. I successi della US Navy - che bombardò per cinque riprese il porto di Tripoli - suscitarono l'ammirazione dell'ammiraglio di Sua Maestà Orazio Nelson, il quale lodò il "coraggio fuori del comune degli Americani". 
Mentre il Congresso si mostrò alquanto reticente, Jefferson sostenne a spada tratta queste operazioni, che oltretutto consentirono alla giovane nazione americana una grande visibilità internazionale. E le vittime entrarono nella galleria degli eroi: come il capitano Richard Somers, morto in una esplosione con tutto l'equipaggio della USS Intrepid o il tenente Stephan Decatur che incendiň la USS Philadelphia nel porto di Tripoli. 

La piů straordinaria azione di questa campagna fu perň quella di William Eaton. Con una decina di Marines e qualche centinaio di mercenari al soldo di Hamet, fratello del Pashà di Tripoli, questo vecchio console statunitense a Tunisi autoproclamatosi generale, attaccò e conquistò la città libica di Derna al termine di un'incredibile traversata del deserto egiziano. Eaton, precursore di Lawrence d'Arabia, cadrŕ nell'oblio. Ma la presa di Derna, nel maggio 1805, costituě la prima vittoria americana in territorio straniero. Un episodio, questo, che mise fine al conflitto. Il Pashŕ Yussuf Karamanli, preso alle spalle e tradito dal fratello, decise di firmare la pace. Thomas Jefferson ottenne la liberazione di tutti gli ostaggi americani. 
Nel 1806 il presidente americano fece erigere un monumento a Washington (successivamente trasferito nell'Accademia Militare di Annapolis) in omaggio agli eroi di Tripoli. Un riscatto di 60.000 dollari venne comunque pagato al Pashà che ottenne dagli Americani anche la promessa di abbandonare il sostegno al fratello.

BIBLIOGRAFIA

  • E. J. London, Victory in Tripoli: How America's War with the Barbary Pirates Established the U.S. Navy and Shaped a Nation - New Jersey, John Wiley & Sons, 2005
  • D. F. Long, Ready to Hazard: A Biography of Commodore William Bainbridge, 1774-1833 - Hanover, N.H., University Press of New England, 1981
  • M. Lenci, Corsari. Guerra, schiavi, rinnegati nel Mediterraneo - Roma, Carocci, 2006

 

TRIPOLI 1804, AMERICANI contro i PIRATI (di Massimo IACOPI)
(Pubblicato su Rivista “GRAFFITI-on-line.com”, nel 2011 e Rivista mensile Storia in Network n. 184 – febbraio 2012 con il titolo “Gli Stati Uniti ed i pirati del Mediterraneo”)

1648, la pace di Westphalia

Conclusa nel 1648 con i trattati di Münster e di Osnabrück, la Pace di Vestfalia mette fine alla guerra dei Trent'anni, uno dei conflitti più sanguinosi della storia. Mentre l'Europa moderna si forma attorno agli stati-nazione, una nuova organizzazione delle relazioni internazionali appare all'orizzonte. Sarà questo modello a condizionare la geopolitica per oltre due secoli.

La Pace di Vestfalia è la conclusione di lunghi negoziati che, per una lunga serie di anni, mirano a porre un termine alla Guerra dei Trent'anni. Questa guerra interminabile e sanguinosa è un conflitto atipico che comincia in qualche modo come la continuazione in grande scala delle guerre di religione che avevano scosso l'Europa nel XVI secolo. Successivamente, al conflitto religioso si sovrappone e quindi si sostituisce uno scontro fra le potenze rivali del momento. La Guerra dei Trent'anni genera una netta mutazione della geopolitica europea, con il regresso di grandi imperi e la comparsa di stati moderni, di cui la Francia costituisce, con la Svezia, una delle emanazioni. 

Il conflitto si infiamma nel 1618, dopo l'ordine dell'arcivescovo di Praga di radere al suolo un tempio degli ugonotti. A seguito delle proteste di questi ultimi, l'imperatore Ferdinando II d'Asburgo, cattolico, redige una risposta che provoca grande disappunto. Il 23 maggio 1618 i rappresentanti imperiali, in occasione di una riunione con gli ugonotti, vengono sommariamente condannati e quindi gettati dalle finestre del castello, luogo dell'incontro: l'avvenimento, meglio conosciuto come Defenestrazione di Praga, ha un potentissimo valore simbolico, che si rivela la scintilla della guerra. 
Inizialmente si tratta di una lotta politica all'interno del Sacro Romano Impero Germanico, 

avviata però su base religiosa. La dimensione legata alla fede costituisce l'aspetto emotivo del conflitto, con un incremento di violenza, soprattutto nei confronti delle popolazioni civili. 
Ciò nondimeno, le rivalità politiche domineranno questa guerra con la crescita di potere di paesi ostili all'egemonia della casa d'Austria. In tale contesto la Danimarca, ma soprattutto la Svezia e la Francia, interverranno in successione, siglando alleanze di interessi, in cui le considerazioni di ordine religioso sono praticamente assenti. Durante gli ultimi anni della guerra, i combattimenti servono soprattutto ai negoziatori della pace, abili a utilizzare le vittorie come una leva diplomatica, fatto che tende di fatto a ritardare gli accordi. 
La Guerra dei Trent'anni si gioca essenzialmente sullo spazio centrale dell'Europa. La Germania, spezzettata, ne è la prima vittima: occorrerà ad essa più di un secolo per riprendersi. Lo spazio egemonico della casa d'Asburgo (Spagna, Austria, Sacro Impero), che dominava l'Europa nel secolo precedente, esce diviso e indebolito dalla guerra. La Spagna perde definitivamente il prestigio che fu suo con le grandi conquiste del XVI secolo, e il Sacro Impero si dovrà ormai accontentare di giocare un ruolo secondario, fino alla sua dissoluzione nel 1806. 
Francia, Svezia e Olanda sono i grandi vincitori. L'Inghilterra - alle prese con una forte crisi politico-sociale - risulta largamente assente dal conflitto. Questa assenza, però, le conferisce una collocazione particolare nell'ambito dell'Europa, sul cui scenario giocherà il ruolo di arbitro dell'equilibrio formatosi dopo il 1648. 

Con lo sviluppo degli stati moderni nasce anche un'economia mercantile e, con essa, il futuro sistema capitalista. L'Europa geopolitica che emerge nel 1648 è completamente diversa da quella del 1618: nelle sue grandi linee questa nuova carta ricorda quella di oggi, anche se Germania e Italia devono attendere il XIX secolo prima di imporsi sulla scena europea e scuotere l'ordine che le ha a lungo poste ai margini. 
Il sistema geopolitico nato dalla pace di Vestfalia ingloba quasi tutta l'Europa, compresa la Russia. E dato il ruolo egemone svolto dal Vecchio Continente fino agli inizi del XX secolo, l'architettura di questo trattato sarà indirettamente quella di quasi tutto il pianeta. Le regole di buona condotta degli stati stabilite in questa occasione, ivi comprese quelle che emanano dal diritto internazionale - il cui padre fondatore Hugo Grotius è uno degli ispiratori della pace -, definiranno le relazioni internazionali fino al termine della Prima Guerra Mondiale, quando gli Stati Uniti tentarono di instaurare nuovi parametri con la creazione del primo organismo di sicurezza collettiva globale, la Società delle Nazioni. 
Di fatto saranno due uomini di chiesa, i cardinali Richelieu e Mazarino, ad elaborare i termini della pace, imponendo un nuovo ordine europeo, in cui la Chiesa viene allontanata dal proscenio della scena politica. Francia e Svezia, entrambe alleate e dominatrici sui campi di battaglia, approfittano del loro ascendente strategico per arrivare ad una pace che serva i loro interessi. E gli statisti incaricati di ricercare la pace sono persone realiste, pratiche, che vedono in primo luogo gli interessi delle loro rispettive nazioni, ma che non mancano del sentimento e della volontà di agire per il bene comune dell'Europa e impostando correttamente i termini di una pace duratura. 
Disinnescare le passioni dalla politica è, con ogni evidenza, una delle motivazioni primarie degli architetti della pace di Vestfalia. Evitare la guerra totale ne rappresenta l'altra preoccupazione. Il "mai più" dei pacifisti del XX secolo avrebbe potuto essere la loro professione di fede. Ma, contrariamente a questi ultimi, i "pacifisti" del XVII secolo, decisamente più realisti, volevano sradicare un certo tipo di guerra, e non tutte le guerre. La Rivoluzione del 1789 smonterà, per prima, questo edificio diplomatico, e il periodo napoleonico sarà solamente una parentesi. Il crollo totale dell'equilibrio al volgere del XX secolo ridurrà tutto in fumo. Fra il 1648 ed il 1914, con una interruzione fra il 1789 e il 1815, il sistema di Vestfalia, di contro, svolge egregiamente la propria funzione. 

La Pace di Vestfalia comporta quattro conseguenze immediate. La prima è quella di mettere un termine definitivo al conflitto. La seconda è quella di ridisegnare la carta geopolitica dell'Europa con un centro di gravità che si sposta dal centro-sud (Spagna, Sacro Romano Impero-Austria) verso ovest e il nord (Francia, Olanda, Gran Bretagna, Svezia). La terza è quella di stabilire due pilastri essenziali: il mantenimento dell'equilibrio delle potenze e il rispetto assoluto della sovranità nazionale degli stati appartenenti al 

sistema e dal quale saranno esclusi, ad esempio, i paesi extraeuropei "colonizzabili". La quarta conseguenza è quella di mettere fine all'idea che ci si faceva della cristianità nel medioevo, quella cristianità che Carlo V, nel secolo precedente, pretendeva ancora di riunificare sotto la bandiera degli Asburgo. Con Vestfalia è l'Europa che si avvantaggia sulla cristianità. L'indipendenza degli stati (e dei principi) costituirà il nocciolo del sistema nel momento in cui evapora il concetto di un'Europa cristiana sotto forma di una monarchia universale gravitante attorno al binomio Roma-casa d'Asburgo. 
Non disgiunto dall'equilibrio delle potenze, il principio del rispetto della sovranità degli stati rappresenta uno dei meccanismi essenziali dell'ordine di Vestfalia. Il risultato è un concetto fondamentale della politica moderna: la ragion di stato. Rimesso in discussione dopo la fine della guerra fredda, il principio di non ingerenza sarà per tre secoli e mezzo una delle rare, se non l'unica legge sacra della politica internazionale. Certamente, l'imperialismo coloniale extraeuropeo tiene poco conto della sovranità dei paesi colonizzati, ma questi non fanno parte, dall'inizio, del sistema derivato dai trattati e in ogni caso tali paesi non vengono considerati dagli Europei come stati veri e propri. 
All'inizio, il principio di non ingerenza segna un apporto considerevole alla causa dei diritti dell'uomo. La Guerra dei Trent'anni si era infiammata con le passioni religiose che travagliavano l'Europa nei secoli XVI e XVII. Durante il conflitto, l'odio fra protestanti e cattolici aveva determinato morte e distruzione. E' proprio per evitare nuove guerre di religione e massacri indiscriminati che gli architetti della pace instaurano questo principio, che dapprincipio si basa sulla vecchia idea del cuius regio, eius et religio, ovvero la religione del principe è la religione del popolo. 

Ufficializzando il carattere religioso di ogni stato ed eliminando l'ingerenza di altri paesi negli affari interni degli stati, gli accordi di Vestfalia determinano il principio della sovranità assoluta, al fine di proteggere le popolazioni e preservare l'integrità politica degli stati. Da ciò deriva, in linea di principio, una maggiore sicurezza e una migliore stabilità interna ed esterna. Preservando l'integrità politica degli stati - ma non necessariamente territoriale - la pace permette ai diversi attori di stabilire nuove alleanze. E' in questo gioco di alleanze, che si fanno e si disfano con rapidità sconcertante, che si mantiene l'equilibrio generale del sistema. L'uso della forza continua a essere circoscritto e serve a difendere e a promuovere gli interessi nazionali dei rispettivi paesi. Nonostante tutto, la carta geopolitica disegnata nel 1648 resterà sensibilmente la stessa fino ai nostri giorni, almeno nelle sue grandi linee, ponendo in evidenza lo straordinario lavoro realizzato dai negoziatori della pace. 
Sul piano geopolitico, la Francia consegue il vecchio sogno di Enrico IV di vedere il continente gravitare intorno alla nazione transalpina. D'altronde la Francia rappresenta l'incarnazione dello stato moderno del sistema di Vestfalia. Essa diventa il nucleo politico e quindi culturale della nuova Europa. Per diversi secoli la Francia sarà al centro di questa politica di equilibrio che essa stessa ha contribuito a instaurare, giocandovi un ruolo ambiguo, stretta fra il desiderio di sfruttare al massimo la sua potenza e quello di mantenere il sistema in vigore. Le ambizioni di Luigi XIV metteranno rapidamente alla prova la solidità del meccanismo e riveleranno la natura dei nuovi rapporti di forza, con l'Inghilterra che si posiziona come grande rivale della Francia. L'opposizione fra i due paesi è esemplare: la potenza continentale e la potenza marittima, lo stato centralizzato e lo stato mercantile. 

Dopo Luigi XIV, che sta al gioco pur spingendo il "regolamento ufficioso" fino ai suoi limiti, sarà ancora la Francia a contribuire a scuotere il sistema nato a Vestfalia. La Rivoluzione del 1789 all'inizio mette fine all'omogeneità politica dell'Europa - vitale per il mantenimento dell'equilibrio - apportando una dote di elementi perturbatori: terrore politico, ideologie rivoluzionarie, volontà universalista, nazionalismi. Questi elementi contribuiranno alla caduta finale del sistema durante la seconda parte del XIX secolo. Anche Napoleone minerà momentaneamente questo equilibrio, costruendo un apparato militare capace di dominare gli altri eserciti europei. La restaurazione geopolitica del Congresso di Vienna (1814-15) tenta di ristabilire tutti i parametri dell'ordine di Vestfalia. Fatto significativo, gli artefici di questa restaurazione hanno l'intelligenza di includere nei negoziati la Francia, rappresentata da Talleyrand, ovvero il paese colpevole dell'implosione dell'equilibrio europeo. I negoziatori di Versailles, dopo la Prima Guerra Mondiale, non avranno la stessa lungimiranza. 
La cultura diplomatica dei paesi dell'Europa è impregnata da una lunga pratica della politica messa a punto con la pace di Vestfalia. E ancora oggi perdurano in Europa i suoi vecchi riflessi. La Francia continua a imporsi diplomaticamente nel seno dell'Europa continentale, mentre una potenza decrescente come l'Inghilterra si compiace ancora del suo ruolo tradizionale di grande arbitro. Circa un secolo dopo la morte dell'ordine vestfaliano, questo continua ad abitare i nostri pensieri. Nei momenti di dubbio ci serve da riferimento. E qualunque sia il sistema che governerà le relazioni internazionali in futuro, il nuovo si posizionerà inevitabilmente in relazione al sistema instaurato nelle due piccole di Münster e di Osnabrück nel XVII secolo.

BIBLIOGRAFIA
  • Josef V. Polisensky, La Guerra dei Trent'Anni: da un conflitto locale a una guerra europea nella prima metà del Seicento - Einaudi, 1982.
  • C. V. Wedgwood, La Guerra dei Trent'Anni - Mondadori, 1998.
  • R. Romano, L'Europa tra due crisi. XIV e XVII secolo - Einaudi, 1980

1648: CON LA PACE DI VESTFALIA NASCE UN NUOVO ORDINE MONDIALE (di Massimo IACOPI)
(Pubblicato su Rivista STORIA in Network n. 175, maggio 2011 con lo pseudonimo di MAX TRIMURTI)

1917: Il grande gioco americano

Uno degli avvenimenti più importanti del 1917 è l’entrata degli Stati Uniti d’America nella guerra e per conseguenza negli affari europei. Analisi di un disastro per il Vecchio Continente.

 La fine del 1916 determina per gli Europei la conclusione di un processo evolutivo che si conclude con la perdita del controllo dei loro destini. Questa "perdita" avviene per tre ragioni principali.

In primo luogo, le promesse fatte dai belligeranti dei due blocchi alle potenze di secondo rango, per convincerle a entrare in guerra al loro fianco, hanno trasformato la conclusione del conflitto in una questione di sopravvivenza per diversi stati multinazionali (imperi austro-ungarico, ottomano e russo). In secondo luogo, la configurazione dei blocchi avversi compromette ormai ogni possibilità di pace separata. Da ultimo, qualsiasi nuova combinazione interna all'Europa sembra esaurita: una rottura dell'equilibrio delle forze non può condurre a un vantaggio decisivo per nessuno dei due schieramenti. 
Di conseguenza, è a partire dal 1916 che i fattori esterni all'Europa prendono il sopravvento sui fattori interni; un fatto, questo, che determinerà l'intervento americano.

Le cause dell'entrata in guerra degli Stati Uniti a fianco dell'Intesa sono note. Il 1° febbraio 1917 la Germania scatena la guerra sottomarina a oltranza allo scopo di far cadere l'Inghilterra nella carestia e nella crisi economica e di costringerla a chiedere la pace. Il 24 febbraio gli Inglesi comunicano agli Americani un telegramma cifrato che essi dicono di aver intercettato il 19 gennaio. In questo telegramma diretto all'Ambasciata tedesca in Messico, il Segretario di Stato tedesco agli Affari Esteri, Zimmerman, esprime la sua intenzione di proporre «una alleanza con il Messico. che potrà in tal modo riconquistare i territori perduti del Nuovo Messico, del Texas e dell'Arizona». Il 1° marzo 1917 il Presidente Wilson rende pubblico il telegramma, provocando un moto di indignazione. In tal modo egli riesce a modificare l'atteggiamento dell'opinione pubblica americana, fino ad allora in gran parte contraria all'ipotesi della guerra. Il 2 aprile 1917 il Congresso vota l'entrata in guerra contro la Germania e gli Imperi Centrali. Ma a causa della indisponibilità di un esercito adeguato alle esigenze e di una flotta per trasportarlo e rifornirlo, gli effetti militari di tale decisione non potranno farsi sentire prima di un anno.

Durante questo lasso di tempo, all'est, la Germania può rallegrarsi della destabilizzazione del suo nemico russo. L'8 marzo 1917 (febbraio secondo il calendario russo) scoppia una prima rivoluzione che si conclude con la rapida abdicazione (15 dello stesso mese) dello zar. Fra la primavera 1917 e il 1918 i Tedeschi non sono mai stati così vicini alla vittoria. Nell'aprile 1917, l'ammiraglio britannico Jennicoe informa l'ammiraglio americano W. Sims, inviato in Europa, che egli teme di non poter impedire il trionfo della guerra sottomarina. Ma quello che è peggio, la ritirata russa durante l'inverno del 1917, conseguente alla vittoria bolscevica, dà ai Tedeschi una superiorità numerica del 20% sul fronte ovest.

Nel momento in cui sulla scena della storia immense masse umane si autodistruggono, un piccolo numero di uomini radunati intorno al presidente statunitense Wilson e al governo inglese contribuisce a orientare le decisioni. Insieme alle motivazioni ideali, la potenza dell'alta finanza svolgerà un ruolo importante nel portare gli Stati Uniti in guerra. 
Tre banche di New York concentrano la maggior parte degli interessi finanziari statunitensi: la Kuhn Loeb and Company, prima banca mondiale; la J.P. Morgan (estensione americana della Rothschild londinese); la National City Bank (banca della dinastia dei Rockfeller). I loro dirigenti sono Benjamin Strong per la Morgan, Frank A. Vanderlip e Cleveland H. Dodge per la National City Bank, Salomon Loeb e i fratelli Warburg e Schiff per la Khun. Ad alcuni di essi Wilson deve tutto: la carica di Governatore del New Jersey nel 1910 e la "distruzione mediatica" del suo avversario repubblicano William Taft nella corsa alle presidenziali. E' anche grazie a essi che il principale consigliere di Wilson, il colonnello House, ha potuto organizzare, in quanto braccio americano della Tavola Rotonda (società iniziatica inglese di idee mondialiste, vicina agli interessi dei Rothschild a Londra, fondata, tra gli altri, da Sir Cecil Rhodes e Lord Alfred Milner ), il Council for Foreign Relations (uno dei più antichi Think tank americani), al quale appartiene un altro influente consigliere di Wilson, Justice Louis Brandeis, Presidente del comitato provvisorio sionista.

Attraverso il Federal Reserve Act del 1913, Wilson ha dato a questi uomini ciò che essi attendevano da tanto tempo: una banca centrale per unificare il capitale americano. Ma il progetto degli "uomini del presidente" va ben al di là dell'unità del capitalismo a stelle e strisce. Si tratta in effetti di fare dell'America il motore di una nuova mondializzazione, fatto che implica la necessità di rompere con la regola del vecchio equilibrio di potenze e di favorire una riorganizzazione della geopolitica mondiale intorno alla finanza anglo-americana. Per alcuni si tratta anche di punire gli autocrati russi e di farla finita con l'aristocrazia austro-tedesca che ribadisce in ogni circostanza la supremazia del "guerriero" sul "mercante". 

Il 22 agosto 1914 il colonnello House aveva già lasciato intravedere i possibili sviluppi: «Se gli Alleati trionfano, è l'egemonia russa sul continente europeo. Se al contrario, la Germania esce vittoriosa, saremo per diversi anni sotto l'indicibile giogo del militarismo tedesco». Occorre dunque silurare da un lato la potenza russa e dall'altro la potenza tedesca.

Il primo atto di questa politica consiste nel legare finanziariamente l'America e gli alleati occidentali. Certo, nell'agosto 1914 il governo americano aveva affermato che la concessione di crediti ai belligeranti era incompatibile con la neutralità. Ma questo atteggiamento non durerà più di tre mesi. Fra il novembre 1914 e il novembre 1916 gli Stati dell'Intesa ricevono, sotto forma di apertura di crediti o di prestiti, circa 1930 miliardi di dollari, mentre la Germania ne riceve meno di 5 miliardi. Da sola la Banca Morgan concentra l'85% delle ordinazioni inglesi e francesi, che ripartisce fra i produttori, fornendo anche i crediti necessari ai pagamenti. 
Il secondo atto della stessa politica concerne la distruzione dello zarismo russo attraverso il finanziamento della rivoluzione bolscevica. Non si riesce a comprendere appieno questa scelta se non si tiene conto dell'ostilità che alcuni emigrati e il movimento sionista manifestano nei confronti della Russia. Questa ostilità trova il suo fondamento nella situazione degli ebrei russi, costretti a vivere nei ghetti, sottoposti a un regime discriminatorio e a periodici massacri (pogrom) scatenati dalle folle. Il duca Ernesto di Coburgo racconta nelle sue memorie che al momento della guerra di Crimea (1854-55) Lord Rothschild gli aveva confessato che in quel momento egli era pronto a versare qualsiasi somma nella lotta contro la Russia. 

La rivoluzione russa si divide in due fasi. La prima è la rivoluzione di febbraio (marzo secondo il nostro calendario) che porta all'abdicazione dello zar Nicola Romanov (quel giorno il corso del rublo ed i valori russi salgono alla Borsa di Parigi) e a un governo rivoluzionario democratico, che associa al potere liberali e menscevichi. Inglesi e Francesi sostengono i democratici e forniscono loro i fondi necessari. Essi hanno tutto l'interesse a mantenere la Russia nel conflitto, obiettivo conseguito in aprile. Miliukov, Ministro degli Affari Esteri del governo provvisorio, assicura che la guerra sarà condotta fino alla vittoria. Questa assicurazione preoccupa gli uomini di Wilson. Se la Russia condivide la vittoria con gli Inglesi, l'esercito russo vittorioso non sarà poi tentato di restaurare lo zarismo? Da qui deriva la seconda fase della rivoluzione, la presa del potere bolscevico del 25 ottobre 1917 (8 novembre), sostenuta sottobanco dalla Germania e dalla finanza newyorkese, che, evidentemente senza mettersi d'accordo, avevano l'interesse comune di vedere la Russia fuori dai giochi.
Il 16 aprile 1917 Lenin e Zinoniev, provenienti dalla Svizzera, arrivano a San Pietroburgo, dopo l'attraversamento della Germania e della Svezia in un "vagone piombato" sotto la protezione combinata dell'Alto Comando tedesco e di Max Warburg, uno dei fratelli di Paul Warburg (della Khun Loeb and Company a New York), che risulta proprietario ad Amburgo della Banca Warburg and Company. Il 17 maggio 1917, Trotski, proveniente dal territorio americano, raggiunge Lenin. Dopo essere stato imbarcato il 27 marzo con più di 250 compagni egli viene immobilizzato per qualche tempo ad Halifax con degli enormi fondi. Ma grazie all'intervento congiunto del colonnello House e di Sir William Wiseman (Khun Loeb and Company), egli può ripartire verso la Russia con un passaporto americano.

La fonte dei fondi ricevuti dai bolscevichi è duplice. Una parte viene dal Governo di Berlino (si conoscono oggi il numero dei conti aperti presso la Reichbank, il 2 marzo 1917, ai nomi di Lenin, Trotski e Koslowsky). Un'altra viene dalla Khun Loeb. Anche i circuiti utilizzati da questi fondi sono ugualmente conosciuti. Allorché Lenin è in esilio in Svizzera, il flusso di denaro va dalla Germania a Zurigo, attraverso la Deutsches Bank. Successivamente il denaro transita da Berlino (Disconto Gelleschaft e Reichbank), da Oslo (DEN Norske Handelsbank) o da Stoccolma (NYA Banken, VIA Banken), verso la Banca Siberiana di San Pietroburgo.
Nel 1917 il finanziere più impegnato nel sostegno ai rivoluzionari è Jacob Schiff, genero di Salomon Loeb, che si vanta dalle colonne del "New York Times" del 5 giugno 1916 di aver strappato al presidente Taft, nel 1911, e dopo una violenta campagna di stampa, la denuncia degli accordi commerciali con la Russia: «Chi dunque se non me, ha messo in movimento l'agitazione che ha costretto poi il presidente degli USA a denunciare il nostro trattato con la Russia ?».
Numerosi sono i documenti che provano l'implicazione della finanza newyorkese nel crollo dello zarismo. Il 19 marzo 1917 Jacob Schiff indirizza un telegramma al Ministero degli Esteri del Governo provvisorio russo (Miliukov): «Permettetemi, in qualità di nemico inconciliabile dell'autocrazia tirannica che persegue senza pietà i nostri correligionari, di felicitare attraverso voi il popolo russo per l'azione che ha appena finito di compiere così brillantemente e di augurare pieno successo ai vostri colleghi di governo ed a voi stesso!».

Le somme messe a disposizione dei rivoluzionari russi, menscevichi e quindi bolscevichi sono state considerevoli. Il 3 febbraio 1949, in piena guerra fredda, Jacob Schiff, nipote del finanziere omonimo, riconoscerà sul "New York Journal" che suo nonno aveva personalmente versato ai bolscevichi 20 milioni di dollari. Fra il 1918 ed il 1922, di fatto Lenin, riconoscente, dispone il rimborso tramite lo stato russo della somma di 450 milioni di dollari in favore della Khun e Loeb and Company.
Il 21 luglio 1917, qualche settimana dopo aver portato il suo paese nella Grande Guerra, Wilson scrive al suo consigliere e confidente colonnello House: «La Francia e l'Inghilterra non hanno sulla pace le stesse nostre vedute. Quando la guerra sarà finita noi li porteremo al nostro modo di pensare, in quanto in quel momento, tra le altre cose, essi saranno finanziariamente nelle nostre mani!».

BIBLIOGRAFIA
  • La grande storia della prima guerra mondiale, di M. Gilbert - Mondadori, 2000
  • La prima guerra mondiale. 1914-1918, di B.H. Liddell Hart - Rizzoli, 2001
  • L'età progressista negli Stati Uniti: 1896-1917, a cura di A. Testi - il Mulino, 1984

1917: IL GRAN GIOCO AMERICANO (di Massimo IACOPI)
(Pubblicato su Rivista STORIA in Network n. 170, dicembre 2010)

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