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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

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I quattro periodi dell'ONU

I QUATTRO PERIODI DELL’ONU

(Pubblicato su Rassegna Militare dell’Esercito n. 4/2006)

L’ONU è stata fondata 60 anni fa. Paralizzata dalla guerra fredda del 1950, l’organizzazione internazionale ha ripreso vigore con la fine dell’opposizione Est Ovest, all’inizio degli anni 1990, specialmente al momento dell’invasione del Kuwait da parte dell’Irak. Di nuovo in crisi a partire dal 1992 dovrà essere globalmente rimessa in discussione ?.

L

‘Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha già sessant’anni. Per il cinico realista, incarnato oggi dalla corrente neoconservatrice americana, essa non ha fatto spesso che apportare un appoggio legale ai veri responsabili dell’ordine mondiale delle cose, le grandi potenze. Per l’idealista, per l’istituzionalista, l’ONU è, al contrario, lo strumento, anche se ancora imperfetto, di una utopia, quella della pace attraverso il diritto, che porta tutti gli Stati del pianeta ad accettare le stesse regole ed a porsi sotto il controllo di un poliziotto internazionale, il Consiglio di Sicurezza. Una vasta ambizione che non potrà che realizzarsi laboriosamente. E’ pur vero che dopo il 1945, anche se gli scontri armati hanno continuano a proliferare, nessuna conflagrazione del tipo guerra mondiale si è più verificata. Ma il cinico potrebbe ricordare che questa pace relativa è dovuta, probabilmente in minima misura, alla macchina burocratica dell’ONU, ma piuttosto al crescente potenziale distruttivo degli armamenti, specie atomici, che hanno costretto i governanti alla “prudenza”. Allora a cosa serve l’ONU ? Per poterlo capire occorre rivedere il suo ruolo, incentrandolo nei quattro tempi di una sua cronologia mondiale.

L’ONU nasce dalla Carta di S. Francisco il 26 luglio 1945. Allo stesso modo della sua sfortunata sorella maggiore, la Società delle Nazioni (SDN), creata nel 1920 e che rimpiazza a partire nel 1946, esso è una creatura dell’America. Per i suoi due principali propugnatori, il Presidente americano Franklin Delano Roosevelt ed il suo successore Harry Truman, entrambi marcati dall’indomani della 1^ Guerra Mondiale, è assolutamente vitale non ripetere gli errori commessi nel periodo fra le due guerre: la debolezza della SDN (per la quale il Senato americano non ha mai ratificato il Patto), l’isolazionismo degli Stati Uniti, poi la crisi degli anni 1930 e la 2^ Guerra Mondiale.

Per le amministrazioni Roosevelt e quindi Truman, l’ONU manterrà la pace per effetto dell’associazione di quattro elementi: l’instaurazione di una democrazia internazionale; la gestione legittima della forza attraverso la concertazione delle potenze; la creazione di un esercito sotto l’egida dell’ONU ed il ruolo da parte degli USA di maestro d’orchestra ufficioso.

La Carta dell’ONU è prima di tutto un patto democratico: tutti gli stati membri dell’Organizzazione sono uguali in termini di diritto. La democrazia americana, se vuole evitare un ripiegamento isolazionista, deve promuovere un accordo democratico fra tutti gli stati, portandoli ad accettare gli stessi valori ed obblighi: uguaglianza sovrana degli stati, rispetto della loro integrità territoriale, regolamento pacifico delle controversie, libertà di commercio e della navigazione, ecc. Peraltro Roosevelt, a differenza dell’idealismo di Wilson, é convinto che la pace non si può ottenere solo con le buone intenzioni, ma attraverso la esatta valutazione delle diverse realtà geopolitiche. In tal modo la pace dell’ONU sarà garantita dalla concertazione dei vincitori, essendo questi i primi interessati a preservare la loro vittoria: questo sarà appunto il ruolo del Consiglio di Sicurezza.

Esattamente come il “concerto delle nazioni europee” del 19° secolo, questo Consiglio ha il compito di mantenere la pace. La sua composizione coniuga due preoccupazioni: da una parte mettere nel cuore del dispositivo i cinque principali vincitori del 1945; dall’altra associare la comunità democratica degli stati con dieci membri non permanenti, eletti dall’Assemblea Generale. Gli USA, l’URSS (dal 1992 la Russia), la Cina, il Regno Unito e la Francia, membri permanenti del Consiglio, possono ognuno bloccare qualsiasi decisione attraverso un diritto di veto. Affinché il Consiglio possa decidere devono essere soddisfatte due condizioni: la deliberazione deve essere approvata con almeno 9 voti a favore e non ci deve essere alcun veto. Viene stabilito che il Consiglio di Sicurezza, poliziotto del mondo, sia dotato degli strumenti più efficaci: ogni sua risoluzione, adottata per far rispettare la pace, dovrà essere automaticamente recepita dall’insieme degli stati membri (art. 48); potrà avere disponibili delle forze aeree e dovrà essere organizzato un Comitato di Stato Maggiore (articoli da 45 a 47). Ma quasi tutto questo rimarrà sulla carta. Infine nel 1945 gli USA sono coscienti di essere, di gran lunga davanti agli altri, i primi vincitori. Essi utilizzano pertanto la loro preminenza e la loro centralità, per costituire le coalizioni necessarie ad affrontare le crisi internazionali.

Questo dispositivo può funzionare correttamente solo al verificarsi congiunto di due condizioni. Prima di tutto occorre che gli attori siano più o meno fissi. Orbene nel 1945, viene disegnato uno sconvolgimento storico che contribuisce a rimodellare il paesaggio planetario: la decolonizzazione, che ha l’effetto di moltiplicare per circa quattro volte il numero degli stati membri (da 51 nel 1945, a 181 nel 2005). Secondariamente i vincitori devono manifestare la volontà di lavorare insieme, di riconoscere degli interessi comuni superiori agli interessi dei singoli. In questo caso le visioni americana e sovietica della pace sono decisamente incompatibili: gli USA, intatti e ricchi, vogliono un mondo aperto agli scambi; l’URSS, devastata dalla guerra e dominata da Stalin, cerca di costruire una fortezza impenetrabile. Si apre allora il fenomeno della Guerra Fredda, che avrà una durata di quaranta anni, che per l’ONU costituisce il 2° periodo della sua storia, quello della glaciazione.

Nel 1950 la Guerra di Corea mette in evidenza il problema principale del sistema ONU: quello del conseguimento del consenso fra i suoi membri permanenti. Mentre gli USA mobilitano l’appoggio dell’ONU per il loro combattimento contro la Corea del Nord, l’URSS oppone il suo veto. Il Consiglio viene da quel momento colpito da una paralisi quasi totale fino alla fine della Guerra Fredda, nel 1989. Da questo momento ogni conflitto che ingaggia direttamente le superpotenze (crisi interne ai blocchi; guerre del terzo mondo che implicano l’impiego di soldati americani - Vietnam o sovietici  - Afghanistan), tralascia e mette in disparte l’ONU. Per tutti i quaranta anni che perdura il sistema bipolare, l’Organizzazione viene comunque utilizzata per tutti gli altri conflitti che non implicano i due Grandi. In tal modo le ormai famose forze per il mantenimento della pace (caschi blu), che non erano previste dalla Carta, vengono di volta in volta aggiustate, sia dall’Assemblea Generale, sia dal Consiglio di Sicurezza.

La prima di queste forze (la Forza Emergenza delle Nazioni Unite, UNEF) viene costituita nel 1956, su iniziativa dell’Assemblea Generale, per controllare l’arresto delle ostilità fra Egitto ed Israele, a seguito della vicenda del canale di Suez. L’organizzazione di questa forza dà luogo ad una serie di laboriose trattative fra i numerosi paesi interessati: Egitto, Israele, USA, URSS, UK, Francia, ecc. ed in questo contesto l’UNEF comprende militari provenienti da stati riconosciuti imparziali nella vicenda: Brasile, Canadà, Colombia, Danimarca, Finlandia, India, Indonesia, Norvegia, Svezia e Jugoslavia. Il bilancio di questa prima missione ONU è ben lungi dall’essere glorioso; nel maggio 1967 il governo egiziano richiede ed ottiene il ritiro dei caschi blu e qualche settimana più tardi scoppia la Guerra dei sei giorni, nuovo scontro arabo - israeliano.

All’inizio degli anni 1960 i Caschi blu si ritrovano impegnati nel Congo ex belga (poi Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo), in una vera e propria guerra per mettere fine alla secessione del Katanga. L’intervento dell’ONU da luogo a dei combattimenti feroci. Il Segretario Generale, lo svedese Dag Hammarskjold, in prima linea nelle operazioni, viene ucciso in un misterioso incidente d’aereo. La secessione katanghese viene debellata nel gennaio 1963, ma questa tragica esperienza mette in evidenza che l’ONU riesce ad intervenire in modo appropriato solo dopo che un accordo politico preliminare abbia definito le modalità delle sue azioni. La quasi paralisi del Consiglio sposta il centro di gravità dell’ONU dallo stesso Consiglio all’Assemblea Generale. Dalla fine degli anni 1950 agli anni 1970, questa aula diviene il forum del terzo mondo ed una delle tribune dell’anti imperialismo. E’ in questo contesto che il 13 novembre 1974 Yasser Arafat, in tenuta da combattimento, viene ricevuto trionfalmente come portavoce dei “dannati della terra”. Con l’agonia della Guerra Fredda, nella seconda metà degli anni 1980, il Consiglio di Sicurezza comincia ad uscire dalla sua sonnolenza. Da quel momento le sue risoluzioni, fondate sul capitolo 7° della Carta (mantenimento della Pace), si moltiplicano ed interessano numerosi conflitti, dalla Cambogia all’ex Jugoslavia, dalla Somalia ad Haiti. Per l’ONU questo rappresenta il 3° periodo della sua storia, la breve illusione di un perfetto funzionamento.

Ricordiamo i fatti. Nell’agosto 1990 l’Irak di Saddam Hussein invade ed annette il Kuwait. La reazione della Comunità Internazionale è praticamente unanime: si tratta di una violazione grave del diritto internazionale (aggressione di uno stato sovrano da parte di altro stato sovrano). Il Consiglio di Sicurezza, mostra nell’occasione una unità quasi completa (solo lo Yemen, membro non permanente, rifiuta di condannare l’Irak). Con una successione di risoluzioni, il Consiglio impone all’Irak delle sanzioni sempre più severe ed autorizza anche il ricorso all’impiego della forza armata per liberare l’Emirato dall’azione irakena (Risoluzione n. 678 del 29 novembre 1990). La guerra conseguente ha luogo nel gennaio febbraio 1991, il Kuwait è liberato e l’Irak si vede sottoposto a delle condizioni draconiane: eliminazione delle armi di distruzione di massa, sorveglianza di tutti gli scambi commerciali con l’estero, riparazione di considerevoli danni di guerra. Il paese, in preda ad una feroce dittatura, cade nella miseria. Tuttavia dietro la guerra del diritto, si individuano le debolezze del sistema. L’unità del Consiglio di Sicurezza, lungi dall’essere una acquisizione irreversibile, è piuttosto il prodotto effimero delle circostanze. Gli USA, l’UK e la Francia, democrazie occidentali, fortemente dipendenti dal petrolio del Medio Oriente, non possono che combattere l’aggressione irakena, e l’URSS, che per lungo tempo è stata la potenza protettrice dell’Irak, non ha la stessa visione del problema. Ma nel 1990, la patria del socialismo è moribonda ed ha un bisogno vitale del sostegno occidentale: da qui l’adesione alla decisione di porre sanzioni all’Irak. Riguardo il comportamento della Cina, il suo accordo si spiega con la preoccupazione di farsi perdonare dall’Occidente e di ottenere un tacito silenzio sulla repressione di Tien an Men del 1989. Indubbiamente le risoluzioni del Consiglio inquadrano l’escalation verso la guerra e le sue regole. Esse diventano essenziali per legittimare l’azione di messa in riga dell’Irak. Ma la condotta della guerra sfugge al Consiglio di Sicurezza, esso non viene in alcun modo associato alle operazioni, che sono un affare esclusivo degli USA. In questo aspetto risiede la contraddizione fondamentale dell’Organizzazione: concepita per acquisire a poco a poco il controllo sulle forze armate, essa si rivela impotente a dominare la volontà degli stati, specie i più potenti, che vogliono conservare gelosamente il controllo dei mezzi militari, cuore della loro sovranità.

Dopo il 1992 l’ONU entra nel suo 4° periodo, quello della “incertezza” sui suoi compiti e sul suo avvenire. Il Consiglio di Sicurezza, liberato dal suo obbligato letargo della Guerra Fredda, sembra preso da una fuga in avanti. La nozione di “mantenimento della Pace” non cessa di accrescersi e di allargarsi e la posta in gioco non è più quella di mettere fine ai conflitti, ma quella di costruire una nuova società purgata dai suoi vecchi demoni, riconciliata con sé stessa. Per questo il Consiglio di Sicurezza si dota di nuovi mezzi, come la creazione dei Tribunali Penali Internazionali. In tal modo i crimini commessi nell’ex Jugoslavia (risoluzione n. 808 del 22 febbraio 1993) e nel Rwanda (risoluzione n. 995 dell’8 novembre 1994) rientrano in tale giurisdizione. In effetti il Consiglio di Sicurezza, di fronte a queste due tragedie, preso atto che qualcosa non è stato all’altezza della situazione per aver lasciato commettere tali crimini di massa, installa tali tribunali con lo scopo di ricordare a tutti che l’orrore finisce sempre per essere punito. Ma molti hanno visto e denunciato in tale provvedimento uno strumento dei potenti, che intendono in tal modo dettare la loro morale ai poveri del pianeta. Il Rwanda, ad esempio, ritiene che sia un suo diritto esclusivo di rendere giustizia: questo stato, membro non permanente del Consiglio nel momento in cui viene dibattuta la questione della creazione del Tribunale, vota contro questo provvedimento ed istituisce al suo interno un proprio tribunale. Il personale dell’ONU, da parte sua, è impegnato su innumerevoli fronti: l’ex Jugoslavia, la Cambogia, Timor orientale, l’Africa subsahariana. Nel 2005 circa 60 mila persone assolvono la responsabilità di una quindicina di missioni. Alcune sono molto vecchie (Palestina dal 1948, frontiere dell’India Pakistan dal 1949), mentre altre sono molto recenti (Costa d’Avorio dal 2004).

Inoltre ormai la benedizione dell’ONU è diventata indispensabile per le Potenze prima di un loro intervento esterno, sia che si tratti degli USA in Haiti nel 1994 o della Francia nel Rwuanda nel 1994 o in Costa d’Avorio nel 2004. Tutto questo perché qualsiasi stato che invia delle proprie truppe in un determinato teatro di tragedie o di scontri, fa molta attenzione a che il suo intervento non possa essere interpretato come un atto dissimulato di imperialismo. Con un mandato del Consiglio di Sicurezza, l’operazione è, in linea di massima, incontestabile.

In questo periodo ultimo periodo della sua storia si assiste a dei mezzi successi come: la Cambogia, l’ex Jugoslavia, Timor orientale. In questi paesi le ostilità vengono estinte e viene messo in atto un processo politico di democratizzazione (primariamente l’indizione di lezioni libere e sorvegliate). Ci sono anche degli insuccessi come in Africa subsahariana: la missione dell’ONU inviata in Congo dal 1999 (nel 2005 raggiunge i 25 mila effettivi), rintanata nei suoi accampamenti, viene percepita come estranea al paese, e soprattutto fa molto poco per pacificare il paese. In definitiva i conflitti che recupera l’ONU sono quelli che le potenze non vogliono più. In tal modo l’Africa è diventata un grande teatro di intervento dell’ONU, proprio perché le grandi potenze non hanno più nessuna intenzione di impantanarvisi e perché le risorse locali sono drammaticamente insufficienti. L’ONU, oggi, più che un poliziotto, appare piuttosto un infermiere; il suo scopo è molto meno quello di assicurare un ordine mondiale ma piuttosto quello di far fronte alle urgenze ed alle emergenze: nutrire e curare le popolazioni, impedire le epidemie.

L’11 settembre 2001, gli attentati alle torri gemelle del World Trade Center di New York hanno sconvolto tutto il sistema mondiale di sicurezza. Ormai il nemico non è più una entità identificabile e localizzabile (ad esempio uno stato), ma una realtà proteiforme in permanente metamorfosi: il fenomeno del terrorismo. Non si tratta più di fare la guerra, ma di condurre delle azioni dalle molteplici dimensioni: operazioni militari, di polizia, ecc. Peraltro l’11 settembre ha convinto gli USA, che sono rimasti soli davanti al disordine planetario, soli ad essere coscienti dell’ampiezza della sfida ed a sviluppare i mezzi necessari, specie quelli militari. Nello spirito di questa unilateralità americana, l’ONU è principalmente un ostacolo, particolarmente per l’importanza “eccessiva” che esso attribuisce al diritto ed alle procedure, per la pesantezza e l’inefficacia della burocrazia e per le sue pretese moralizzatrici. Gli USA si sentono impegnati in una lotta mortale dove l’efficacia deve fare premio su tutto. Nonostante ciò l’ONU, o meglio il Consiglio di Sicurezza, ha mostrato la sua comprensione di fronte all’ansia degli USA: dal 12 settembre 2001 il Consiglio vota all’unanimità la risoluzione n. 1368, riconoscendo che l’attentato alle torri gemelle pone gli USA in una posizione di legittima difesa, autorizzandoli a distruggere il regime afgano dei Talebani, che ospita Al Qaeda. Ma gli USA vogliono di più: abbattere uno stato simbolo, annientare l’Irak di Saddam Hussein. In questo caso l’Amministrazione di Bush junior non può evitare un dibattito: occorre necessariamente l’avallo dell’ONU per eliminare il regime del dittatore di Bagdad ? Il profondo senso giuridico americano propende per l‘autorizzazione dell’ONU, perché solo la sua benedizione garantisce una piena legittimità internazionale. In conseguenza durante l’autunno 2002 e l’inverno 2003 si assiste alla ricerca americana di un sostegno dell’ONU sotto la forma di una risoluzione dl Consiglio di Sicurezza per un intervento armato in Irak. Nei fatti l’esitazione di Russia e Cina e soprattutto la minaccia di veto francese (membri permanenti) nonché la contrarietà della Germania (membro non permanente) bloccano l’adozione di una risoluzione di sostegno e costringono gli USA a rovesciare Saddam Hussein anche senza l’avallo dell’ONU.

In tal modo l’ONU è definitivamente fuori gioco? Ma l’Organizzazione Internazionale, appena marginalizzata, ridiventa rapidamente il luogo deputato a discutere l’avvenire dell’Irak del dopo Saddam. Il Consiglio di Sicurezza adotta non meno di tre risoluzioni sul nuovo Irak, senza alcuna opposizione: la risoluzione n. 1483 del 22 maggio 2003, che decide l’associazione dell’ONU all’amministrazione dell’Irak; la risoluzione n. 1500 del 14 agosto 2003, che approva il Consiglio interinale di governo; la risoluzione n. 1546 dell’8 giugno 2004, che riguarda il ristabilimento della sovranità nazionale. Anche se gli USA rifiutano qualsiasi controllo ONU sulle loro azioni in Irak, essi nondimeno ammettono che il successo di questa azione necessita una legittimità internazionale, via indispensabile per condurre la comunità internazionale a riconoscersi implicata nella costruzione del nuovo Irak.

Il 2 dicembre 2004 un gruppo di personalità di alto livello, scelte dal segretario Kofi Annan, consegna un rapporto sull’avvenire dell’ONU (Un mondo più sicuro è un interesse di tutti). Ma questo non è né il primo né l’ultimo rapporto sulla necessità di riformare l’Organizzazione Internazionale. Allo stesso tempo, si tratta di una riflessione d’insieme nel contesto ONU, sulla sicurezza planetaria all’indomani dell’11 settembre 2001. Il ragionamento parte dalla constatazione di una profonda trasformazione della minaccia: la guerra interetnica, attorno alla quale si organizzava tutta la sicurezza internazionale, non è più che un problema fra i tanti altri (guerre civili, guerra fra stati, terrorismo, traffici internazionali di armi e di droga, ecc.). Il rapporto si interroga sulla difficoltà centrale dell’ONU: come si può ottenere un trasferimento progressivo delle forze armate degli stati verso una autorità di polizia mondiale ? Questa ambizione si rivela impossibile da materializzare, proprio perché gli stati rimangono convinti che essi soli e le loro forze possono effettivamente proteggere il loro territorio e la loro popolazione. Il rapporto, prendendo atto che degli stati potrebbero prendere in considerazione l’eventualità di ricorrere “preventivamente” alle armi nel caso si sentissero improvvisamente minacciati, preconizza l’elaborazione di una nuova dottrina della “guerra giusta”. Si tratta di individuare i criteri di una azione militare compatibile con la morale.

Questo “nuovo orientamento” è in realtà molto antico; esso fa parte particolarmente delle massime teologiche agostiniane del Medioevo, che definiscono il concetto di guerra giusta come un conflitto il cui motore è quello di ristabilire la giustizia e la pace senza odio e cupidigia. Il rapporto dei saggi dell’ONU ne riscopre in effetti gli elementi: presenza di una minaccia molto grave; insuccesso preliminare dell’uso di mezzi pacifici; valutazione rigorosa delle possibilità di successo.

Tuttavia questa dottrina della guerra giusta solleva un interrogativo molto delicato: per pur precisi che siano i criteri adottati, a chi spetta poi di verificare se nella realtà essi vengano o meno rispettati ? Se ogni stato è lasciato libero di decidere se i criteri sono soddisfacenti, nessuno accetterà poi di essere condannato. Occorre pertanto istituire un organo indipendente idoneo a controllare, caso per caso, se sussistono le condizioni per una guerra giusta. Ma quest’organo in effetti esiste già: il Consiglio di Sicurezza, organismo ambiguo ed equivoco, perché composto da stati, ciascuno portatore di propri interessi.

Nonostante le sue lacune, se l’ONU dovesse sparire, sarebbe poco tempo dopo rifondato. Anche se l’Organizzazione non è riuscita a confiscare agli stati il diritto sovrano di fare la guerra, essa l’ha in qualche modo disciplinato. In più l’ONU è uno degli elementi del forum planetario; grazie a lui si può costruire un dibattito mondiale, che contribuisce alla presa di coscienza di una diversa gestione della Terra, questo fragile vascello senza il quale l’umanità non potrebbe sussistere.

Da ultimo l’ONU è un sistema in cui il mantenimento della pace si inscrive in un approccio globale che comprende moneta (Fondo Monetario Internazionale), agricoltura (FAO), sanità (OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità), ecc. Nel contesto di questa vasta configurazione continuerà a persistere il ricorso all’impiego della forza armata. Ed in tale contesto come si può pensare che uno stato possa abbandonare la sua unica eccezionalità, il monopolio della violenza legittima, secondo la formula di Max Weber ? Inoltre questo problema si è anche evoluto e complicato per effetto del formidabile sviluppo del diritto internazionale, della accresciuta e fenomenale potenza degli armamenti, delle rivendicazioni dell’opinione pubblica, dell’interconnessione sempre crescente fra polita estera e politica interna e così via. Forse un giorno, se nel frattempo gli uomini non si saranno distrutti, l’ONU potrebbe diventare quello che sogna di essere: un autentico manager della pace mondiale.

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