LA SPADA DI DAMASCHINO
Tecnica di fabbricazione della spada nel medioevo
(stampato sul “SUBASIO” n. 1/12 del marzo 2004, Bollettino trimestrale dell’Accademia Properziana del Subasio di Assisi,)
Quando si osserva una spada ricoperta di ruggine in una vetrina di un museo, difficilmente si riesce ad immaginare capire quale fosse il suo vero aspetto e soprattutto quali tesori di tecnologia furono utilizzati per la sua fabbricazione.
Le spade di damaschino del cosiddetto periodo “oscuro” del medioevo, sono fra le più belle mai forgiate dalla mano dell’uomo ed i loro nomi si sono persino trasmessi fino ai nostri giorni, come Excalibur, Durandal. Da un punto di vista storico esse corrispondono all’epoca carolingia o anteriore. Successivamente la fabbricazione di tali tipi di armi subisce un lento inarrestabile declino per praticamente quasi sparire nel periodo delle Crociate. Questo declino è ancora oggi difficilmente comprensibile: per certi autori la spiegazione risiede nella forte domanda di spade esistente nel periodo delle predette spedizioni in oriente, coniugata con l’impossibilità di effettuare una produzione di massa per delle armi così complesse. A queste cause sicuramente fondate va forse aggiunta anche quella di un cambiamento nell’estetica delle spade e soprattutto quella della modernizzazione nella produzione degli acciai e nelle tecniche di tempra[1] e di rinvenimento[2]
La tecnica del damaschinato attraverso la saldatura di forgia ha subito una eclisse di circa mille anni prima di essere riscoperta, principalmente per merito di Eduard Salin, negli anni 50 e 60. In effetti, in occasione degli scavi di cimiteri merovingi e più raramente nella scoperta di spade carolingie (bisogna tener conto che la Chiesa, a partire da questa epoca, aveva invitato i fedeli a non deporre dei corredi funerari accanto ai defunti), gli archeologi si erano accorti che le spade ritrovate possedevano dei disegni strani sul piatto delle lame. Si avanzò persino l’ipotesi che dei fili di metallo fossero stati incrostati nel metallo a fini di decoro, ma dopo alcune analisi di laboratorio si accorsero che la decorazione era l’effetto della massa del metallo, cosa che escludeva a priori una qualsiasi pseudo tecnica di damaschinato.
Ulteriori sperimentazioni permisero di scoprire la tecnica di fabbricazione. La lama era stata semplicemente forgiata con dei metalli eterogenei, nel caso specifico, ferro ed acciaio e questo secondo uno schema predeterminato al fine di produrre un certo effetto estetico.
In seguito queste tecniche sono state pazientemente riprodotte da parte di artigiani specializzati il cui talento e capacità tecnica ha permesso di riottenere una perfetta riproduzione di questo tipo di spade.
Per comprendere la nozione di Damaschinato, è sufficiente immaginare gli importanti vincoli meccanici che una spada deve soddisfare: deve possedere un taglio molto duro in modo di essere affilato ma deve anche essere abbastanza leggera e resistente da non spezzarsi sotto l’effetto di un impatto violento su un elmetto o su uno scudo. Tutto il paradosso della spada viene dal fatto che il ferro è leggero ma malleabile e duttile mentre l’acciaio temprato è duro ma facile alle rotture. Per conciliare ed ottimizzare i due vantaggi e nel contempo minimizzare i due inconvenienti è sufficiente associare intimamente questi metalli; cosa che è resa possibile dalla eccellente qualità posseduta da questi elementi di saldarsi fra di loro a caldo. Poiché questi metalli reagiscono in maniera diversa all’applicazione di un acido (l’acciaio annerisce ed il ferro rimane neutro) sarà quindi possibile alla fine della lavorazione ottenere un disegno di bell’effetto sulla lama.
La più grande parte delle lame del medioevo è pertanto forgiata secondo la tecnica del damaschino che poi troverà un perfezionamento nel Damaschino ritorto.
Un forma primitiva di questa metodologia si trova nella lunga spada di Tène la cui tecnologia sarà perfezionata dai Germani, trovandosi questi isolati dall’influenza dei Romani per effetto del “limes” sul Reno e sul Danubio. D’altronde i Romani, pressati da una produzione di massa di armi ed equipaggiamenti da approvvigionare per le legioni, avevano piuttosto un concezione di tipo industriale nello loro cose e pertanto non erano particolarmente interessati alla produzione di armi dalla fabbricazione molto sofisticata. Ciò nondimeno diversi atelier romani, sparsi per tutto l’Impero, produssero anche tale tipo di armi, specialmente quello di Amiens, che era più vicino alla zona di riferimento.
La spada dei Celti è il prodotto dell’assiematura, a caldo, di lamine di ferro e d’acciaio poste le une contro le altre a “mille foglie”. Il disegno che ne risulta è più o meno regolare e ciò dipende dalla qualità della lama e dal saper fare (abilità tecnica) dell’artigiano o del fabbro ferraio che ha lavorato.
Una decorazione supplementare può essere aggiunta con un procedimento di rivelazione con l’acido effettuata in maniera selettiva con degli stampi in cera, in modo da non corrodere certe parti del metallo. Questa tecnica molto semplice consente di generare disegni come scavati ad acquaforte. Nonostante la somma delle tecnologie messe in opera, la spada celtica risulta di seconda qualità se comparata con la tecnologia usata nella spada lunga delle “invasioni vichinghe”.
L’idea veramente geniale del damaschino ritorto, inventata in qualche parte dell’est del Reno verso la fine del 1° secolo, consiste in un perfezionamento delle di fabbricazione e del trattamento della spada dei Celti. Nella nuova tecnica le lamine composite sono meno numerose ma soprattutto esse vengono ritorte in modo da rendere la saldatura a caldo più resistente ed ottenere la moltiplicazione delle superfici di contatto. L’interesse è pertanto duplice: esteticamente il risultato è un superbo disegno a forma di gallone, conseguenza dell’alternanza delle spire di torsione, moltiplicato dal numero degli accoppiamenti delle barre di base. L’altro interesse è che questa struttura composita rende la lama damaschina tre volte più resistente alla flessione rispetto ad una lama omogenea.
Infine il taglio, inizialmente lavorato per martellatura a freddo, viene sostituito con l’applicazione di una barra d’acciaio puro, riportata e saldata a caldo intorno all’anima o parte centrale della spada, con un processo di saldatura abbastanza complesso da eseguire e quindi successivamente martellato.
Il risultato finale è quello di un’arma flessibile, resistente ed affilata che viene chiamata “Spatha” (nome dal quale deriva la spada). Nella terminologia dell’epoca la “Spatha” si oppone al “Gladium”, nome della spada corta usata dal legionario romano ed alla “semi Spatha” che designa lo “scramasax”, il grande coltellaccio molto in voga nelle tribù germaniche.
Il procedimento di fabbricazione della “Spatha” rimane più o meno costante dal 2° al 10° secolo, cioè fino alla apparizione delle lame fabbricate con la tecnologia detta del “sandwich”. Quest’ultima tecnica consiste nell’inserire una placca di acciaio duro fra due placche di ferro dolce oppure a fare a seconda dei casi il contrario (una barra di ferro dolce ricoperta da due barre di acciaio duro che, ricoprendo le parti laterali, vanno costituire il taglio della lama). Durante questi otto secoli cambia solamente la forma della lama: fina e leggera fino all’8° secolo si allunga, poi si allarga verso la base, fatto che impone lo scavo di una gola lungo la faccia per alleggerirla, nella quale si incidono dediche o il nome del fabbricante e l’aggiunta di un pomello massiccio con la funzione di contrappeso.
Le tappe di fabbricazione di una spada lunga
La fabbricazione della lama di damaschino comprende una serie di operazioni di forgiatura di differente complessità. Durante l’alto Medioevo questa fabbricazione è senza dubbio condotta in serie, almeno in qualche decina di esemplari. Gli apprendisti preparano i pezzi più semplici per forgiatura a martello, mentre i mastri ferrai effettuano personalmente le delicate saldature del damaschino ed il fissaggio del taglio di riporto. Vale la pena sottolineare d’altronde che il commercio e soprattutto il traffico delle lame di spada era, in relazione al prezzo del mercato, molto lucrativo. Questo fattore può infatti spiegare la fabbricazione di tali armi su scala media condotta spesso da vere e proprie officine, che disponevano persino di marchi di fabbrica, come Ulfberht (noto dall’850 al 1125), Ingerii (noto dal 925), Leutfrit, Gicelin o Niso per la maggioranza tedeschi e che, tanto per cambiare, erano già all’epoca oggetto di contraffazione da parte di atelier concorrenti. Molte di queste spade sono conservate in vari musei europei.
Nella fase preparatoria è opportuna realizzare una serie di lingotti di ferro e d’acciaio che vengono successivamente sovrapposti per strati di 5 o di 7) cifre dal valore rituale e funzionale). Questa operazione viene condotta facendo bene attenzione di alternare ogni sfumatura di colore del metallo: gli strati esterni di questo composito sono realizzati in ferro puro poiché questo metallo essendo meno sensibile al calore dell’acciaio, resiste meglio alle elevatissime temperature (tra 1000° e 1200°) necessarie alla saldatura. Il composito viene quindi sottoposto alla saldatura per martellatura. Questa operazione è probabilmente facilitata dall’uso di una pasta di saldatura che permette di eliminare l’ossigeno e la calamina (ossido di forgia) della superfici di contatto. Oggi si utilizza il borace, all’epoca i fabbri utilizzavano la sabbia silicea a base di quarzo oppure un fango argilloso. Va anche sottolineato che i metalli dell’epoca era più facili da saldare grazie alla presenza di scorie incapsulate nella massa e che agivano da fondente.
Una volta che il composito è divenuto perfettamente omogeneo e forma un nuovo lingotto composito, esso viene stirato (allungato) in barre da 60 a 90 cm.. Ogni barra viene ritorta per alternanza di fase in modo da ottenere un valido effetto decorativo; infatti per aumentare la varietà dei disegni la metà delle barre è ritorta in un senso e l’altra metà in senso opposto. Al di là del suo evidente lato estetico questa operazione ha anche la funzione di rinforzare le saldature moltiplicando le superfici di contatto di metalli di differenti sfumature. La barre sono forgiate con una sezione quadrata oppure molate di un terzo del loro spessore. Possono essere anche ritagliate a caldo con un cesello ed in tal caso solo il materiale interno può essere recuperato. Con questo processo supplementare si limitano le perdite di metallo. In ogni caso è prevalente l’uso della sezione quadrata per eliminare il rilievo provocato dall’operazione di torsione.
A questo punto il mastro ferraio, per realizzare una anima di spada di damaschino, assiema due o tre barre appena lavorate avendo cura di alternare il senso dello spire di torsione. Questo assemblaggio viene allora saldato avendo cura di proteggere il metallo per mezzo di una pasta per saldatura. La riunione di questi elementi fornisce l’anima della spada, parte che serve a fornire il decorativo e la flessibilità alla futura lama. A questo punto il prodotto realizzato viene allungato della lunghezza desiderata oppure di aggiungervi il taglio prima di allungarla.
Il taglio riportato consiste in una barra di acciaio duro (da 0,5 a 0,7% di carbonio) che viene aggiunto su entrambe le parti dell’anima di damaschino. Questa operazione molto delicata viene fatta in due tempi: in una prima fase di pre forgiatura ed in una fase di molitura molto fine. Nella prima fase la barra scaldata alla temperatura minima di saldatura (per evitare di deformare il decoro esterno) vengono saldate per mezzo di una martellatura appropriata (non troppo forte per evitare di deformare l’anima, né troppo debole per saldare) a partire dalla punta o dalla base. Una volta terminata questa fase la spada presenta una sezione rettangolare ed a questo punto viene effettuata la fase di molitura del taglio della lama, che può essere fatta anche per martellatura nella fase di sgrossatura. La martellatura peraltro oltre che più lunga presenta delle limitazioni nel suo impiego per il rischio di far saltare le saldature o deformare il disegno (la molitura é l’operazione più rapida ma anche più costosa per forte la perdita di materiale). Dopo una molitura fine per portarla nella sua forma definitiva, la spada viene scaldata fino al rosso ciliegia quindi temprata in modo da indurire l’acciaio (al tempo dei carolingi il raffreddamento avveniva nell’acqua, nell’olio e molto frequentemente nel sangue di montone o di bue, questi ultimi di proprietà analoghe ma decisamente meno costosi dell’olio). L’opzione di raffreddare la lama nel sangue rivestiva forse all’epoca anche una ritualità magica, in quanto attraverso il sangue si voleva trasmettere vita e forza alla futura spada. Tecnicamente è attraverso il processo di tempra che l’artificio di una struttura a damaschino prende tutto il suo valore. In effetti solo parti in acciaio induriscono, quelle di ferro rimangono neutre e questo fenomeno assicura alla lama durezza e flessibilità, proprietà assolutamente impossibili da ottenere da una lama in metallo omogeneo.
Dopo il processo di tempra la lama diviene molto dura, ma allo stesso tempo fragile come un vetro. Ciò implica una ulteriore operazione chiamata di “rinvenimento”. La lama viene rimessa sul fuoco di forgia fino ad arrivare ad una colorazione blù che è l’indicatore della temperatura necessaria a questa fase 2 - 300°). Tale procedimento che tende ad attenuare la tempra ha per scopo di ridurre le tensioni della lama e soprattutto di rendere il taglio meno fragile.
Le ultime operazioni effettuate una volta che la lama è terminata, cioè molitura, pulitura ed affilatura, consistono nel mettere in rilievo la damaschinatura per effetto di un bagno acidulo, il cui scopo è quello di annerire le parti in acciaio. Dopo una pulitura a sabbia, per ottenere una superficie meno scabra la lama viene lasciata per diverse ore in un bagno a base di urina concentrata, di aceto o di altri acidi naturali. Alla fine del trattamento la lama presenta un motivo andato. Il disegno poteva essere nero su argento oppure secondo dei testimoni oculari, rosso su argento. I canali d’acciaio resi visibili attraverso il contrasto dell’acido venivano percepiti come dei vasi sanguigni che irrigavano la lama che apportavano forza e potenza. Inoltre i galloni del damaschino rassomigliavano ad una pelle di serpente. In effetti era molto corrente giocare con la lama facendoci scorrere i raggi del sole, in questo modo si poteva allora vedere il “serpente” muoversi lungo l’acciaio, allontanandosi o avvicinandosi al portatore della spada.
Il prezzo di una spada veniva stimato quindi stimato secondo la natura della sua damaschinatura, non avendo questo elemento unicamente una vocazione estetica: esso traduceva infatti anche la qualità meccanica della lama e questo senza alcuna possibilità di ….. truffa ! Tenendo conto della rilevanza della tecnologia applicata per la sua fabbricazione, una spada era un arma molto costosa e rimpiazzata presso i più poveri, o piuttosto presso i “meno ricchi”, con lo scramasax e quindi all’epoca dei Vichinghi dalla grande ascia a due mani o Breitax, l’arma che equipaggiava i famosi “housescarls” del Re Aroldo di Inghilterra nella sfortunata battaglia di Hastings contro i normanni di Guglielmo il Conquistatore. Ma fornire una idea del prezzo di una spada lunga rimane un problema difficile per l’impossibilità di compararlo con le logiche di valore attuali. In ogni caso si può comunque fornire qualche utile indicazione di riferimento. Una spada poteva valere il prezzo di uno schiavo di “buona qualità”, di tre vacche, oppure di un cavallo per una lama “bellissima”. Sul piano monetario, sebbene questo sia evidentemente variato nel corso degli otto secoli di vita della spada lunga, il prezzo poteva essere di tre soldi d’oro sotto i Merovingi fino a cento grammi d’argento all’epoca dei Vichinghi. Nell’arsenale dei combattenti dell’epoca, solo l’elmetto e soprattutto la cotta di maglia potevano avere un valore superiore, il primo articolo valeva da una volta e mezza a due volte il valore di una spada ed il secondo poteva raggiungere persino il triplo del suo valore.
Bouzy O. : Le armi dall’8° al 15° secolo, Mergoil, 1990
Bongrain Gilles : I Coltelli d’arte, Crepin Leblond, 2000
Salin Eduard : La Civilizzazione Merovingia, A. e J. Picard, 1988
[1] Raffreddamento brutale di un acciaio riscaldato a 800° a fine di indurirlo
[2] operazione, diversa dalla ricottura, con la quale si ottiene l’attenuazione dell’effetto di tempra attraverso un riscaldamento dell’acciaio già temprato ad una temperatura più bassa di quella della tempra (200° - 300°)