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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

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Wagneriani, i musicisti tattici di Putin

“WAGNERIANI”
i … “musicisti tattici” di PUTIN

Pubblicato sulla Rivista Informatica Graffiti-on-line.com nel mese di novembre 2022 con il titolo “IL GENERALE INVERNO FA CAMBIARE STRATEGIA A ZELENSKY E PUTIN”
HYPERLINK "https://www.graffiti-on-line.com/home/opera.asp?srvCodiceOpera=2041"https://www.graffiti-on-line.com/home/opera.asp?srvCodiceOpera=2041


La Private Military Company (PMC) Wagner raggruppa mercenari russi i cosiddetti “wagneriani”, sulla base di una Struttura Militare Privata (SMP). Una SMP (Società Militare Privata) costituisce una impresa legale di “contractors”, che propone servizi di sicurezza a governi, ONG o imprese private. Gli impiegati sono spesso soldati di alto livello, veterani delle forze speciali o truppe speciali. Sebbene esistano in Russia una ventina di SMP o PMC, legalmente riconosciute, l’organizzazione Wagner non dispone di alcun riconoscimento legale in Russia, pur costituendo uno strumento privilegiato nel contesto del conseguimento della politica e degli obiettivi tattici del Kremlino.

Il nome Wagner deriverebbe dal nome di battaglia portato dal suo capo operativo, Dimitri Utkin (1970-), un ex colonnello di origine ukraina, veterano dei servizi di informazione dell’Esercito russo (GRU, forze speciali), che, nel 2013, era stato assunto nella SMP Slavonic Corps (Corpi Slavi), un corpo paramilitare impiegato senza grande successo in Siria a sostegno di Bashar el Assad (1965- ).
Il fallimento dello Slavonic Corps in Siria spinge il colonnello Utkin a rifondare, verso la fine del 2013, l’organizzazione, cui attribuisce la denominazione di “Wagner”, con l’aiuto di Evghenji Prigozhin (1961- ), un discusso (8 anni di prigione) uomo d’affari di successo nel settore del catering, molto vicino al Kremlino, ed accusato negli USA di aver organizzato una campagna di troll on line per interferire nelle elezioni presidenziali del 2016. Egli gestisce l’appalto del catering per le scuole di Mosca e le caserme del Ministero della Difesa soprannominato, per questo, lo “chef di Putin”.
Nello specifico, il Gruppo Wagner ha la sede legale in Argentina, in quanto la Costituzione Russa stabilisce che le questioni di sicurezza e difesa sono appannaggio esclusivo dello Stato, ma la sua sede operativa si trova a Molkino, nel Distretto russo di Krasnodar, dove avviene il reclutamento e l’addestramento dei mercenari (di norma ex militari russi). La Russia non è la sola nazione al mondo ad impiegare contractors in operazioni militari, ma è l’unica che non li riconosce legalmente, negando in tal modo ogni coinvolgimento ed arrivando persino a disconoscere ufficialmente la loro esistenza. In ogni caso, l’impiego dei “wagneriani” in operazioni a fianco o in concorso alle forze russe, costituisce un caso emblematico (vedi anche in Ukraina) di applicazione della Dottrina di guerra ibrida da parte della Russia.
Nel 2014 si hanno le prime informazioni circa l’impiego di “wagneriani” nel contesto del primo conflitto ukraino (Donbass) ed in Crimea in particolare ed il loro compito iniziale nell'attuale conflitto era quello di infiltrarsi nelle posizioni ukraine per effettuare sabotaggi ed eliminare il presidente Volodimyr Zelenskji (1978-). Nel 2015 i mercenari wagneriani vengono impiegati a fianco delle forze russe in Siria e assoldati, con regolarità, dal regime siriano per proteggere e rendere sicure le installazioni petrolifere e quindi per sostenere le forze governative nella riacquisizione del controllo del territorio. Durante la battaglia di Palmira, essi svolgono il lavoro sporco, cioè quello di cui nessuno vuole assumersene la responsabilità: operazioni di infiltrazione, esecuzioni, recupero di informazioni con tutti i mezzi possibili. All’epoca, Wagner viene accusato di crimini di guerra, specialmente di atti barbarici: sui social circolava, a quel tempo, un video che mostrava membri del gruppo mentre tagliavano a pezzi e bruciavano un disertore siriano.
Nel 2019 più di un migliaio di membri del Gruppo Wagner vengono schierati in Libia, a sostegno del generale Khalifa Belqasim Haftar (1943- ) della Cirenaica e quindi in Mozambico, per lottare, senza grandi risultati, contro Ansar al Sunna, una branca dell’ISIS. A partire da questo stesso anno, l’Africa viene investita dal Gruppo, che rivendica più di 30 mila uomini impegnati sul continente per garantire la sicurezza, ripulire le zone toccate dall’islamismo, addestrare le forze armate dei Paesi che pagano i loro servizi (Sudan, Madagascar, Repubblica Centrafricana, Mali, ecc.). Sono stati segnalati mercenari del gruppo (circa 400) anche in Venezuela, dove sembra abbiano il compito di proteggere il presidente Nicolas Maduro (1962- ), alleato di Mosca.
Nonostante le zone d’ombre che circondano l’esecutivo della Wagner: due nomi sono stati confermati alla testa del Gruppo: Dimitri Utkin ed Evghenji Prigozhin, il primo sembrerebbe gestire il comando operativo ed il secondo l’attività finanziaria del Gruppo e di molte altre strutture. Tra l’altro, Prigozhin si è rivelato anche un eccellente comunicatore, specie nell’Africa subsahariana dove si presenta come alfiere della lotta contro la presenza “neocolonialista” francese e come abile gestore di campagne di disinformazione (fake news) sui social. Utkin è stato decorato almeno quattro volte dell’Ordine del Coraggio, direttamente dalle mani di Vladimir Putin (1952- ) e sembrerebbe persino che abbia ricevuto anche il titolo di Eroe della Russia. Dal 2017 egli è diventato direttore generale di Concord, l’impresa chiave di Evghenji Prigozhin

La galassia finanziaria
Tutte le società militari private, nel rispondere alle esigenze di sicurezza dei suoi clienti, seguono, in primo luogo, i propri interessi privati e finanziari. Il contratto più importante e significativo lega il Gruppo Wagner alla Siria. Nel dicembre 2016, Prigozhin avrebbe concluso un accordo con il ministro siriano del petrolio e delle risorse minerarie, Alì Ghanem (1943 a Costantina, in Algeria). In cambio della protezione dello sfruttamento delle risorse petrolifere e di gas, Wagner, attraverso la società Evro Polis, beneficerebbe del 25% dei profitti realizzati nel settore. Il Gruppo risulta, in particolare, protetto da un sistema di società schermo, una vera e propria galassia finanziaria ben “oliata” e sperimentata, che è stata svelata dalla televisione francese: la società russa Midas Ressources, che sfrutta la miniera d’oro di Ndassima, dal 2019, con l’accordo del governo centrafricano, risulta registrata nel Madagascar. Midas risulta legata ad una società di acquisto d’armi, Kraomita Malagasy S.A., per conto della Lobaye Invest, società registrata nel Centrafrica e legata a Prigozhin, secondo fonti del Tesoro americano. Kraomita Malagasy acquista il materiale militare per conto di M. Finance, impresa che condivide lo stesso indirizzo e la stessa mail di Concorde suddetta, l’impero finanziario di Prigozhin. Il Gruppo Wagner crea satelliti finanziari nelle diverse regioni di spiegamento delle sue forze e le organizza in galassie interconnesse.

Al servizio della geopolitica russa
L’evidenza dei rapporti diretti fra il potere russo ed il Gruppo Wagner mette chiaramente in evidenza la confusione fra interesse pubblico ed interesse privato intorno a Putin. Il sistema è semplice: gli oligarchi investiti di potere da Putin si arricchiscono e vivono nel fasto senza essere disturbati, in cambio della loro lealtà e dei loro servizi. Evghenji Prigozhin fa parte di questo gruppo ristretto e di questo sistema. Il Gruppo Wagner è funzionale con le ambizioni russe, pur fatturando enormi guadagni finanziari. L’oligarchia consente a Putin di appoggiarsi su uomini fidati, leali e senza scrupoli, proprio perché a lui devono il loro successo. Vladimir Putin si appoggia dunque, sul Gruppo Wagner per sviluppare la presenza russa nei differenti punti del mondo. Il Gruppo dichiara in tutto più di 35 mila dipendenti, impiegati in Siria, in Africa e nell’America del sud. Altri membri del gruppo vengono utilizzati nelle zone prossime alla Russia. Il giornale russo Novaya Gazeta ha confermato, nel 2020, l’arresto di wagneriani da parte del KGB della Bielorussia. I mercenari, sebbene vietati in Russia, debbono comunque operare in cooperazione col potere russo. Quando nel 2013 la SMP “Slavonic Corps” fallisce sul campo, impegnandosi in combattimenti rischiosi, sembrerebbe senza il preventivo accordo di Mosca, due capi della struttura sono stati catturati e pesantemente condannati dal FSB russo (Federal'naja služba bezopasnosti; Servizio Federale di Sicurezza), per mercenariato.
Nel sistema Putin, una SMP viene considerata come gruppo mercenario se non agisce in coordinamento con il potere. Si può constatare, attraverso il voto all’ONU del 2 marzo 2022, che Wagner risulta insediato ovunque la Russia cerca di sviluppare la sua influenza. Nella riunione specifica era stato richiesto agli Stati di condannare l’aggressione russa in Ukraina. La Siria e l’Eritrea hanno votato contro e su 52 paesi africani, 24 si sono astenuti o hanno praticato la tattica della sedia vuota. In ciascuno di questi paesi si possono, in effetti, individuare le tracce di un dispiegamento Wagneriano. Anche il Venezuela ha fatto in modo di non prendere parte alla discussione.
Se è chiaro che le operazioni condotte da Wagner concorrono allo spiegamento della potenza russa: sarebbe eccessivo di considerare il Gruppo come un elemento chiave della strategia del Kremlino. I mercenari del Gruppo Wagner risultano utili nella misura in cui essi possono commettere esazioni non gestibili da forze convenzionali e consentire alla Russia di intervenire nei teatri in cui non risulta ufficialmente impegnata. Mosca si nasconde dietro “un diniego di plausibilità”, che consiste nel pretendere di non aver conoscenza degli interventi delle forze wagneriane e nello smentire qualsiasi responsabilità in assenza di prove. Sebbene tale atteggiamento non convinca nessuno, questo gioco ha avuto le sue esperienze ed i suoi successi e beneficia, in Russia, di un regime politico autocratico, che chiude gli occhi sulle violazioni dei diritti dell’uomo. E’ oggi chiaro che Putin ha trasformato il Gruppo Wagner in uno dei “jolly” tattici privilegiati del suo arsenale strategico. Nel particolare, a seguito delle serie difficoltà incontrate dall'esercito russo nel contenere la recente controffensiva ukraina nel Donbass, Mosca é stata costretta ad impiegare in linea, ma con risultati contrastanti, anche le unità di Wagner a fianco di quelle dei Ceceni del dittatore Razman Kadyrov (1976- ). Occorre anche relativizzare l’impressione “eccezionale” della situazione. Le SMP esistono ovunque e molte rendono vantaggiosi servizi ai loro rispettivi governi. Blackwater, ad esempio, era un contractor americano, conosciuto per i suoi contratti con la CIA. Dispiegato in Afghanistan ed in Irak, esso è stato accusato di sparatorie multiple ed altri crimini riportati dal giornalista Jeremy Scahill (1974- ) nel 2008 (Blackwater, The Rise of the World’s Most Powerfull Mercenary Army, Revised and Updated). Oggi Blackwater si è riciclato sotto il nome di Academi e protegge radars militari giapponesi, addestra il personale del servizio informazioni di Taiwan e agisce in Ukraina. Wagner si inscrive, pertanto, in questo contesto globalizzato delle SMP impiegate dagli Stati.

Il mito wagneriano
Nel corso degli anni, Wagner ha assunto una dimensione simbolica di rilievo che i suoi membri cercano di mantenere con cura. E’ persino uscito su Telegram un fumetto eroico, dove viene presentata l’azione epica del Gruppo guidato dal suo capo, “L’Angelo” (Utkin). Gli eroi wagneriani si battono per liberare i popoli oppressi e massacrati dai lupi americani o dai vampiri jihadisti. Il fumetto segue lo sviluppo del Gruppo e costruisce una vera mitologia su basi reali. La grande forza di Wagner, che pure in Libia ha subito una cocente sconfitta, è quella di dominare la battaglia della comunicazione. Quello che era appena un gruppo di mercenari nascosti, sembra essere diventata una organizzazione mitica senza più complessi, mano a mano che la Russia rivela il suo gioco. La PMC Wagner ha anche aperto un sito (join-wagner), che sembra apertamente servire da piattaforma di reclutamento mondiale.


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URSS, come implode un impero

URSS,
come implode un impero
Pubblicato sul n. 298, giugno 2022, della Rivista Informatica “Storia in Network” ( HYPERLINK "http://www.storiain.net/"www.storiain.net ) con il titolo “IMPLOSIONE DELL’IMPERO SOVIETICO”
L’Unione Sovietica rappresenta un esempio unico di un impero morto nel … proprio letto. Le aspirazioni nazionali e democratiche hanno senza dubbio giocato il loro ruolo. Ma in questo crollo geopolitico di prima grandezza, ci si dimentica spesso di un evento decisivo: la proclamazione del giugno 1990 da parte di Boris Eltsin, della sovranità della Russia.

L
a caduta dell’URSS alla fine del 1991 costituisce il risultato di un processo complesso e conseguenza di plurime cause. In quell’anno crollano simultaneamente un sistema socio-economico (il “Socialismo avanzato”, per riprendere una definizione utilizzata da Leonid Iliic Breznev (1906-1982)) ed uno Stato federale.
La lista delle cause che hanno portato alla “più grande catastrofe geopolitica del XX secolo”, secondo l’espressione usata dall’attuale presidente russo Vladimir Vladimirovic Putin (1952 -) è decisamente lunga. Mikhail Sergeevic Gorbacev (1931- ), al potere dal 1985, cerca di trasformare l’URSS attraverso una riorganizzazione economica (perestroika) e maggiore trasparenza (glasnost). Ma il sistema economico sovietico non riesce ad uscire dalla crisi e l’autarchia lo isola dai circuiti mondiali. Dalla metà degli anni 1970, i tassi di crescita sono brutalmente scesi, la produttività del lavoro è crollata e la curva dei consumi risulta in diminuzione. A tutto questo viene ad aggiungersi una crisi demografica, caratterizzata specialmente da una diminuzione delle speranze di vita di 4 anni per gli uomini ed una diminuzione significativa della popolazione attiva. Per di più, l’economia sovietica non poteva più ricorrere, come nei decenni precedenti, allo spreco di manodopera, che aveva saputo nascondere, più o meno bene, gli errori nelle scelte economiche staliniane e quindi quelle di Nikita Sergeevic Krushev (1894-1971).
In aggiunta, in un contesto di competizione con l’altra “superpotenza”, gli Stati Uniti (e specialmente l’amministrazione Reagan, che, dal 1980 al 1988 mette l’URSS sotto pressione), il regime sovietico, impigliato nel pantano afghano dal 1979, accresce le sue spese militari, che, alla fine del 1980, rappresentavano fra il 15 ed il 18% del PIL.
L’URSS, viene altresì indebolita dalle fratture del “blocco comunista” dell’Europa dell’Est, con la crisi del regime comunista polacco (l’esplosione del movimento Solidarnosc nel 1980, l’instaurazione della legge marziale del 1981). Sul piano interno, l’URSS affronta una crisi ideologica e morale, caratterizzata da una “menzogna generalizzata” (secondo una diagnosi senza appello emessa da Andrej Sakharov, 1921-1989) e l’incapacità del sistema di indottrinamento, messo in opera dal regime sovietico, di arginare e porre sotto controllo le nuove tecnologie dell’informazione globalizzata. La libertà di parola favorisce l’espressione di numerose rivendicazioni, in particolare, di tipo nazionalista.
In questo contesto, è proprio la frattura dell’impero, questo risveglio dei nazionalismi e delle nazionalità che compongono la “grande e fraterna famiglia delle repubbliche socialiste sovietiche” quello che interessa maggiormente. Sotto questo punto di vista, il crollo dello Stato federale sovietico appare come il risultato di un doppio processo: un movimento centrifugo, che ha messo in subbuglio le periferie occidentali e meridionali dell’URSS (repubbliche baltiche e caucasiche, le maggiormente restie alla sovietizzazione-russificazione), accoppiato con una implosione del centro russo, dovuta, per la gran parte, alla strategia politica di un uomo, Boris Nikolaevich Eltsin (1931-2007). Quest’ultimo, nel suo confronto-scontro con Mikhail Gorbacev, non ha esitato a giocare la carta del nazionalismo russo, proclamando, nel giugno 1990, la “sovranità” della Russia e svuotando, in tal modo, l’Unione del suo contenuto e scatenando, nel contempo, una reazione a catena, in quanto ogni repubblica si è vista incoraggiata a proclamare la propria sovranità, se non la propria indipendenza.
“Il problema nazionale è stato pienamente ed interamente deciso nell’URSS. … … non rimane che qualche punto minore di frizione” aveva dichiarato sconsideratamente Mikhail Gorbacev, agli inizi del 1987. Lungo il corso degli anni seguenti, il segretario generale del Partito Comunista Sovietico (PCUS), continuando a negare l’evidenza, a differenza di Boris Eltsin, rifiuta di prendere sul serio la crescita dei nazionalismi e si adopera a tentare di flemmatizzare la corsa del nazionalismo russo, certo e convinto di poter contare sulla solidità dell’idea federale, che cercherà di difendere fino in fondo.

Gli stati baltici all’avanguardia
Le Repubbliche baltiche (che rappresentano appena l’1% del territorio ed il 3% della popolazione sovietica), dopo una prima indipendenza ottenuta nel 1918, e incorporate, loro malgrado, all’URSS, a seguito del patto germano sovietico dell’agosto 1939, rivestiranno il ruolo di pioniere nel processo di disintegrazione dell’URSS. Con il loro livello di vita, il più elevato del paese, la loro maggiore apertura sul mondo esterno, la loro più antica urbanizzazione, l’elevato livello d’educazione dei loro abitanti, le repubbliche baltiche vedono fiorire, a partire dal 1986-87, numerosi “gruppi informali” che, nel corso degli anni precedenti, si erano mobilitati per cause ecologiche o per la difesa della lingua nazionale. Rapidamente, questi gruppi si riuniscono in “Fronti nazionali”, veri e propri embrioni di partiti politici, la cui prima azione di grido è stata quella di organizzare importanti manifestazioni, in occasione della data anniversario della firma del patto germano sovietico del 1939 (23 agosto).
Il 50° anniversario del Patto, il 23 agosto 1989, ha dato luogo ad una impressionate “catena umana” di 2 milioni di persone, che si sono tenute la mano dalla Lituania all’Estonia. Qualche mese prima, nel marzo 1989, i “Fronti popolari” delle repubbliche baltiche avevano riportato una netta vittoria nelle prime elezioni libere per il Congresso dei Deputati del Popolo dell’URSS, nuova assemblea costituente, inaugurata da Mikhail Gorbacev per votare le riforme costituzionali, politiche, economiche e sociali ed eleggere un “presidente dell’URSS”, dotato di ampi poteri.
Dei tre paesi baltici, è la Lituania che fornisce il ritmo al movimento di emancipazione nei confronti di Mosca. La Lituania è molto più omogenea etnicamente e linguisticamente (i Russi rappresentano appena il 10% della popolazione) rispetto alla Lettonia ed all’Estonia (che vedono al loro interno, rispettivamente, una presenza russofona del 45% e del 35%). Sotto l’egida del Sajudis (Movimento di Rinascita della Lettonia), presieduto dall’universitario, musicologo Vytautas Landsbergis (1932 -), il paese proclama, alla fine della primavera del 1989, la sovranità della Lituania e l’abolizione dell’articolo 6 della Costituzione dell’URSS sul “ruolo dirigente” del Partito comunista. Nel marzo 1990, dopo la schiacciante vittoria dei suoi candidati locali, Vytautas Landbergis viene eletto alla testa del Soviet Supremo della Lituania, che proclama immediatamente il ristabilimento dell’indipendenza del paese, dichiarando illegale l’annessione sovietica del 1940. Questa decisione apre una notevole crisi fra Vilnius e Mosca, che decide il blocco economico della Lituania.
L’Estonia e la Lettonia seguono le orme della Lituania, ma ad un ritmo più prudente. Dopo aver successivamente ristabilito la bandiera estone della prima indipendenza del 1918, il Soviet Supremo estone conferisce alla lingua estone lo statuto di lingua ufficiale, successivamente allinea il suo fuso orario con quello della Finlandia ed, alla fine del 1989, proclama la sovranità della nazione. Inoltre, nel marzo 1990, annuncia l’apertura di un “periodo di transizione verso l’indipendenza”. In Lettonia, dove la rilevante presenza della comunità russofona si raggruppa intorno ad un Interfront, ostile a qualsiasi secessione, la marcia verso la proclamazione dell’indipendenza risulterà un po’ più lenta.. Nel maggio 1990, il Soviet Supremo della Lettonia, proclama, a sua volta, l’apertura di un “periodo di transizione verso l’indipendenza”.

Tensioni nel Caucaso
Nelle repubbliche sovietiche del Caucaso (Armenia, Georgia ed Azerbaigian), il verificarsi di aspirazioni nazionali risulta altrettanto precoce che nei paesi baltici, ma si rileva decisamente molto più doloroso e caotico, a causa della presenza di forti tensioni intercomunitarie. Queste esplodono in Armenia, quando, nel febbraio 1988, le autorità dell’Alto Karabak votano l’annessione di questa regione autonoma all’Armenia. Di fatto, quest’area risulta abitata per l’80% da Armeni che Stalin aveva assegnato all’Azerbaigian. Questo voto viene immediatamente sostenuto da immense manifestazioni a Erevan la capitale armena. Una settimana più tardi, il 27 ed il 28 febbraio 1988, la città di Sumgait, non lontana da Baku, capitale dell’Azerbaigian, dove risiede una importante comunità armena, si trasforma nel teatro di un terribile pogrom anti armeno, con centinaia di vittime.
Questi drammatici eventi, coniugati con l’inazione di Mosca, spingono gli Armeni ad organizzarsi per mezzo di “collettivi”, come il “Comitato Karabak”. Presieduto da Levon Ter Petrossian (1945 -), questo comitato riesce a cristallizzare le aspirazioni alla democrazia ed all’indipendenza. Alla stessa stregua dei paesi baltici, il Fronte popolare armeno, che raggruppa una miriade di comitati e gruppi politici, vince, nel marzo 1989, le elezioni al Congresso dei Deputati del Popolo dell’URSS, quindi, un anno più tardi, vince anche le elezioni locali. Il nuovo Soviet Supremo d’Armenia adotta immediatamente i simboli della prima (effimera) indipendenza del 1918-20: bandiera, inno nazionale e ritorno ai toponimi pre sovietici. Esso proclama il primato delle leggi armene su quelle federali, decisione che equivale ad una dichiarazione di sovranità.
In Georgia, considerata da tempo come la repubblica del Caucaso più “frondista” nei confronti di Mosca, le tensioni intercomunitarie fra Georgiani ed Abkhazi, duramente represse dalle truppe speciali sovietiche degli Interni nell’aprile 1989, stimolano in questo caso la crescita del movimento nazionalista georgiano. Quest’ultimo viene rapidamente controllato da un discusso dissidente, Zviad Gamsakhourdia (1939-1993), criticato per le sue precedenti compromissioni con il KGB. Questo personaggio, con tendenze populiste, riesce a federare intorno a sé un blocco nazionalista (Tavola Rotonda Georgia libera), stigmatizzando le minoranze abkhaze ed ossete, accusate di “minacciare l’equilibrio etno-demografico” della Georgia. Il blocco vince le elezioni locali del 1990 e proclama la “sovranità” della Georgia, “prima tappa verso l’indipendenza”.
Di fronte alle frizioni con l’Armenia, il Partito Comunista Azero riesce, durante il periodo della Perestroika, a mantenere il controllo della situazione e ad emarginare movimenti nazionalisti d’opposizione, presentandosi come il miglior bastione contro la “minaccia armena”. Tuttavia, sarà proprio a Baku che avrà luogo l’intervento più sanguinoso delle truppe federali sovietiche di questi anni: dopo nuovi progroms anti armeni (13-14 gennaio 1990), l’esercito federale interviene nella capitale azera per ristabilire l’ordine, con un bilancio di 170 morti e 300 feriti.
Alla fine del 1990, il bilancio nel Caucaso risulta molto variegato e complesso, a causa delle tante tensioni interne nel seno delle repubbliche ed a causa del conflitto armeno-azero.

Asia centrale ed Ukraina: i partiti comunisti locali gestiscono agevolmente la situazione
Le repubbliche mussulmane dell’Asia centrale, considerate da molti osservatori occidentali come le più suscettibili nel fare “saltare l’impero” (1), a causa della loro “demografia galoppante”, risultano, alla prova dei fatti, le meno pronte ad emanciparsi. Queste repubbliche, creazione artificiale dell’epoca staliniana, sono state disegnate senza tenere pienamente e debitamente in conto le realtà etniche o geografiche. Nessuna repubblica risulta omogenea etnicamente (proprio quello che voleva Stalin): il Kazakhistan è popolato per metà da discendenti dei coloni slavi, russi ed Ukraini ed anche di discendenti di 1 milione di cittadini sovietici di origine tedesca, deportati nel Kazakhistan sotto Stalin; l’Uzbekistan conta al suo interno importanti minoranze tagike e kirghize; il Kirghizistan ospita minoranze uzbeke. Qui, come nel Caucaso, le tensioni intercomunitarie si risvegliano col favore della Perestroika. Diversi incidenti scoppiano a Samarcanda, fra Uzbeki e Tagichi, ad Och, fra Uzbeki e Kirghizi. Tuttavia, globalmente, la nomenclatura comunista dell’Asia centrale riesce a regolare i conflitti ed a mantenere saldamente le redini del potere. Sia alle elezioni del marzo 1989 (indette per designare i deputati del Congresso del Popolo dell’URSS), sia a quelle del marzo 1990 (elezioni locali), i rappresentanti dei partiti comunisti ottengono una larga maggioranza.
L’apparato sovietico resiste, allo stesso modo, anche ai cambiamenti, fino alla fine del 1989, anche in Ukraina, di fronte al Roukh (Movimento Democratico Ukraino), costituito tardivamente per iniziativa di vecchi dissidenti (Sergej Vasilievich Lukianenko, 1968- ; Vyacheslav Maximovich Tchornovil, 1937-1999; Ivan Fedorovich Dratch, 1936-2018), ai quali si associano membri dei movimenti di difesa della lingua ukraina e di associazioni ecologiche, particolarmente attive da dopo la catastrofe nucleare di Tchernobyl, nell’aprile 1986. Questo evento impone una riflessione sulle responsabilità del potere centrale e sulla posizione dell’Ukraina - la seconda repubblica sovietica per popolazione - nell’ambito dell’URSS: ospitando la metà dei reattori nucleari del paese l’Ukraina è destinata, dopo essere stato il “granaio dell’URSS” super sfruttato, a diventare lo “scarico degli scarti nucleari” dell’URSS ?
Ben più efficace dell’attivismo di Roukh, è stato il grande sciopero dei minatori del Donbass nell’estate del 1989, che fa piegare la resistenza della direzione del PC ukraino, diretto da ben 15 anni da Volodymyr Vasyliovich Shcherbitski (1918-1990), rimpiazzato poi dalla fine del 1989 da Leonid Makarovych Kravtchuk (1934 -). Quest’ultimo gioca abilmente la carta nazionale ukraina, per non farsi sopravanzare dal Roukh. A seguito delle elezioni locali del marzo 1990, favorevoli ai comunisti, Kravtchouk viene eletto alla guida del Soviet Supremo dell’Ukraina.
“Uomo del serraglio”, Leonid Kravtchuk ha allacciato, da molto tempo, legami stretti con Boris Eltsin, la figura rampante del partito a Mosca. Alla testa delle due principali repubbliche sovietiche, questi due uomini giocheranno un ruolo decisivo nella crisi finale dell’URSS.

Lo scontro Eltsin-Gorbacev
Alto responsabile del Partito (primo segretario del partito comunista della regione di Sverdlovsk dal 1978 al 1985), Boris Eltsin viene promosso da Mikhail Gorbacev nel dicembre 1985, alla guida della più importante organizzazione regionale del PC, quella di Mosca. Egli vi si impone immediatamente come fautore delle riforme. Stimando che queste avanzano troppo lentamente, egli comincia a criticare aspramente lo stesso Gorbacev per la sua “mancanza di audacia”, in occasione della riunione del Comitato Centrale, convocata in occasione del LXX anniversario della rivoluzione d’ottobre. Dimissionato dalle sue funzioni dal PC, Boris Eltsin viene eletto trionfalmente, con il 90% dei suffragi, deputato di Mosca alle elezioni del Congresso del Popolo nel marzo 1989, prime elezioni libere in URSS, con la scelta su candidature multiple. Con ben 300 deputati che desiderano accelerare le riforme, Boris Eltsin crea un “gruppo interregionale”, al quale aderiscono figure importanti della dissidenza come Andrej Sakharov (1921-1989), quindi, in vista delle elezioni locali del marzo 1990, crea il “blocco Russia democratica”, che vince le elezioni nelle più importanti città della Russia, fra cui Mosca e Stalingrado.
Il 29 maggio 1990 Boris Eltsin viene eletto, al secondo scrutinio, Presidente della Federazione della Russia dai deputati del Consiglio del Popolo della Russia. Due settimane più tardi, il 12 giugno 1990, egli presenta a Mikhail Gorbacev, eletto qualche mese prima Presidente dell’URSS, un documento veramente “rivoluzionario”, che giocherà un ruolo capitale nella implosione dell’URSS: la “dichiarazione di sovranità” della Russia. Per la prima volta, si affrontano a Mosca due poteri, Mikhail Gorbacev, Presidente dell’URSS, sempre membro del PCUS e Boris Eltsin, Presidente della Russia, che lascia, con fragore, il PCUS, in occasione del suo XVIII ed ultimo Congresso, nel luglio 1990.
L’ultimo anno di esistenza dell’URSS viene marcato dal conflitto crescente fra questi due uomini. Le loro dispute si basano inizialmente sul piano da adottare per le riforme economiche: Boris Eltsin propone un passaggio risoluto all’economia di mercato (il Piano dei 500 giorni); mentre Gorbacev desidera gestire una lunga transizione dall’economia statale all’economia di mercato. Il loro secondo disaccordo riguarda il progetto di un nuovo Trattato d’Unione. Il 23 novembre 1990 viene presentato un testo alle repubbliche, che partecipano tutte alle consultazioni, meno quelle baltiche e la Georgia. Se questo documento accorda nuovi diritti alle repubbliche e se scompare ogni riferimento al socialismo (L’Unione delle Repubbliche Sovietiche sostituisce la vecchia URSS), le prerogative federali rimangono molto forti. Ma, nei fatti, questo testo risulta già caduco: il 20 novembre 1990 Boris Eltsin firma con Kravtvhuck un trattato bilaterale, attraverso il quale la Russia e l’Ukraina riconoscono mutualmente la loro sovranità e si impegnano a cooperare economicamente “sulla base di uguaglianza e reciproco vantaggio … … senza passare per il centro (federazione)”. Due giorni più tardi viene siglato un trattato similare fra la Russia ed il Kazakhistan. “Questi accordi - dichiara Eltsin - debbono costituire un modello ed una svolta intorno alla quale si organizzerà la nuova Unione”.
Queste iniziative vengono giustamente, considerate da Gorbacev come una nuova minaccia alla sua autorità. Egli decide, a quel punto, di fornire alcuni pegni al campo conservatore, guidato dal Ministro della Difesa, maresciallo Dimitri Timofeevic Jazov (1924-2020) e degli Interni Vladimir Aleksandrovic Kriuckov (1924-2007), decisi a bloccare la disgregazione dell’URSS. Il 13 febbraio 1991 le truppe speciali del Ministero degli Interni sovietico prendono d’assalto il Parlamento e la televisione di Vilnius per tentare di parare il processo di indipendenza, che aveva avuto luogo dieci mesi prima. Boris Eltsin condanna fermamente il ricorso alla forza e gli eventi di Vilnius contribuiscono ad accelerare il movimento verso l’indipendenza nelle altre due repubbliche baltiche che, nel marzo 1991, organizzano un referendum i cui risultati sono senza appello: 78% dei cittadini votano per l‘indipendenza in Estonia; il 73% in Lettonia. A sua volta, la Georgia si dichiara indipendente qualche settimana più tardi.

La vittoria di Boris Eltsin
Nello scontro al vertice fra i due uomini, Mikhail Gorbacev segna, nondimeno, un ultimo punto: in occasione di un referendum organizzato nel marzo 1991, in 9 delle 15 repubbliche che non hanno ancora pronunciato la secessione, viene approvato, con il 77% medio dei suffragi (71,3% in Russia; 98% nel Turkmenistan), il progetto di nuovo Trattato d’Unione. I Sovietici, nella loro maggioranza rimangono ancora legati alla costruzione federale e non desiderano la scomparsa dell’URSS. Tuttavia, questo referendum aggiunge altra confusione alla già ampia confusione istituzionale. In effetti, ogni repubblica lo ha organizzato alla sua maniera, aggiungendo quasi sempre una domanda di suo interesse, senza alcun rapporto alla questione dei legami federali: il presidente di tale repubblica sarebbe eletto a suffragio universale, ma con quali attribuzioni ?, quali sarebbero le attribuzioni del Parlamento repubblicano ? e così via !!!
Con grande abilità, Boris Eltsin accetta di impegnarsi in una specie di “tregua” con Mikhail Gorbacev, accettando di partecipare con i rappresentanti delle altre repubbliche a negoziati sul Trattato d’Unione. Le discussioni si impantanano rapidamente, i principali protagonisti non riescono a mettersi d’accordo nemmeno sul termine di “federazione” o di “confederazione”. Dopo tre mesi di discussioni sempre più confuse, Eltsin decide, a quel punto, di accelerare il processo di disintegrazione dell’Unione e quello verso l’indipendenza della Russia. Il 12 giugno 1991 egli si fa eleggere, a suffragio universale ed al primo turno, con il 57% dei voti, Presidente della Russia. In tal modo, di fronte a Mikhail Gorbacev eletto Presidente dell’URSS, a suffragio indiretto un anno prima, egli acquisisce una legittimità superiore.
Inquieti di fronte a questo sviluppo che giudicano “populista”, rivoltati dalla strada intrapresa da Eltsin verso l’economia di mercato, gli elementi più conservatori fomentano, maldestramente, un colpo di stato, il 19 ed il 21 agosto 1991, che fallisce penosamente di fronte alla risoluta resistenza di Eltsin, sostenuto dalla popolazione di Mosca e di Leningrado.
Il fallimento del putsch segna la vittoria del presidente eletto della Russia sul suo rivale, che ha assistito, impotente agli eventi, dal suo luogo di villeggiatura sul Mar Nero. Mikhail Gorbacev dà le dimissioni dalle sue funzioni di Segretario Generale del PCUS; Boris Eltsin sospende tutte le attività del PC. Il colpo di grazia viene poi assestato da Leonid Kravtchuk: il parlamento ukraino proclama l’indipendenza dell’Ukraina, ratificata per referendum il 1° dicembre 1991 (con il 90% di SI).
Una settimana più tardi Boris Eltsin, Leonid Kravtchuk e Stanislav Kuscevic (1934 -) della Bielorussia, riuniti a Belovej (sulla frontiera della Bielorussia con la Polonia), adottano un documento nel quale si afferma che “l’URSS cessa la sua esistenza, in quanto soggetto di diritto internazionale e realtà geopolitica”. Viene deciso di creare al suo posto una Comunità di Stati Indipendenti (CEI) “aperta a tutti gli Stati dell’ex URSS”. Il 21 dicembre seguente, 11 delle 15 ex repubbliche sovietiche (ad eccezione quindi dei Paesi baltici e della Georgia) firmano ad Alma Ata, dove Gorbacev non viene invitato, il Trattato fondante della CSI, una associazione molto lasca, che lascia a ciascuno dei suoi membri un grande spazio di decisione.
Il 23 dicembre 1991 Gorbacev e Boris Eltsin si incontrano per mettere a punto la procedura che segna la fine dell’URSS e l’uscita di scena del suo presidente. Il 25 dicembre alle ore 19.00, Gorbacev legge alla televisione un breve discorso d’addio. Subito dopo, la bandiera rossa viene ammainata dalla torre del Kremlino ed issato al suo posto il tricolore russo. L’anno 1991 entra, in tal modo, nella storia in maniera incredibilmente pacifica, come il termine di una esperienza iniziata 74 anni prima, nell’ottobre 1917, nella violenza rivoluzionaria e guerriera.

NOTA
(1) Questa tesi viene sviluppata, in particolare da Henri Carriere d’Encausse nel importante lavoro: L’Impero esploso, edito nel 1978 da Flammarion, Parigi;

 

Siria, Cosa resta del panarabismo

SIRIA:
COSA RESTA DEL PANARABISMO

Pubblicato sul n. 302, novembre 2022, della Rivista Informatica “Storia in Network” ( HYPERLINK "http://www.storiain.net/"www.storiain.net) .

Se l’ideale nazionalista arabo ha perso molto del suo orgoglio e della sua superbia, esistono ancora nazionalisti pronti a servire questa causa di fronte ai Jihadisti ed ai loro alleati. “Benvenuti in Siria, cuore pulsante della nazione araba”, così si poteva ancora leggere su un cartello turistico degli anni 1980. Con ogni evidenza, la Siria è stato il solo paese che sia andato fino in fondo nella sua logica panaraba, contraendo nel 1958 un matrimonio di amore e di convenienza con l’Egitto di Nasser, la RAU, che è durato solamente tre anni.

L’ultima revisione della Costituzione siriana, risalente al 2012, ha soppresso l’articolo 8 che limitava il potere al solo Partito Baath come “principale partito nella società e lo Stato”, pur tollerando un multipartitismo di facciata. A dispetto delle ultime modificazioni costituzionali, la Siria rimane una repubblica araba, il solo paese dove, fino alla guerra, qualsiasi cittadino estero residente in un paese arabo risultava esentato dal visto di ingresso alle sue frontiere. Oltre al Baath, esiste ancora un partito nasseriano, che fa parte della coalizione del Fronte Nazionale progressista, l’opposizione ufficiale nel Parlamento siriano

Un terreno fertile per il nazionalismo arabo
La maggior parte delle figure di spicco del nazionalismo arabo risultano originarie della Siria. In un Impero ottomano crepuscolare, la Rinascita araba (Nahda) viene sostenuta nel suo braccio secolare da una maggioranza di intellettuali siro-libanesi, mussulmani e cristiani, come reazione al progetto nazionalista dei Giovani Turchi. Essi promuovono una rappresentazione dell’essere arabi sovra confessionale, portatrice di emancipazione e di modernità. Abd ar Rahman al Kawabibi (1855-1902), Sati Husri (1880-1968), fortemente influenzati dagli idealisti tedeschi del XIX secolo, fra i quali Johann Gottlieb Fichte (1762-1814), che avrà un forte seguito in Irak e Najib Azoury (1873-1916), sviluppano una riflessione politica e culturale sul divenire della nazione araba. Influenzato da Maurice Barres (1862-1923), Azoury pubblica, nel 1905, un saggio in francese “Il Risveglio della nazione araba” (Le reveil de la nation arabe), nel quale egli afferma che questa è una nazione unica che riunisce, a parità di condizioni e di uguaglianza, Cristiani e Mussulmani. A Parigi, Azoury fonda la Lega della Patria araba ed il giornale L’Indipendenza araba, sovvenzionato dal Ministero degli esteri francese. L’arabismo esprime una affermazione politica forte di fronte al nazionalismo concorrente propugnato dai Giovani Turchi, che, nel 1908, assumono il potere ad Istanbul.
La seconda generazione viene rappresentata dallo storico e giurista Edmond Rabbath (1902-1991), un intellettuale cristiano poliglotta, di confessione siriaco-cattolica, specialista della storia dell’islam e teorico della società araba e della laicità nel mondo arabo. I suoi lavori precursori hanno ispirato i fondatori del Partito Baath: Michel Aflak (1912-1989), Zaki al Arzouzi (1900-1968), di confessione alawita ed il sunnita Salah Eddin Bitar (1912-1980). Da parte sua, Costantin Zureik (1909-2000) - proveniente, come Aflak, da una famiglia borghese greco ortodossa di Damasco, presidente dell’Università damascena quindi dell’Università americana di Beyruth, dove ha insegnato a lungo - rappresenta l’ispiratore, nel corso degli anni 1950, del Movimento Nazionalista Arabo (MNA), nato come reazione alla creazione dello Stato di Israele. Quest’ultimo darà i natali, a partire dal 1967, alle principali formazioni di estrema sinistra libanesi e palestinesi: Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (FPLP), Partito d’azione socialista arabo, Organizzazione d’azione comunista nel Libano.
Damasco, vecchia capitale degli Ommeyyadi, esercita una certa attrazione in concorrenza con Bagdad che è stata per diversi decenni la sede di un Partito Baath legittimista, in quanto composto da dirigenti storici espulsi dalla Siria dopo il colpo militare del 1966. Se Damasco e Bagdad sventolano lo stesso emblema, lo stesso inno e gli stessi slogans, dirigenti siriani ed irakeni sono guidati, prima di tutto, dalla preoccupazione dei rispettivi loro interessi a danno della “causa araba”.
Elias Farah (1927-2013), siriano di confessione greco ortodossa, ultimo ideologo del Partito Baath e braccio destro di Michel Aflak, è morto a Damasco nel 2013. Alla morte di Aflak, era stato nominato alla carica simbolica di Segretario Generale del Baath (branca irakena) e direttore dell’Accademia del partito a Bagdad fino al 2003.
In Siria, il Partito Baath, diventato una specie di conchiglia vuota, si era trasformato in una struttura di mobilitazione di clientelismo, affiliato al regime, che ha ri-mobilitato le sue numerose cellule con la guerra. Il suo corpo ideologico dottrinale è alquanto debole, se non inesistente e qualsiasi riferimento ai fondatori del partito è stato sistematicamente cancellato. In Irak, il partito è stato dissolto ed una parte non trascurabile dei suoi quadri si è schierata nei ranghi della ribellione salafista jihadista. Esso sopravvive, nondimeno, come sezioni locali legali, nella maggior parte dei Paesi arabi (Tunisia) o clandestine (nel Golfo) del Baath (pro-siriane o pro-irakrne o entrambi, come nello Yemen o in Giordania. Irakeni o Siriani si erano aspramente scontrati nel corso degli anni 1970 e 1980 per accaparrarsi il cuore delle masse arabe attraverso l’apertura di centri culturali in numerose e capitali arabe da Nuakchott fino a Sanaa.

Le Brigate nazionaliste arabe in soccorso di Damasco
La rivalità fra Sunniti e Sciiti e la normalizzazione della maggior parte dei paesi arabi con Israele hanno fatto cessare la mobilitazione panaraba intorno alla causa palestinese. Contrariamente a suo padre, fine stratega e geloso difensore dell’indipendenza nazionale, Bashar el Assad (1965- ) ha, a partire dal 2005, accresciuto la dipendenza del suo paese nei confronti dell’Iran, trasformando l’Hezbollah sciita in un nuovo campione della causa araba. L’utopia rivoluzionaria dell’arabismo è stata rimpiazzata dal panislamismo jihadista, il cui avatar di Daesh o ISIS ha saputo mobilitare intere coorti di jihadisti da ogni orizzonte e di tutte le razze. In ogni caso, nel corso del 2013 ha visto la luce una unità di combattenti arabi di nazionalità siriana, egiziana, libanese, irakena, ma anche libica, algerina e tunisina, sotto il nome di Guardia Nazionale Araba (GNA). Si tratta del braccio armato della Organizzazione della Gioventù Nazionalista Araba (OJNA), che esisteva già dagli anni 1990. Attiva in Libano, nella Striscia di Gaza ed in Egitto, essa organizza ogni anno un campo della gioventù in tutto il mondo arabo. I suoi combattenti (più di un migliaio) operano sul territorio siriano da dopo la creazione della GNA con la missione di lottare contro “tutti i movimenti takfiri (1), che mirano a colpire la nostra unità ed a seminare la divisione fra gli Arabi”. Evidenziando un nazionalismo sincretico, la maggior parte dei suoi membri fa riferimento al nasserismo, professa un nazionalismo ferocemente antisionista, anti imperialista, anti wahabita, opposto “all’estremismo settario, etnico e religioso”. Ma essi fanno riferimento oltre a Nasser, anche al vecchio presidente venezolano Chavez o ancora a Saddam Hussein ed all’Hezbollah libanese, dal quale beneficiano sostegno logistico Essi intrattengono buone relazioni con la branca (minoritaria) di Hamas palestinese, in rotta con i Fratelli mussulmani.
La GNA, integrata nelle forze di difesa nazionale siriana, ha combattuto nel 2013-2014 nelle regioni di Damasco e di Aleppo, a Deraa e nel Governatorato di Homs. Essa è stata implicata impiegata per intero nell’offensiva dei lealisti siriani a Qalamun. I suoi quattro battaglioni portano dei nomi suggestivi: Wadie Haddad (19271978; palestinese cristiano, leader delle operazioni speciali del FPLP); Haydar el Amali (pensatore nazionalista libanese morto nel 2007 negli scontri fra Hezbollah ed Israele); Mohammed Brahmi (1955-2013; figura della sinistra tunisina assassinato nel 2013) e Jules Hammel (ufficiale siriano cristiano morto in un attacco suicida a Suez nel 1956). Ma il principale animatore del GNA è un libanese vicino agli Hezbollah, Abu Aed o Ahmed. Questo veterano della guerra insurrezionale contro gli Americani nell’Irak, rivendica l’eredità dell’MNA, cofondato dal palestinese marxista, Georges Habbash (1926-2008), futuro dirigente dell’FPLP e dall'intellettuale arabo Constantin Zureik (1909-2000). I giovani nazionalisti arabi si rifanno ad un corpo dottrinale eteroclito, la cui base di appoggio è la laicità, il nazionalismo ed uno statalismo direttamente derivato dalle esperienze socialisteggianti e dal movimentismo degli anni 1950-60. Nei loro rispettivi paesi, essi sono collegati alle diverse sezioni locali del movimento dei nasseristi indipendenti (Al Morabitun) e delle organizzazioni di sinistra pro palestinesi. Nel Libano essi lottano per la deconfessionalizzazione del sistema libanese. Il segretario generale della branca libanese dei nazionalisti arabi, il generale Mustafà Hamdan (1955- ), ha diretto la guardia presidenziale del presidente libanese Emile Lahoud (1936- ) dal 1998 al 2005. Sospettato di aver partecipato all’assassinio del primo ministro Rafic Hariri (1964-2005), nel febbraio del 2005, egli è stato incarcerato dalle autorità libanesi fino al 2009, prima di essere dichiarato innocente dal Tribunale Speciale per il Libano (TSL). Oggi, il personaggio si reca regolarmente a Damasco ed appare come uno dei principali relatori della GNA nel corso dei loro meeting.
Se la creazione della GNA risale solo al 2013, la sua ideologia socialisteggiante appartiene ad un riferimento molto più antico. La sua nostalgia per il socialismo nasseriano occulta, a fatica, le forti divisioni che hanno visto, per molto tempo, opporsi, da un lato le branche irakene e siriane del Partito Baath in Siria, e dall’altro i baathisti ed il presidente egiziano, specialmente nel momento dell’effimera Repubblica Araba Unita (RAU) (1958-1961). La GNA, sincretica per natura, si è dovuta, comunque, adattare ai nuovi tempi e nel Pantheon coabitano i ritratti di Hafez el Assad con quelli di Nasser e di Hassan Nasrallah (1960 - ; capo degli Hezbollah). Per contro, i combattenti volontari arabi del Partito Siriano Nazionale Sociale (PSNS), sebbene meno numerosi dei combattenti nazionalisti siriani, considerano invece la Siria come un fronte fra tanti altri nel contesto della umma araba.

NOTA
(1) al-Takfir wa l-Hijra (ossia Accusa di empietà ed Emigrazione) è un movimento terroristico d'ispirazione islamica formatosi in Egitto negli anni settanta, fuoriuscito dalla Fratellanza Mussulmana. Da alcuni anni al-Takfir wa l-Hijra ha ormai membri o sostenitori in numerosi altri Paesi, alleata di fatto con al Qaeda per il fatto di proporsi i medesimi obiettivi strategici del gruppo creato da Osama bin Laden. In Spagna il gruppo è noto anche col nome di Martiri per il Marocco. I membri del gruppo sono fondamentalisti militanti. Il takfirismo è l'"accusa di miscredenza” e fa riferimento al neologismo derivato dall'ideologia deviata dell'Islamismo, strettamente connessa al Jihadismo, sorta tra la fine del XX e l'inizio del XXI secoloIl takfirismo è l'"accusa di miscredenza" e fa riferimento al neologismo derivato dall'ideologia deviata dell'Islamismo, strettamente connessa al Jihadismo, sorta tra la fine del XX e l'inizio del XXI secolo.

 

 

 

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Tito Labieno

TITUS LABIENUS
Luogotenente di CESARE e di POMPEO

Pubblicato sul n. 303, dicembre 2022, della Rivista Informatica “Storia in Network” ( HYPERLINK "http://www.storiain.net/"www.storiain.net).


Occorre, nonostante tutto, dare a Labieno quello che gli compete. Spesso presentato come il braccio destro di Cesare in Gallia si é rivelato un eccellente ufficiale come anche un politico di rilievo, leale nei confronti dei suoi capi, ma anche e soprattutto alla Repubblica. Qualità che lo ha trasformato nel peggiore nemico del suo migliore amico …

L'ultimo secolo della Repubblica romana risulta dominato dalla figura di capi militari prestigiosi, come Caio Giulio Cesare (-100 / -44) e Gneo Pompeo Magno (-106 / -48) o ancora Lucio Licinio Lucullus (-118 / -57), sui quali i testi antichi mettono principalmente l'accento. Si avrebbe comunque torto nel trascurare altri protagonisti, giudicati spesso secondari, ma il cui ruolo ed importanza nelle guerre romane di quest'epoca sono stati spesso sottovalutati. Fra questi emerge la figura Titus Labienus (-99 /-45), braccio destro di Cesare in Gallia, che in seguito si rivolta contro il suo capo all'inizio della guerra civile e diventa uno fra i suoi avversari più accaniti.
Nel corso della Guerra delle Gallie (-58/ -51) il proconsole (1) Giulio Cesare é coadiuvato da diversi legati (2) ai quali egli delega il comando di una parte delle sue truppe, a seconda delle circostanze. La storia ci ha tramandato il nome di una decina di questi legati; ma il più famoso é senza dubbio Titus Labiuenus, il solo che abbia ricoperto in permanenza questo incarico a fianco di Cesare e più spesso citato nel De Bello Gallico. Labienus ha contribuito in maniera decisiva ai successi di Cesare sugli Elvezi (giugno del -58), sui Belgi (estate del -57), sui Morini (ottobre del -55) e ancora sui Treviri (giugno del -53).
Nel gennaio-febbraio del -53 egli riesce a resistere con sangue freddo all'accerchiamento del suo campo invernale da parte dei Treviri in rivolta, guidati da Induziomaro (morto nell'anno -53), che sarà poi sconfitto ed ucciso. In occasione della grande rivolta dell'anno -52, Labienus viene incaricato, con quattro legioni, dell'offensiva contro i Galli Senoni ed i Parisii, ottenendo, in primavera, una grande vittoria nei pressi di Lutezia (Parigi). Poi, alla fine dell'estate ed all'inizio dell'autunno, egli aiuta Cesare, durante l'Assedio di Alesia. La sua partecipazione a queste battaglie ed a tale assedio é dimostrato dai proiettili di fionde incise con il suo nome: una é stata scoperta sul sito di Sens e due altre, più recentemente, su quello di Alesia (attuale Alise-Sainte Reine) sul posto del Campo C, che viene chiamato ormai per questo motivo “il campo di Labienus”.

Da luogotenente fedele a transfuga
Come prova di fiducia nel suo principale luogotenente, Cesare gli chiede di sostituirlo diverse volte in sua assenza. In tal modo, l'intero esercito viene posto sotto i suoi ordini in occasione quartieri invernali -58/57 presso i Sequani. Labienus comanda, in seguito, la parte dell'esercito rimasta sul continente in occasione della seconda spedizione di Cesare oltremanica nell'estate del -54. Infine, tocca a lui assumere la responsabilità della Gallia Cisalpina, nell'Italia del Nord, durante l'inverno -51/50.
Tuttavia, quando Cesare decide di opporsi al Senato e condurre la guerra in Italia, attraversando il Rubicone con il suo esercito nella notte dell'11 gennaio del -49, Labienus entra a far parte di quelli che cambiano immediatamente di campo ed abbandonano il generale “rinnegato”. Egli raggiunge Pompeo nella Puglia, già dal 22 gennaio dello stesso anno, prende parte alla ritirata dall'Italia (febbraio-marzo), quindi, l'anno seguente, alle campagne d'Epiro e di Tessaglia. Presente all'assedio di Dyrrachium (Durazzo), del giugno-luglio -48, egli é uno di quelli che spingono Pompeo a dare battaglia nella piana di Farsalo, battaglia che determina la inattesa sconfitta del campo senatoriale (9 agosto -48). Dopo la morte di Pompeo (28 settembre -48), mentre alcuni suoi sostenitori si schierano dalla parte di Cesare vittorioso, Labienus, in quanto legato di Quinto Cecilio Metellus Scipione Nasica (-98 / -46), prosegue la lotta, prima in Africa, quindi, dopo la vittoria cesariana di Tapso (6 aprile -46), come legato di Sesto Pompeo (-67 / -35), il figlio di Pompeo Magno, nella Spagna ulteriore. Egli trova la morte nella cruenta battaglia di Munda (17 marzo -45), che segna il termine definitivo della guerra civile. Secondo Appiano di Alessandria (95-165), la sua testa sarebbe stata presentata a Cesare, con quelle di altri capi pompeiani.

Dall'elogio al biasimo
Occorre precisare, peraltro, che tutte queste informazioni relative all'azione di Labienus provengono, per la maggior parte, dai racconti di Cesare e da quelli dei suoi continuatori, essendo le altre fonti molto più succinte, se non quasi inesistenti. La nostra visione di Labienus, come capo militare, dipende molto da quanto rappresentato dai testi cesariani. In tale contesto, nel libro I del De Bello Gallico, Cesare si attribuisce il merito della vittoria dell'Arar sulla tribù elvezia dei Tigurini, riportata nel giugno -58, mentre Plutarco (46-125) ne attribuisce il merito a Labienus, senza dubbio perché il biografo segue, su questo punto specifico, un'altra fonte di informazione diversa da Cesare. Non risulta, pertanto, sempre facile determinare con esattezza l'implicazione degli uni e degli altri nelle operazioni militari, così come sono state narrate. D'altronde, per ben due volte nel suo racconto, Cesare fa dire a Labienus, nelle arringhe indirizzate ai suoi legionari, che, sotto i suoi ordini, essi devono combattere come se fosse presente lo stesso proconsole in persona.
E' necessario, soprattutto, tenere conto di un aspetto essenziale della documentazione. In effetti, la positiva presentazione di Labienus come legato capace e brillante riguarda i primi 7 libri del De Bello Gallico, vale a dire testi redatti e pubblicati da Cesare prima della defezione del suo legato nel gennaio -49, mentre i racconti posteriori a questa defezione (i tre libri della De Bello Civili) o posteriori alla morte di Cesare (libro VIII del De Bello Gallico; la Guerra d'Africa e la Guerra di Spagna) offrono, al contrario, un ritratto di Labienus deliberatamente meno lusinghiero. Quelle che, a suo tempo, erano state presentate come qualità strategiche e tattiche si trasformano in difetti.
In tal modo, i suoi principali successi, quelli che emergono nel dettaglio da Cesare nel De Bello Gallico nei libri V (la vittorio di Induziomaro), VI (la vittoria contro i Treviri) e VII (la vittoria di Lutezia contro Camulogeno, morto nell'anno -52), lo mettono in evidenza, ogni volta, come un capo la cui abilità nell'arte dello stratagemma merita elogi incondizionati. Per contro, nella Guerra d'Africa, il continuatore anonimo tratteggia ormai Labienus come un avversario sleale ed inefficace, i cui tentativi di imboscate vengono sistematicamente sventati, uno dopo l'altro, da Cesare. La figura del traditore ha il sopravvento su quella del generale talentuoso. Mentre, nel De Bello Gallico, il proconsole dichiara, a più riprese, di fidarsi completamente del giudizio del proprio legato. I racconti sulla guerra civile insistono, al contrario, sull'obnubilamento di Labienus: é lui che sottovaluta la qualità delle forze cesariane perima dello scontro di Farsalo o prima della battaglia di Ruspina in Africa; é ancora lui che perde, per due volte, l'occasione di sfruttare una sconfitta delle truppe avversarie per mettere un termine definitivo alla guerra, a Dyrrachium, quindi agli inizi della campagna d'Africa.

Uomo di Stato prima ancora di soldato
Di fronte a tali contraddizioni che riflettono con evidenza un punto di vista fazioso, non risulta facile per gli storici moderni individuare con esattezza i contorni del valore militare di Labienus. Una qualità che nei contemporanei non veniva minimamente messa in discussione. Nonostante la sua posizione iedeologica, l'autore anonimo della Guerra d'Africa riconosce, in questo contesto, che i numerosi cavalieri ausiliari galli e germani dell'esercito pompeiano, famosi per il loro valore, avevano seguito Labienus in ragione della sua indiscussa autorità. Per quanto concerne Cicerone, questi afferma, in una lettera al suo segretario Marco Tullio Tirone (-103 / -4) del 27 gennaio dell'anno -49, che Labienus é quello che, nell'esercito di Cesare, godeva della massima autorità e prestigio.
Principalmente citato nelle nostre fonti attraverso i comandi esercitati per un periodo di 9 anni di guerra in Gallia e 5 anni di guerra civile, Labienus viene, a volte, considerato come un esempio di ufficiale di carriera (vir militaris), una nuova categoria di cittadini, la cui comparsa viene spesso datata a torto al -I secolo. Ancora a quest'epoca, i quadri superiori dell'esercito romano provengono effettivamente dall'aristocrazia, che alterna responsabilità militari a cariche civili: l'uomo di Stato ideale per i Romani resta colui che é capace, quando necessario, dare prova del suo valore come soldato e come comandante in guerra.
Labienus non fa eccezione a questa regola. Quando viene scelto da Cesare come legato nell'anno -58, egli Risulta già un senatore esperto e di alto rango, conosciuto per le sue prese di posizione politiche. Nel -63, quando era Tribuno della Plebe (3), Egli é all'origine di un clamoroso processo intentato contro Gaio Rabirius (4), ad indiretto vantaggio di Cesare. Egli fa votare, inoltre diverse leggi, fra cui un'importante riforma del sistema elettorale che consente, ancora a Cesare, di diventare Pontifex Maximus (5), il primo magistrato religioso di Roma. Appare evidente che questi affari siano stati alla base dell'amicizia fra i due uomini.
Non si conoscono bene le tappe della sua traiettoria politica, ma si concorda in genere sul fatto che, fra il -61 ed il -59, ovvero poco tempo prima della partenza di Cesare per la Gallia, Labienus deve essere stato nominato Pretore (6), una magistratura fra le più importanti dopo il Consolato ed alla quale non tutti i senatori riescono ad accedere. Egli, d'altronde, non é il solo pretore anziano fra i legati cesariani in Gallia: Quinto Cicerone (-102 / -43), il fratello dell'oratore, aveva anch'egli ricoperto questa magistratura nel -62, in contemporanea con Cesare. Pertanto, il subordinato di Cesare non é un uomo qualsiasi, anche se, derivato da una famiglia equestre del Picenum (7), non appartiene alla più alta aristocrazia del suo tempo. Si sa, inoltre, attraverso una lettera da Cicerone al suo amico Tito Pomponio Attico (-110/ -32) nel dicembre del -50, che Labienus aveva accresciuto la sua fortuna in maniera considerevole durante il periodo trascorso in Gallia a fianco di Cesare. Questo fatto gli aveva permesso di finanziare, a sue spese, importanti lavori nella città di Cingulum (Cingoli), da dove era certamente originaria la sua famiglia (fatto che non impedirà alla città stessa di schierarsi dalla parte di Cesare sin dal gennaio del -49)
Labienus é, dunque, un senatore ricco ed influente, un uomo politico in vista, “uno dei migliori amici di Cesare”, secondo le parole di Plutarco, che lo asseconda piuttosto che affrontarlo. La sua esperienza militare non sembra essere stata diversa da quella dei membri dell'aristocrazia cui apparteneva. A tal riguardo le fonti risultano meno esplicite, evocando solamente un servizio militare agli ordini di Publio Servilio Vatia, l'Isaurico (-120 / -44), governatore della Provincia di Cilicia fra il -78 ed il -74 e durante il quale egli ha potuto fare la conoscenza del giovane Cesare, presente agli ordini di Servilio nell'anno -78. Acquisite le competenze necessarie per il comando, in parte per mezzo di letture ed attraverso l'osservazione dei colleghi più anziani sul terreno, Labienus forgia sul campo le sue qualità. Il lungo periodo passato da Labienus nell'esercito, a partire dall'anno -58, si qualifica in primo luogo come il frutto di relazioni personali che egli aveva allacciato con il proconsole dei Galli, quindi da circostanze particolari della guerra civile, piuttosto che da una form di specializzazione nel mestiere delle armi, estranea alla mentalità aristocratica del tempo.

Servitore della Repubblica
In questa prospettiva e contrariamente a quanto, a volte, si legge, la defezione di Labienus agli inizi della Guerra Civile non deve essere intesa come il risultato di un semplice obbligo clientelare nei confronti di Pompeo oppure come un gesto di stizza di un soldato di mestiere che si considerava poco considerato dal capo, ma come una presa di posizione politica decisa da parte di un membro rispettato della classe dirigente romana.
Rinnegando e sconfessando pubblicamente Cesare, il suo principale legato forse avrà voluto far passare il messaggio che nessuna amicizia avrebbe avuto il sopravvento sull'idea che egli si era costruito della legalità repubblicana. Questo, in effetti, era stato ben capito da Cicerone, che in diverse lettere ad Attico, risalenti alla fine del gennaio del -49, saluta con entusiasmo il senso civico di colui che viene qualificato come “eroe” e “grand'uomo”.

BIBLIOGRAFIA
Le Bohec Yannik, “Cesar, chef de guerre”, Texto, 2019;
Stringer G. P., ”Cesar and Labienus: a reevaluation of Cesar's most important Relationship in De Bello Gallico”, New England Classical Journal n. 44., 2017

NOTE
(1) Proconsole: anziano console che uscendo dalla carica, viene mantenuto in funzione per continuare una campagna o per amministrare una provincia equivalente ad un governatore, mantenendo i poteri militari, civili e giudiziari;
(2) Legato: genrale in subordine che comanda una legione in nome di uno dei due consoli, magistrati supremi eletti per un anno;
(3) Tribuno della Plebe. E' un magistrato eletto per un anno dall'assemblea della plebe (concilio plebeo). Si tratta di una posizione potente in virtù del diritto di veto che gli consente di bloccare qualsiasi azione di un altro magistrato ed in particolare la possibilità di arruolare legioni per la guerra;
(4) Cesare spinge il tribuno della plebe Labienus ad accusare il senatore Gaio Rabirius di essere stato coinvolto, 37 anni prima, nell'assassinio del suo avversario politico Lucio Saturninus – omicidio di cui lo zio dell'accusatore era stato vittima collaterale. La manovra consente a Cesare di rinforzare il potere popolare a danno del Senato. Rabirius, difeso da Marco Tullio Cicerone, viene, alla fine, esiliato;
(5) Pontifex Maximus: il Pontefice massimo era una figura della religione romana ed equivaleva al massimo grado religioso cui un romano poteva aspirare; (6) Pretore, praetor. Nella gerarchia delle cariche pubbliche presso gli antichi Romani, magistrato (per dignità e grado immediatamente inferiore al console) cui era affidato il compito di amministrare la giustizia. Era un magistrato romano, dotato di imperium e iurisdictio. Il suo mandato era di un anno e faceva parte di un collegio di 8 funzionari. L'attività del Praetor si concretizzava nella concessione dell'actio, cioè lo strumento con cui si permetteva ad un cittadino romano che chiedeva tutela, nel caso in cui non ci fosse una lex (legge) che prevedesse la tutela, di agire in giudizio e portare quindi la situazione dinanzi al magistrato;
(7) Picenum. E' una provincia posta a sud di Ancona, dagli appennini alla costa adriatica, di cui Pompeo Magno risulta anch'egli originario. Cingulum é l'attuale Cingoli, situata a 36 chilometri a sed est di Ancona.

 

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Secolo d'oro dei Paesi Bassi

SECOLO D’ORO (GOUDEN EEUW)
dei PAESI BASSI

Pubblicato sul n. 295, marzo 2022, della Rivista Informatica “Storia in Network” ( HYPERLINK "http://www.storiain.net/"www.storiain.net) con il titolo “GOUDEN EEUW, IL SECOLO D’ORO DEI PAESI BASSI”

Nel giro di pochi anni, la giovane repubblica delle Province Unite, dove andrà a vivere la famiglia di Spinoza, diventa una delle prime potenze del mondo ed uno dei centri intellettuali ed artistici più fiorenti. Si tratta, anche agli occhi degli stessi contemporanei di una vera e propria età dell’oro.

N
ell’Europa del Grande Secolo, le Province Unite sono caratterizzate da un sigillo di singolarità e di stranezza: tutti gli osservatori ed i visitatori forniscono testimonianze del loro stupore davanti alla metamorfosi di un territorio, all’inizio ostile, fatto d’acqua, di paludi e di lande, popolato da uomini e donne sostanzialmente rustici: “I vecchi olandesi, - scrive Jean Nicolas de Parival nel 1651 - erano a suo tempo disprezzati dai loro vicini, a causa dei loro costumi grossolani, della semplicità dei loro abiti e del loro cibo” (Les Delices de la Hollande).
Ebbene, in uno stupefacente “miracolo” (anche questo termine si ripete spesso sotto la penna dei contemporanei), lo spazio terrestre e marittimo viene addomesticato, polverizzato, indigato, “domato” (fra il 1590 ed il 1640, vengono conquistati all’acqua ben 80 mila ettari) e messo al servizio di uno sviluppo economico senza precedenti, fondato principalmente sull’espansione marittima e commerciale. Questa rappresenta una prima singolarità quando, e ben noto che, ovunque in Europa, la terra costituisce la base della fortuna e del successo sociale.
Per di più, questa vocazione marittima ha dato origine a profitti di una dimensione tale da contrastare con il marasma delle economie vicine: tutta la politica di Jean Baptiste Colbert (1619-1683) e di Luigi XIV (1638-1715) sarà di fare opposizione, ivi compresa la guerra - nel 1762 - alla potenza aggressiva dell’Olanda, questa “repubblica di mercanti di formaggi”, secondo un’espressione attribuita al Re Sole. In quell’anno, quando le truppe francesi moltiplicavano le vittorie, sono stati uditi nei templi “sermoni di punizione” (strafpredicaties), che spiegavano i disastri della guerra come la giusta punizione inflitta a quelli che avevano osato abbandonarsi alle colpevoli delizie dell’accumulazione delle ricchezze ed alle perversioni morali che le accompagnavano.
Come spiegare una tale metamorfosi ? Questo insolente successo si basava su quattro pilastri, che costituivano le fondamenta della potenza delle Sette Province Unite, in particolare quelle dell’Olanda.

1° pilastro: una giovane Nazione
Il primo pilastro è quello della giovinezza di una nazione, forgiata, oltre che saldata al ferro ed al fuoco di una lotta di 80 anni (1566-1648) contro la più grande potenza del tempo, la monarchia spagnola di Filippo II d’Asburgo-Spagna (1727-1598). La maggior parte degli abitanti non sopportava più la tutela spagnola (le guarnigioni nelle città, le imposte, la minaccia di introduzione dell’Inquisizione …) mentre il protestantesimo non smetteva di svilupparsi. C’era stata inizialmente, nel 1566, la “rivolta dei guezen” (1) (gentiluomini venuti a presentare una petizione contro l’Inquisizione alla governatrice dei Paesi Bassi, Margherita d’Asburgo, 1480-1530), accompagnata da una ondata di violenza iconoclasta e seguita poi da una repressione feroce condotta da don Fernando Alvarez de Toledo y Pimentel, il Gran duca d’Alba de Tormes (1507-1582): “Conviene infinitamente di più conservare attraverso la guerra, per Dio e per il re un regno impoverito ed anche rovinato che, senza la guerra, averlo intero per il demonio e gli eretici, questi settari”.
La rivolta, il cui capo era Guglielmo di Nassau, principe d’Orange (1533-1584) viene rilanciata nel 1572 dai “waterguezen” (1) (quelli che erano sfuggiti alla repressione e che si erano rifugiati in Inghilterra, in particolare). Il conflitto sfocia, con l’Unione di Arras, nel 1579, alla quale risponde l’Unione di Utrecht ed alla secessione dei Paesi Bassi in due gruppi di Province, cattoliche e spagnole, a sud, protestante ed indipendente a nord: le Sette “Province Unite” proclameranno la loro indipendenza nel 1581. Esse saranno difese militarmente dalla famiglia Nassau ed in particolare dallo statholder Maurizio di Nassau (1567-1625), che riorganizza l’esercito e protegge le sette province con una fitta rete di piazzeforti. Le “Province Unite” si trasformano, in tal modo, in una “isola fortificata”.
Dopo una tregua di dodici anni (1609-1621) e la ripresa dei combattimenti, occorrerà attendere i Trattati di Westphalia, nel 1648, per vedere riconosciuta internazionalmente l’indipendenza della giovane repubblica. Le Province Unite, nate da questa spartizione dei Paesi Bassi, fra province cattoliche e province protestanti calviniste e dalla difesa dei loro privilegi tradizionali ereditati dal “Circolo di Borgogna” (2), offrono l’esempio quasi unico in Europa della liberazione di un popolo, poco numeroso (2 milioni di persone su un territorio fra i più densamente popolati d’Europa, specialmente l’Olanda e la Zelandia) contro un sovrano considerato come straniero e per conseguenza illegittimo.
Così scrive Jean Louis Guez de Balzac (1597-1654) nel suo Discorso politico sullo Stato delle Province Unite dei Paesi Bassi (Discours politique sur l’Etat des Provinces-Unies des Pays Bas) del 1638: “un popolo è libero a condizioni che esso non voglia più servire”. Egli aggiunge inoltre che “le Province dei Paesi Bassi, che sono sfuggite dalle mani del re di Spagna per averle volute troppo stringere, costituiscono una bella lezione per tutti i sovrani su quello che essi devono nei confronti dei loro popoli e forniscono un esempio memorabile per tutti i popoli su quelli che essi possono nei riguardi dei loro rispettivi sovrani”.
Questa liberazione è andata di pari passo con la costruzione di una repubblica decentralizzata, oligarchica, materializzata da una serie di assemblee, stati provinciali e stati generali che si riunivano periodicamente, detentori del potere pubblico incarnato da un pensionario (3), una specie di segretario permanente d’esecuzione con funzioni civili. Agli Stati Generali, che si tengono di norma all’Aia, siedono i rappresentanti delegati da ogni provincia: una ventina in tutto, ma con solamente un voto per provincia.
Ogni provincia è sovrana, ciascuna viene diretta da uno Stathouder (Stadthoder o Governatore o Luogotenente degli Stati Generali (4) e da una assemblea. L’insieme delle Province Unite a somiglianza delle singole province ha ugualmente gli Stati Generali ed uno Stathouder generale; una funzione tradizionalmente esercitata dalla famiglia Orange-Nassau, che era stata alla testa della lotta contro la Spagna. Anche questo fatto costituisce una singolarità molto forte rispetto alle monarchie che, nello stesso momento si concentrano, centralizzando il potere e tendono a restringere, se non a sopprimere, qualsiasi autonomia o rappresentanza regionale o locale. Tanto per fare un esempio, si guardi in Francia il caso della politica di Luigi XIII (1601-1643) nei confronti degli stati provinciali.

2° e 3° pilastro: Tolleranza e capitalismo; patto sociale
Il secondo pilastro della potenza olandese è quello del pluralismo religioso, sui generis, marcato specialmente dalla coabitazione di tutte le varie confessioni della Riforma: luterani, calvinisti, ma anche anabattisti (5), arminiani (6), gomaristi (7), collegianti (8), sociniani (9) e mennoniti (10). Anche questo aspetto costituisce una specifica caratteristica olandese, nel momento in cui la maggior parte degli Stati europei si costruiscono a partire da una unità religiosa aggressiva ed intollerante (un re, una fede, una legge). Questo regime religioso originale trova la sua origine nell’atto di fondazione delle Province Unite: l’Unione di Utrecht (23 gennaio 1579), che riconosce a tutti il diritto di libertà di coscienza. Una libertà religiosa che non procederà senza scossoni, come lo dimostreranno le dispute che lacereranno le chiese sui temi della predestinazione e della grazia.
Il terzo Pilastro è quello di una nazione fondata su un equilibrio politico e sociale, garantito dall’alleanza di due forze complementari. In primo luogo, la grande borghesia, già capitalista, la cui potenza e fierezza provengono dal grande commercio su tutti i mari del mondo. Al centro dell’universo olandese, scrive il saggista inglese Simon Schama (1945-), nell’Imbarazzo delle ricchezze o Il disagio dell’abbondanza: la cultura olandese dell’epoca d’oro, si trovava il burgher, che non era esattamente un “borghese”, ma primariamente un cittadino e quindi un homo economicus. Questi Burghers hanno contrattato una necessaria alleanza con una aristocrazia militare in declino, ma indispensabile alla difesa delle nuove frontiere, per fare da frangiflutti ad un oceano di monarchie molto spesso ostili: durante gli ultimi decenni del XVI secolo, tutte le città risultano circondate da bastioni “all’italiana” (muraglie meno alte, a stella e più spesse), che impediscono ai cannoni di fare brecce come nelle mura delle città medievali. Oramai, ogni conquista di città suppone un assedio lungo e costoso sotto tutti gli aspetti.

4° Pilastro: un laboratorio intellettuale
Il quarto pilastro è rappresentato da un “laboratorio intellettuale”, che gode di una grande fama in Europa. Questa “aria” singolare che si respira ad Amsterdam ed in molte altre città delle Province Unite è un aria di libertà e di creatività, come ad esempio l’Università di Leyda, fondata nel 1575. Vi si insegna chimica, fisica e soprattutto medicina: uno dei primi teatri anatomici d’Europa é stato quello di Leyda (1593), che comportava un’esposizione permanente di scheletri: il pittore Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606-1669), vi si è reca spesso in questo teatro (dove dipinge due lezioni d’anatomia, nel 1632 e nel 1656), come anche Cartesio (René Descartes 1596-1650), che assiste a diverse dissezioni. Ma in Olanda esiste anche una fiorente arte della stampa, che partecipa attivamente alla diffusione delle nuove idee, al punto tale che gli scienziati di tutta Europa vi inviavano i loro manoscritti per farli pubblicare.
L’Olanda viene trovarsi anche negli avamposti nel fenomeno della grande rivoluzione che costituisce la scrittura del mondo in linguaggio matematico - la rivoluzione scientifica, questo processo che si inquadra in tempi lunghi e che allora riguardava solamente una minoranza di scienziati e letterati. L’ottica e la fabbricazione di strumenti di misura (occhiali o microscopi) rappresentano una delle specialità olandesi: il filosofo Baruch Spinoza (1622-1677) fa parte della corporazione dei tagliatori di lenti, come se il vedere meglio filosofico fosse indissociabile dal vedere meglio materiale. Il fisico Christiaan Huygens (1629-1695) gli comanda alcuni vetri ottici per i suoi telescopi, Questa alchimia di pluralità delle sette, delle idee, delle “nazioni commerciali”, che si fiancheggiano quotidianamente, specialmente ad Amsterdam, dove si ascoltano quasi tutte le lingue del mondo, fa dell’Olanda un crogiolo largamente aperto alle nuove idee: nel 1641 vi viene persino pubblicata una traduzione del Corano.

Il gran libro del mondo
L’itinerario geografico ed intellettuale di Cartesio si rivela molto chiarificatore. Desiderando sfogliare “il gran libro del mondo” egli effettuerà due soggiorni in Olanda. Nel 1631, egli scrive a Guez de Balzac questa famosa lettera nella quale non cessa di tessere elogi per Amsterdam: ci si può acquistare di tutto, ci si sente liberi e si è in sicurezza. “In quale altro paese si può gioire di una libertà così piena, dove si può dormire con minore inquietudine, dove c’é sempre pronta una forza armata, espressamente per difenderci, dove gli avvelenamenti, i tradimenti, le calunnie risultano meno conosciute e dove sia ancora rimasto la maggior parte dell’innocenza dei nostri avi ? “
Egli confida anche che, in questa grande città “dove mi trovo, non esiste alcun uomo, ad eccezione di me, che non svolga attività commerciale, ciascuno vi è talmente preso dal suo profitto che io potrei dimorarvi tutta la mia vita senza mai essere notato da qualcuno”. Inoltre, egli soggiunge che si reca a passeggio tutti i giorni “fra la confusione di un gran popolo, con tanta libertà e tranquillità come potreste fare nei vostri viali”.
Non è dunque per caso se Spinoza, nato in un famiglia di mercanti ebrei venuti dal Portogallo, ha potuto, proprio in questa nazione, vivere, scrivere e pensare. E’ stata dunque questa aria speciale, che si respirava ad Amsterdam, a Leyda ed in tante altre città dell’Olanda, che gli ha consentito questo progresso di pensiero che ha poi aperto la strada per la repubblica e per la democrazia. Una dichiarazione di guerra contro il vecchio ordine del mondo … .

NOTE
(1) Geuzen (Pezzenti, in francese Gueux) era il nome assunto dalla confederazione di nobili calvinisti olandesi e altri scontenti che nel 1566 si rivoltarono contro il governo spagnolo nei Paesi Bassi. Il gruppo di geuzen che ebbe maggior successo operava sul mare e così furono chiamati Watergeuzen (pezzenti del mare).
(2) Il Circolo di Borgogna, costituito nel 1512, dalla Dieta di Colonia, da Carlo d’Asburgo (futuro Carlo V), duca di Borgogna, faceva parte di uno dei 10 circoli amministrativi in cui era suddiviso l’Impero. Il Circolo si compone principalmente degli Stati borgognoni, ad ovest del Sacro Romano Impero Germanico, ai quali vengono aggiunti i Paesi Bassi nel 1548. Il Circolo era una struttura amministrativa quasi indipendente;
(3) Per Pensionario si intende un'importante carica politica, presente nella Repubblica delle Sette Province Unite, che deve il suo nome al salario, o pensione, che ricevevano durante il loro servizio. Essi gestivano gli affari legali della città ed erano segretari dell'assemblea cittadina, nonché rappresentanti e portavoce di essa durante le riunioni degli Stati provinciali. La carica del pensionario era permanente e godeva di notevole autorità. Veniva eletto fra le classi dell'alta borghesia, quindi i mercanti, che, nella repubblica, ebbero grande influenza, dato che lo stato era la maggiore potenza mondiale riguardo ai commerci a quei tempi.
Il gran pensionario (in olandese: Raad(s)pensionaris) è stato il più importante funzionario olandese al tempo della Repubblica delle Sette Province Unite. Formalmente l'ufficio in sé comprendeva solo funzioni civili nell'ambito dell'amministrazione della principale delle Sette Province Unite, ovvero l'Olanda. In pratica, però, il Gran Pensionario d'Olanda era, di fatto, il delegato alla politica estera e la figura politica dominante dell'intera repubblica nel primo e nel secondo periodo di vacanza dello statolderato.
La sua importanza crebbe parecchio nel periodo della rivolta del 1572, e ancor di più dal 1586 al 1619, quando John van Oldenbarneveldt (1547-1619) è stato in carica. L'avvocato elaborava e introduceva tutte le risoluzioni, poneva fine ai dibattiti e contava i voti nell'assemblea provinciale. Quando esso non era in seduta, il pensionario era un membro permanente del collegio dei consiglieri deputati che gestivano l'amministrazione. Era ministro della giustizia e della finanza.
(4) In origine, sotto il dominio spagnolo, lo "Statholder" non era che il luogotenente del principe in una parte del territorio, durante una sua assenza. In Olanda gli Statholder stavano a capo del governo civile, ma furono anche comandanti delle truppe del territorio sotto la loro giurisdizione. Se dunque prima lo Statholder, come rappresentante del sovrano, era al disopra degli stati, con l’indipendenza ne diventa l'incaricato della gestione amministrativa delle province e dello Stato. Gli Statholder tenderanno peraltro verso un governo accentratore e la carica di Statholder Generale diventerà ereditaria nei Nassau. Questa tendenza sarà all’origine, a varie riprese, di conflitti contro le tendenze separatiste, autonomiste e autocratiche dei reggenti;
(5) Anabattisti, dal greco anabaptizein (battezzare di nuovo): per essi, solo persone adulte che hanno fornito dimostrazione di una professione di fede personale possono ricevere il battesimo e non i ragazzi. Essi propugnano inoltre la separazione assoluta della Chiesa e dello Stato ed il principio del ministero laico. Organizzati al seguito di Melchior Hoffman, l’Anabattismo olandese è segnato dall’esperienza millenarista del Regno di Munster nel 1534-35, che darà un’immagine particolarmente negativa dei suoi membri e spiega la durezza delle persecuzione nei loro riguardi;
(6) Arminiani, chiamati anche “rimostrati”, essi riuniscono i discepoli del teologo di Leyda, Jacobus Arminius (1560-1609). Quest’ultimo respinge le tesi ultra calviniste sulla predestinazione:la salvezza non è determinata prima del peccato originale, come lo affermavano gli ultras, ma si limita ai veri credenti. Nel 1610, 44 dei suoi discepoli indirizzano una “rimostranza” agli stati provinciali dell’Olanda affinché sia accettata la visione arminiana della predestinazione. La loro richiesta viene respinta dal Sinodo di Dordrecht nel 1619 e da quel momento i suoi seguaci si costituiscono in chiesa separata,inizialmente clandestina e quindi dal 1631 riconosciuta. La loro visione della supremazia dei poteri civili sulla Chiesa fa guadagnare loro molte simpatie nell’ambito della società olandese;
(7) Gomaristi. Derivano da Franciscus Gomarus (Franz Gomaer 1563-1641), predicatore e teologo olandese calvinista. Abile ed ardente difensore dell'Ortodossia calvinista, protestò contro gli insegnamenti di Arminio, suo collega dal 1603 a Leida, considerandoli una pericolosa negazione della dottrina dell'elezione. Questa controversia cresce e si diffonde attraverso le chiese riformate olandesi, vedendo contrapposte le fazioni dei "Gomaristi" e degli "Arminiani". La morte di Arminio (1609) è seguita dalla Rimostranza arminiana del 1610 e dalla contro-rimostranza del 1611. La sua Opera theologica omnia fu pubblicata subito dopo la sua morte (2 volumi, 1645). Gomarus, da parte sua, sosteneva una versione scolastica del Calvinismo, sottolineando l'importanza della dottrina, e assumendo, al riguardo della predestinazione (il Sinodo di Dordrecht lasciò la questione aperta), la posizione supralapsarianista, sostenendo cioè che Dio avesse deciso la salvezza o la dannazione degli individui prima (supra) della caduta di Adamo (lapsus). La sua Opera theologica omnia fu pubblicata subito dopo la sua morte (2 volumi, 1645).
(8) Collegianti. Gruppo religioso conosciuto per la sua pratica radicale della tolleranza, ma più ancora per aver fatto parte del piccolo circolo formato intorno a Spinoza. I suoi membri, si riunivano in un “collegio”, da cui il nome, per praticare la lettura e l’esegesi della Bibbia in nome della dottrina della “libera profezia”. Adepti del battesimo degli adulti e della comunione, essi rifiutavano l’adesione ad una chiesa confessionale in particolare, per difendere una chiesa cristiana universale;
(9) Sociniani. Essi si appoggiano su una lettura razionalista della Bibbia e negano i dogmi della Trinità, della Resurrezione dei corpi e della predestinazione. Il loro nome deriva dal teologo italiano Fausto Sozzini, morto nel 1604. La loro corrente viene fortemente repressa in Olanda,a causa della negazione della natura divina del Cristo;
(10) Mennoniti. Essi formano il terzo gruppo religioso nell’ambito delle Province unite del secolo d’oro ed il più prospero economicamente. Essi devono il loro nome a Menno Simons (1496-1561),prete cattolico di origine frisone, che aveva lasciato la chiesa nel 1536. Allo stesso modo degli anabattisti, dai quali si sono distaccati dopo il 1535, essi si caratterizzano per il loro rifiuto di prestare giuramento, per la pratica del battesimo degli adulti e per il principio del ministero laico, ma se ne distinguono per la loro condanna del porto delle armi e di qualsiasi ricorso alla violenza.

BIBLIOGRAFIA
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de Voogd C., Storia dei Paesi Bassi, Fayard, 2003;
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