La SHARIA
Istruzioni per l’uso, ovvero il Corano nel quotidiano
(stampato sulla pag. del CORRIERE dell’UMBRIA di PG, del giu 2004)
Il libro sacro nel mondo mussulmano non prevede tutti casi della vita quotidiana del credente. A fronte di questa carenza di spiegazioni, i primi Califfi sono costretti a reagire e trovare una soluzione.
Ladri dalle mani amputate, donne adultere lapidate, uomini flagellati perché colpevoli del mancato rispetto del divieto di consumazione di alcolici, intellettuali minacciati di morte per aver fatto professione di ateismo …. La Sharia, insieme al Jihad (Guerra Santa) è senza dubbio il termine che più fortemente evoca nell’uomo occidentale la rappresentazione di un Islam dai caratteri medievali, un vero nemico dei diritti dell’uomo.
Dal Pakistan al Sudan, dall’Afghanistan all’Arabia Saudita, passando per l’Iran, l’islamismo più radicale ha contribuito non poco a diffondere questa visione di una legge religiosa immutabile, fondata su dei principi spogliati di ogni pietà.
La Sharia fornisce in effetti al mussulmano gli orientamenti e le indicazioni della via da seguire dal punto di vista giuridico, consentendo inoltre allo stesso tempo l’ordinato convivere ed il funzionamento della comunità mussulmana.
In sostanza essa definisce i rapporti dell’uomo con la divinità e degli uomini fra di loro nel ristretto ambito della vita quotidiana. Ma se si vuole comprendere tutta la sua portata e le sue implicazioni nei conflitti che scuotono l’Islam contemporaneo, non bisogna compararla semplicemente ad un codice penale, alla maniere ad esempio del codice napoleonico. Anche se la Sharia presenta indubbiamente degli aspetti giuridici essa è un fenomeno decisamente molto più complesso. Essa appare piuttosto come un insieme di testi che riuniscono una serie di principi, sia di natura religiosa, sia di natura giuridica.
La Sharia, elaborata nel corso dei primi secoli dell’Islam, rappresenta la sintesi e la conseguenza di fonti diverse.
Il Corano ne rappresenta la sorgente primaria, proprio perché riporta la parola divina, ma dei circa sei mila versetti (Sure) del Corano ce ne sono poco più di duecento che rivestono un carattere giuridico. Veramente poco per legiferare in tutti i campi della vita di una comunità che nel giro di pochi decenni si è estesa in maniera considerevole, evidenziando esigenze e problematiche completamente nuove e sconosciute allo stretto ambito del mondo della penisola arabica.
I Dottori dell’Islam si sono pertanto dovuti rivolgere verso la Tradizione, la Sunna, che rappresenta la seconda sorgente della Sharia e che riunisce il complesso degli Hadith, tutti i numerosi Commenti espressi dal Profeta e dai suoi primi compagni di fede.
L’elaborazione di questa raccolta ha suscitato delle vive controversie (specie nell’individuare il vero dal falso nella massa di commenti apocrifi esistenti), senza peraltro risolvere definitivamente il problema, per l’impossibilità di raccogliere delle prove incontestabili. Ciò nondimeno gli Hadit occupano nella Sharia un ruolo ed una posizione decisamente più importante rispetto ai versetti del Corano.
Lo sforzo di riunire e revisionare i commenti al Corano non è risultato sufficiente a stabilire un insieme giuridico idoneo e soprattutto adeguato alle esigenze dello smisurato impero conquistato dai successori del Profeta.
Al Corano ed alla Sunna si è gradatamente aggiunta la Giurisprudenza, il Fiqh, diritto elaborato dai Dottori della Legge, per adeguare ed allineare i testi sacri ai differenti contesti etnici culturali e geografici ed alle differenti esigenze connesse. Questa ricerca di risposte adeguate, nello spirito del Corano e della Sunna, non solo alle necessità locali della vita religiosa ma anche a quelle sociali e politiche, si fonda su un principio fondamentale del diritto mussulmano: un indispensabile Sforzo di Interpretazione, l’Ijitihad[1], dei precetti dell’Islam che permettono ai Credenti di vivere al passo con i tempi.
L’elaborazione di questa giurisprudenza, ha consentito, a partire dall’8° secolo, la nascita e lo sviluppo di quattro grandi scuole giuridiche[2], la cui rilevante influenza si fa ancora sentire al giorno d’oggi. Il diritto islamiche che viene comunemente designato sotto il termine di Sharia e pertanto il risultato di questo lavoro di interpretazione e di codificazione delle fonti dell’islam, condotto dai giuristi mussulmani fra il 7° ed il 10° secolo: Quest’opera, a partire da questa epoca, è rimasta praticamente immutata, specie nell’Islam sunnita, a seguito del cosiddetto fenomeno di “Chiusura delle porte dell’Ijitihad”, effettuato dal mondo mussulmano di allora, per ragioni sia politiche che religiose, forse anche nella errata convinzione che l’essenziale dello sforzo interpretativo era stato già condotto a buon fine.
Ciò nonostante l’applicazione della Sharia è risultata variabile da un paese all’altro, specie per l’effetto del peso delle tradizioni locali, come ad esempio nei paesi mussulmani dell’Asia. La severità delle pene che la Sharia prescrive è stata ugualmente temperata dalla scrupolosità imposta nella individuazione della colpevolezza e nei gravi rischi che corrono i colpevoli di falsa testimonianza (80 colpi di frusta per una accusa infondata di adulterio).
Peraltro la Sharia non rappresenta più oggi la legge fondamentale per numerosi paesi a maggioranza mussulmana, che hanno adottato dei sistemi giuridici prossimi a quelli in vigore in Europa.
Misto di raccomandazioni di origine divina e di tradizioni ereditate da un epoca passata, la Sharia rimane comunque un problema d’attualità in tutto il mondo mussulmano. Numerosi intellettuali mussulmani, a differenza degli islamisti radicali e nel solco di un movimento riformatore apparso nel secolo scorso, si sforzano di evidenziare i gravi limiti di un codice giuridico che, anche se non sempre ufficialmente in vigore, continua a permeare, fortemente ed in maniera considerevole, la cultura mussulmana. Allo stesso modo la disuguaglianza della donna nei confronti dell’uomo; la differenza di uguaglianza per i credenti di confessioni religiose non mussulmane il cui statuto, previsto dal Corano (Dhimmi, che era eufemisticamente l’espressione giuridica di una tolleranza poco comune per …. quei tempi), concede tutt’ora una sorta di “apartheid”, con diritti civili… ridotti all’osso.
Infine la difficile libertà di coscienza, in quanto l’accusa di apostasia (abbandono volontario di una religione) anche se raramente conduce alla condanna a morte colui che rinnega la sua fede, ciò significa comunque, per il colpevole, la messa al bando dalla società e la perdita di tutti i suoi diritti. Una tale sorte colpisce ancora oggi, in numerosi paesi, anche tutti i riformisti dell’Islam, per i quali l’adeguamento della legge mussulmana dovrebbe passare necessariamente nella perdita di sacralità e di immutabilità di principi, adottati in un epoca ed in un contesto storico oggi superati.
Questa dissacrazione resta comunque un fenomeno ancora da percorrere, ma esso non appare illegittimo nei riguardi della stessa tradizione religiosa e giuridica. Omar, il secondo Califfo, non aveva forse vietato l’amputazione delle mani dei ladri in periodo di sconforto e di crisi ? E questa crudele prescrizione proveniva in ogni caso direttamente dal testo più sacro dell’Islam, il Corano !!!
[1] Lo “sforzo” di innovazione e di interpretazione, anche personale, della legge mussulmana, in opposizione al concetto della sottomissione senza riserve alla tradizione (Taqlid).
[2] Malekita, Anafita, Hanbalita, Kafeita