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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

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Il calzolaio ed il ciabattino

IL CALZOLARO[1] ED IL CIABATTINO[2]

Un artigiano in via di estinzione

 

(stampato, su “SUBASIO” n. 3/12 del settembre 2004, Bollettino trimestrale dell’Accademia Properziana del Subasio di Assisi)

Un interessante articolo del Prof. Santucci, recentemente apparso su Subasio e concernente lo “Statuto dei Calzolai” di Assisi, mi ha spinto a curiosare sulla storia di questa attività. Prima dell’avvento dell’era industriale l’artigiano calzolaio o calzolaro era un elemento indispensabile della vita quotidiana. Talmente importante che nella metà del 19° secolo si arrivò persino a scrivere che “il mestiere del calzolaio è quello che più si avvicinava alla scultura”. Espressione estrema che è il riconoscimento del valore incontestabile del suo saper fare. Oggi la parte artigiana di tale attività é in piena decadenza ed in rapida estinzione.

I primi uomini calzati sembrano essere quelli rappresentati su delle pitture rupestri scoperte in Spagna e datate circa 15 mila anni avanti Cristo. Una specie di stivali di pelle per quello che ci è dato comprendere. I Babilonesi sembrano poi essere stati i primi che hanno saputo trattare la pelle delle capre o dei montoni per farne del cuoio, attraverso il processo di concia con l’aiuto della noce di galla[3]  o del sommacco[4]. I Sumeri e gli Egiziani normalmente marciano a piedi nudi o con dei sandali di palma intrecciata e cucita, fermati con delle cinghie passate intorno alle caviglie e gli alluci. A quest’epoca se gli uomini risultano calzati, cioè con una pelle che copre il piede e la parte terminale della gamba, vuol dire che sono dei cacciatori o dei soldati. Tuttavia i faraoni portano normalmente dei sandali[5] di cuoio, ornati di ricami di perle come quelli ritrovati nella tomba di Tutankhamon.

I Greci a loro volta, come i loro Dei, portano dei sandali. Mercurio (Ermes), messaggero dell’Olimpo, indossa dei sandali alati. In ogni caso nello stesso periodo, come lo descrive Omero nell’Odissea, “Eumeo era seduto e si aggiustava ai piedi un paio di sandali che ritagliava da un pezzo di cuoio di bue tinto”. In tale contesto, proprio perché il soggetto è ricordato intento a confezionarsi da solo un paio di sandali, il divino guardiano di porci può essere considerato come uno degli antesignani della nobile “Arte del Calzolaro”. Questo piccolo brano ci porta però anche a inferire che al tempo di Omero, gli uomini dei campi o il tipo di personaggi rappresentato da Eumeo non andavano necessariamente a piedi nudi.

Si narra inoltre che il poeta greco Philetas di Kos[6], del 400 avanti Cristo, portasse dei sandali con una suola di piombo per paura di essere portato via dal vento. Ma la storia non ci ha fornito nessuno degli elementi connessi con questa speciale fabbricazione. Sarà stata l’opera di un calzolaio o di un fabbro ferraio ? Oppure il racconto  evocava solamente di una immagine poetica e simbolica. ?

Al tempo di Roma si fa ricorso, nello specifico settore ed a seconda dei casi, al calzolaio civile (Sutor), a quello militare (Caligarius) o al fabbricante di sandali (Solearius o Baxearius). Questi sono allo stesso tempo degli artigiani specializzati e dei mercanti presenti nel Foro. I loro laboratori sono istallati in un quartiere il cui ingresso è vegliato da una statua di Apollo, calzato di sandali, da cui il nome di Apollo Sandalarius.

I Romani portavano al piede le “Soleae[7], sandali fissati al collo del piede con una cinghia, le “Calcidae”, una specie di vere e proprie scarpe “ante litteram”, le “Caligae[8] o “Caligulae”, scarpe completamente chiuse, le “Crepidae[9] simili a delle espadrilles[10] fissate con delle piccole strisce (corregge). Il Campagus, che poco si differenzia dalla “Caliga”, è la calzatura ordinaria dell’Imperatore. All’interno delle case le donne portano normalmente il Soccus[11], una specie di pantofola.

Dopo la conquista della Gallia nell’Impero Romano vanno molto di moda le scarpe “Gallicae”, i sandali dei Galli, con la suola di legno, allacciati sul davanti. In ogni caso solo i cittadini portano le calzature. I poveri e gli schiavi non possono portarne e gli schiavi in particolare ne sono interdetti.

Peraltro, la stravaganza in questo settore, soprattutto per quanto concerne i potenti, è estrema. I sandali sono ornati di metalli preziosi, di incrostazioni di pietre fini o semi preziose. Giulio Cesare porta dei sandali con la tomaia in oro nei momenti topici della sua vita pubblica. E’ di fatti con i sandali con la suola d’oro, secondo la moda imperiale, che Nerone colpisce ripetutamente al ventre Poppea, incinta, facendola morire.

Riguardo Eliogabalo si narra che non portasse per due volte di seguito lo stesso paio di scarpe. Per contro Gaio Cesare, che porta così spesso le sue “Caligulae”, viene soprannominato dai suoi soldati “Caligola”.

La suola è a quel tempo oggetto di una attenzione e di un lavoro particolare. Essa viene trattata per il suo valore simbolico. I chiodi vi vengono disposti in modo che possano lasciare delle impronte perfettamente leggibili e riconoscibili. Ogni reggimento possiede così una sua particolare disposizione di chiodi. Riguardo alle cortigiane romane, le impronte delle loro scarpe indicano chiaramente e senza ambiguità: “Seguimi !” Inoltre delle spesse suole di sughero permettono a queste signore ed anche alle altre di apparire più alte.

Anche il colore delle scarpe non è certo senza significato. Solo gli uomini di potere hanno il diritto all’uso del colore rosso. La concia delle pelli si realizzava grazie all’utilizzazione dell’allume, una tecnica difficile e quindi costosa per ottenere del cuoio chiaro, di fatto le scarpe bianche erano riservate all’imperatore. Non mancano esempi di legiferazione concernenti le scarpe ed in particolare i calzolari, che denota chiaramente la loro importanza sociale.

Marco Aurelio, l’imperatore saggio e filosofo, non tralascia, nel quadro dell’emanazione di leggi suntuarie, di ordinare la proscrizione dell’uso di scarpe colorate per gli uomini. Eliogabalo da parte sua proscrive alle matrone di portare sandali ornati di ricami o di pietre preziose.

Nel medioevo in particolare si evidenziano differenti corporazioni di mestieri legate alla confezione delle scarpe. I calzolari cucitori (suere = cucire) fabbricano le tomaie[12] in tutti i tipi di cuoio possibili, mentre all’inizio i calzolai sono specializzati solo nel cuoio di Cordova o nel marocchino, cuoio di capra, tannato[13] con sommacco o noce di galla. La “bazzana[14], un cuoio di montone, era loro strettamente vietato. Quest’ultima, in particolare, era riservata ai soli Ciabattai, che realizzavano eclusivamente scarpe di modico prezzo. Col passare del tempo la predetta distinzione fra calzolai e ciabattai viene a scomparire e le due categorie verranno ad indicare la prima i fabbricanti di scarpe e la seconda che le ripara.

Entrambi i mestieri vengono severamente inquadrati. Contrariamente a quello che avviene oggi, il calzolaio non è autorizzato alle riparazioni sommarie delle scarpe e non può impiegare che del cuoio nuovo e mai prima utilizzato. Questa regola risulta molto severa nei ciabattini dove é vietato tassativamente di impiegare del lavoro vecchio nel nuovo. Il ruolo del riparatore viene progressivamente devoluto al ciabattino. Uno statuto del 1614 del Regno di Francia, sotto Luigi 13°, decreta che “Sia fatto divieto ai detti ciabattini di mettere nel loro lavoro più di un terzo di cuoio nuovo, secondo i decreti in vigore…..”

Il Calzolaio è un personaggio importante nell’ambito cittadino. A riprova di ciò egli paga le stesse tasse ed imposte degli altri borghesi, ma nonostante tutto egli rimane soggetto ad un certo numero si limitazioni o vincoli, quali il divieto di lavorare dopo il tramonto “a meno che si tratti di un lavoro destinato al signore del luogo od alla sua gente o per sé stesso e per quelli della sua casa ”. E’ soggetto al divieto di lavorare la domenica, giorno del Signore, e neanche il sabato sera, “dopo l’ultimo tocco del vespro suonato dalla parrocchia nella quale dimora ”.

La scarpa a punta, detta alla polacca (Poulaine in francese), adottata dagli uomini del medioevo, fa la fortuna del calzolaro del 14° e 15° secolo, tanto che la prorompente moda arriva persino a preoccupare le autorità. Nel 1368 Carlo 5° di Francia emette un editto contenente il divieto di calzarle. Ma naturalmente è fatica sprecata. Un secolo più tardi, nel 1463, il Re d’Inghilterra Edoardo 4° ne interdice persino la fabbricazione. Attraverso un altro editto stabilisce inoltre che i calzolari che fabbricano delle scarpe esclusivamente per i Lord, la cui punta superi i due pollici, devono pagare 20 scellini di ammenda, che andranno per un terzo rispettivamente al Re, alla Corporazione dei Calzolari di Londra ed alla Camera dei Lord. Da parte sua Papa Paolo 2°, con una bolla del 1468, condanna l’uso di questa scarpa oscena che stigmatizza come “una offesa a Dio ed alla Chiesa ”.

E pur vero che questa scarpa riempita di crine, per il fatto di essere dritta ed appuntita, rappresenta un simbolo fallico, che disturba non poco gli spiriti ben pensanti dell’epoca, ma, nonostante questo, il suo uso non si affievolirà che con l’inevitabile e ciclico cambio di moda. Non per niente oggi è di nuovo in auge, stavolta fra le … donne !.

Fino a verso il 1780, il calzolaio fabbrica scarpe identiche per entrambi i piedi, fatto che obbliga il suo utilizzatore a permutarne l’uso ogni mattina, in modo da impedirne una deformazione troppo rapida. Sono i piedi che fino a quel momento soffrono il martirio. La Rivoluzione francese li libera dalle loro pastoie. Da quel momento ci sarà un piede destro e sinistro. Una vera e proprio rivoluzione anche nello specifico settore. Ma l’effetto non è la conseguenza di una legge. Ma molto più semplicemente per il fatto che le scarpe, come gli abiti, vengono fabbricate con una speciale attenzione al confort o al benessere dell’utilizzatore. Tutto questo perlomeno per quelli che sono abbastanza fortunati da permettersi delle calzature, poiché come è ovvio, quelli che marciano ancora a piedi nudi e rappresentano ancora una parte importante della popolazione, non hanno alcuna limitazione, a parte l’assenza totale di protezione.

Altre categorie di persone, specialmente quelle delle campagne, si rivolgono ai fabbricanti di zoccoli[15] e portano della scarpe di legno (vedasi le Ciocie in Ciociaria). Gli zoccoli di legno conoscono uno straordinario sviluppo nel corso del 19° secolo, proprio perché quelli con la suola di stagno erano eccessivamente onerosi economicamente per la maggior parte delle persone.

Pertanto dai Romani fino all’inizio della industrializzazione il mestiere di calzolaio non è praticamente cambiato, anche se i tipi di calzature hanno subito una notevole evoluzione. Nel corso dei secolo gli utensili impiegati sono rimasti praticamente gli stessi, così come sono rimasti gli stessi i gesti e l’organizzazione del lavoro. Rivestito di un grembiule di cuoio ed armato di una protezione per le mani, il calzolaio si presenta seduto con il tavolinetto degli utensili sulle ginocchia che gli serve anche d’appoggio. Vi piazza sopra la sua speciale incudine, uno strumento a forma di piede rovesciato, detto più semplicemente il “piede”, sul quale infila la scarpa che fabbrica o ripara, ogni volta che deve effettuare un lavoro di inchiodatura o di cucitura. Il montaggio degli elementi di una scarpa viene realizzato su una forma in legno con l’aiuto di pinze, che permettono di stirare il cuoio e di una morsa per realizzare le curvature. Le forme sono diversissime fra di loro a seconda dei piedi e naturalmente della …. moda!

Con il roncolino e le forbici il calzolaio taglia il cuoio, poi utilizza il trancetto o il coltello a forma di piede arrotondato, per ritagliare certi pezzi - suole e gambali ad esempio - su un ripiano specifico, generalmente realizzato in legno di tiglio. Il martello è l’utensile più frequentemente impiegato. Questo è rimasto inalterato dall’epoca dei romani. E’ da sempre servito a battere il cuoio con la parte piatta e rigonfia, a conficcare i punteruoli[16] od a creare la forma nel cuoio. L’altra testa del martello, a punta, serve ad eliminare le pieghe od a segnare le piegature. Il calzolaio dispone inoltre di tutta una serie di punteruoli dagli usi più disparati (per perforare, per i tacchi, per i piccoli punti, per le cuciture) che servono a forare il cuoio il cuoio nel modo più fine e preciso possibile per passarvi poi il filo delle cuciture. Quest’ultimo si realizza con setole di porco o più raramente di cinghiale, infilate su degli aghi. La setola è di per sé stessa rigida, grezza e quindi difficile da utilizzare e tale lavoro obbliga l’artigiano a proteggersi le mani per non ferirsi. Egli utilizza anche del filo da cucire rivestito di pece[17]. L’odore che ne promana è forte ed acre e questo fatto, unito alle immancabili macchie nere di pece e di lucido sulle mani e sul grembiule, conferiscono al calzolaro una reputazione non certo idilliaca dal punto di vista dell’igiene. E’ questo anche il motivo perché nel passato l’artigiano cercava di diffondeva all’interno del suo laboratorio l’odore del basilico, contenuto in larghi vasi, che era giudicato il rimedio più idoneo a neutralizzare i forti odori concorrenti del cuoio e della pece.

Ma la panoplia degli utensili del calzolaro prevede ulteriori ferri specifici del mestiere, per tagliare, stirare, perforare, battere, rivettare, cucire, grattare, lisciare, senza poi contare i diversi strumenti di supporto che gli sono necessari. Il complesso dei suoi strumenti venivano chiamati in Francia “Crepins” (I Crispini) dal nome dei due santi protettori della professione. Questi, due fratelli di nome Crispino e Crispiniano, furono calzolari e martiri nel 287 a Soissons, nella Gallia, sotto il Regno dell’Imperatore Diocleziano e la loro festa cadeva il 25 ottobre, ricorrenza sistematicamente festeggiata a partire dal 1208.

Dopo secoli di splendore dell’Arte dei Calzolai, oggi l’attività, specie quella del ciabattino, che costituiva uno degli elementi caratteristici del tessuto artigiano cittadino dei tempi della giovinezza di chi scrive, ha subito una drastica e rapidissima decadenza, fino a praticamente scomparire dal panorama sociale. Questo fenomeno è l’effetto combinato della mancata trasmissione alle nuove generazioni dei rudimenti del mestiere (saper fare) e, precipuamente, del processo di industrializzazione del settore calzaturiero, che ha reso il prodotto finito assai diversificato ed a buon mercato ma soprattutto ha determinato – con il concomitante l’incremento dei costi della manodopera - la assoluta non convenienza di qualsiasi riparazione rispetto al valore d’acquisto del bene.

 

[1] Calzaiuolo, o Calzolaio: Colui che fabbrica o vende calzature; dal latino Calceolarium, derivato da Calceus, Scarpa, derivato a sua volta da Calx, calcis : Calcagno:

[2] Colui che ripara le scarpe. Detto anche Ciabattaio, sinonimo di colui che fa o vende ciabatte. Espressione che col tempo ha anche assunto un significato meno nobile nel mestiere del calzolaio.

[3] Bernoccolo o escrescenza ricco di tannino, provocato, specie sulle gemme delle querce, o sulle foglie o dei rami, da un insetto della famiglia dei cinipidi ed usato come astringente nella preparazione degli inchiostri ed in tintoria.

[4] Arbusto mediterraneo (Rhus coriaria) con dei piccoli fiori biancastri disposti a pannocchia e foglie lanceolate ricche di tannino: usato per tannare (concia) e per ricavarne un infuso dalla proprietà astringenti e febbrifughe

[5] Da Sandalum latino o Sandalon greco; scarpa con suola bassa, aperta, senza tacco, fissata al piede con stringhe o cinghie di cuoio od altro materiale

[6] poeta elegiaco greco, post classico, nativo del Dodecanneso (340 - 240 a.C.). Tutore di Tolomeo 2° figlio di Tolomeo 1° d’Egitto. Propugnatore dell’elegia breve in contrapposizione ad Apollonio di Rodi (peoma epico), rivale di Callimaco di Kyrene. Citato da Ovidio e da Properzio, quest’ultimo, però, gli preferiva Callimaco.

[7] Solea, sorta di scarpa aperta, sandalo. Da cui l’italiano Suola.

[8] Calzatura militare con suola ferrata, che dette poi il soprannome all’Imperatore Caligola.

[9] Crepida, antica calzatura greca o romana, con suola molto alta, allacciata al collo del piede mediante strisce di cuoio

[10] dal francese antico espardille: calzature basse di tela con suola di corda

[11] Socco, calzatura leggera e bassa simile alla pantofola di origine greca. Calzatura usata anche dagli attori comici, in contrapposizione al Coturno usato normalmente da quelli tragici: calzatura con allacciatura alla caviglia o al polpaccio e suola molto spessa così da rendere più elevata la statura e più imponente la persona.

[12] Tomaia : parte superiore della scarpa che copre il piede.

[13] Concia con sostanze tanniche

[14] pelle di montone parzialmente conciata, usata per foderare le scarpe, borse, rilegare libri; si differenzia dalla Alluda: pelle di pecora, castrato o capra conciata in allume

[15] Calzatura scavata in un unico pezzo di legno o con la sola suola di legno e la tomaia costituita da una o più strisce di cuoio..

[16] Attrezzo costituito da una sbarretta speciale d’acciaio con o senza manico, con una punta estremamente acuminata, impiegato per praticare o allargare fori

[17] sostanza resinosa o bituminosa ottenuta dalla distillazione di catrami ricavati da sostanze organiche, di colore nero, molto viscosa, che si scioglie facilmente al calore, usata anche per l’impermeabilizzazioni o come materiale protettivo. Nel Medioevo era usata anche come arma di difesa nei castelli, rovescianta bollente sugli assalitori.

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