facebook
^Torna sù

  • 1 www.iacopi.org
    IACOPI o JACOPI: una serie di antiche famiglie originarie della TOSCANA
  • 2 Iacopi - Jacopi
    Un cognome molto raro con (alle spalle) una storia importante !
  • 3 RICERCHE E STUDI
    Alla ricerca delle origini e della storia degli IACOPI. Sito interamente creato grazie alla ricerca e agli studi.
  • 4 AIUTI GRADITI
    Essendo ricerche storiche molto complesse è possibile vi sia qualche errore. Nel caso riscontriate delle imprecisioni vi prego di comunicarlo a maxtrimurti@gmail.com
  • 5 Benvenuto
    Buona navigazione.

IACOPI DISCENDENZE E STORIA

Una vita di ricerche per conoscere chi sono.

  

USA, RUSSIA E CINA Lotta per il controllo del petrolio!

USA, RUSSIA E CINA

Lotta per il controllo del petrolio!

 

(stampato su “SUBASIO” n. 4/12 del dicembre 2004, Bollettino trimestrale dell’Accademia Properziana del Subasio di Assisi)

Il mondo oggi ha davanti a sé una prospettiva di circa di 40 anni di riserve petrolifere. Il controllo dell’oro nero rimane dunque una delle maggiori poste in palio nella politica delle grandi potenze, a cominciare dagli Stati Uniti.

Nel 1917 il petrolio, facendo uscire i soldati dalle trincee, rovescia il corso della guerra. Nel 1945 la mobilità tattica degli eserciti, resa possibile dal controllo delle risorse petrolifere, si rivela determinante nelle vittorie americane e russe in Germania. Nel 1995, allorché Belgrado è costretto a cedere alla forza degli Stati Uniti, l’esercito serbo, strangolato da un blocco marittimo e continentale, aveva esaurito le sue scorte di carburante. Il fattore petrolio oggi più che mai è un elemento essenziale dello sviluppo e del potere di una nazione. In tempo di guerra, l’accesso all’oro nero resta un elemento determinante per la vittoria. Ma mentre prima si faceva la guerra con il petrolio, oggi, in particolare, le guerre si fanno soprattutto per il petrolio.

All’inizio del 20° secolo, quando ancora gli Europei basavano largamente la loro dominazione sul controllo dell’acciaio e del carbone, il miracolo petrolifero contribuisce alla crescita della potenza degli USA. Un secolo più tardi, l’America sa perfettamente che non potrà rimanere la prima potenza mondiale del 21° secolo se non manterrà saldamente nelle sue mani il controllo delle fonti energetiche di approvvigionamento.

Certamente il solo petrolio non sarà più sufficiente agli Americani per mantenere la loro supremazia sul mondo e la loro leadership globale sarà in realtà l’effetto di una somma di leadership settoriali, quali quelle nel campo delle elites politiche, della cultura, dell’energia, dell’alimentazione, della tecnologia ed altro. Il risultato finale sarà l’instaurazione di una situazione di polo di riferimento unico in materia ideologica ed un controllo della dipendenza dei rivali in economia in tutti i settori vitali.

Gli USA dispongono di grandi risorse petrolifere, ma non pienamente sufficienti a soddisfare tutto il loro fabbisogno, che é il più importante nel mondo. Essi non sono che al 10° posto fra i Paesi che dispongono delle riserve di petrolio. Da soli, se non avessero l’influenza che hanno sui paesi possessori di petrolio, non avrebbero alcun peso sulla formazione del prezzo del petrolio, un dato fondamentale ed essenziale per le economie dei paesi avanzati o in via di sviluppo.

In primi cinque paesi nella lista di possessori di riserve petrolifere, tutti situati nel Medio oriente (in ordine decrescente: Arabia Saudita, Irak, Kuweit, Emirati Arabi ed Iran) detengono insieme più del 60% delle riserve mondiali e più di un terzo delle riserve di gas. Oltre al Medio Oriente, l’OPEC[1] controlla circa l’80% del potenziale petrolifero mondiale e circa il 40 % delle riserve di gas. In altre parole se gli USA non avessero influenza sui paesi petroliferi del Medio Oriente e sull’OPEC, essi sarebbero esposti al rischio di un prezzo del “barile”, inadeguato alle necessità della loro economia.

Di fatto gli USA, grazie alla concorso di due elementi chiave di cui dispongono, il controllo politico sui principali paesi proprietari di riserve petrolifere ed il loro potenziale di produzione propria, posseggono la capacità, unica al mondo, di influenzare autorevolmente il prezzo del barile di greggio. La loro azione può avere effetti sia sul ribasso che sul rialzo del prezzo: sul rialzo, quando si tratta di penalizzare le economie concorrenti, molto dipendenti dai prezzi del petrolio importato (Europa, Giappone e Cina), favorendo nel contempo le entrate dei paesi produttori e delle grandi imprese americane; al ribasso quando invece si tratta di continuare a permettere al modello americano di continuare ad essere due volte più consumatore di petrolio rispetto ai modelli europei e giapponesi, oppure quando occorre, a secondo dell’esigenza, provocare il crollo di regimi giudicati ostili e dipendenti dalle sole entrate petrolifere (potrebbe, in via ipotetica, essere domani il caso dell’Arabia Saudita o dell’Iran).

Oltre al concorso alla determinazione del “giusto prezzo” per l’America, il controllo politico sui principali paesi petroliferi assicura al dollaro di rimanere la moneta di riferimento del mercato mondiale. Di fatto nel panorama mondiale dei produttori di petrolio non c’era che l’Irak, nazionalista ed arabo, e quindi nettamente opposto all’asse USA - Israele, che pretendeva il pagamento delle sue fatture in euro (attraverso la FRANCIA !!).

Quando ci si rende conto del peso del petrolio nell’economia mondiale e nei sistemi finanziari anglo - sassoni, allora si può ben affermare che la politica di potenza americana nel Medio Oriente è quella che prepara e garantisce il futuro del dollaro di fronte delle monete forti di oggi, lo yen e l’euro.

Ma per gli USA il petrolio non è semplicemente una variabile economica determinante per lo sviluppo ed il dollaro: esso è una risorsa della quale il pianeta verrà presumibilmente a mancare verso la metà di questo secolo. Il mondo dispone oggi di circa quaranta anni di riserve petrolifere accertate. Infatti la scoperta di nuove riserve di idrocarburi avviene negli ultimi tempi ad un ritmo decisamente inferiore a quello dell’aumento dei consumi mondiali (specialmente dovuti allo sviluppo asiatico). E’ pur vero che il pianeta dispone di due secoli di riserve di carbone, ciò nondimeno non sarà possibile far volare gli aerei civili e militari con l’antracite !! Gli sforzi effettuati in materia di energie rinnovabili sono risibili e non sono, per il momento, in alcun modo alternativi al petrolio ed anche se nel prossimo futuro si dovesse manifestare una volontà politica reale in tale direzione su scala mondiale, tale provvedimento non sarà comunque sufficiente a compensare l’ineluttabile declino dell’offerta petrolifera di fronte alla domanda. Riguardo al nucleare, il suo potenziale reale decisamente alternativo, appare purtroppo ancora frenato dalla paura che suscita nelle opinioni pubbliche occidentali.

Da queste constatazioni gli USA traggono due conclusioni basilari: innanzitutto poiché fra quaranta anni non ci sarà petrolio per tutti, occorre fin da ora assicurare il soddisfacimento dei propri bisogni futuri, controllando politicamente le zone di produzione dell’oro nero, così come le rotte di trasporto e di distribuzione. Successivamente e come conseguenza della prima azione, il controllo americano sul petrolio mondiale permetterà di pesare sui futuri rivali e più in particolare sul solo avversario capace, in prospettiva, di mettere in discussione la supremazia politica ed economica degli Stati Uniti: la Cina !

Ed è proprio la veloce crescita economica della Cina che minaccia di ridiscutere fra una ventina d’anni gli equilibri e la dominazione americana nell’area Asia Pacifico ed a partire da tale zona quella del mondo intero. Supponendo solamente che la metà della popolazione cinese (circa 700 milioni di individui) arrivi ad un livello di sviluppo equivalente a quello dell’Occidente, il mercato interno cinese potrà essere paragonato e comparato con la somma dei mercati dell’Associazione nord americana di Libero Scambio e dell’Unione Europa allargata. A questo punto si verificherà una doppia mondializzazione dei mercati, americana e cinese, quest’ultima sarebbe in effetti la prima economia di substrato non europeo nella storia del mondo. Questo nuovo “pericolo giallo” rappresenta la sfida e la preoccupazione centrale della strategia di potenza degli USA nel 21° secolo. Ecco dunque che nel contesto globale rientra prepotentemente il fattore petrolio, che nel futuro del gigante cinese rappresenta un vero e proprio “Tallone d’Achille”. Infatti l’Asia orientale e la Cina, in particolare, non dispongono di riserve petrolifere significative ed in ogni caso quelle esistenti sono largamente insufficienti a garantire l’attuale incredibile tasso di sviluppo, nell’ormai consolidato assioma che la crescita e lo sviluppo economico vanno di pari passo con i consumi di petrolio. Nel 1994 il consumo totale di petrolio in Asia è divenuto equivalente a quello degli Stati Uniti ed il sistema, non disponendo di riserve proprie adeguate al proprio sviluppo, è obbligato a sempre maggiori importazioni energetiche. In ogni caso a partire dal 1993 la Cina è diventata una importatrice crescente di petrolio.

In tale contesto la dipendenza petrolifera dell’Asia presenta due caratteristiche importanti e determinanti per la scelta della strategia americana:

  1. Il rifornimento dell’Oriente non è diversificato: l’insieme dell’Asia dipende per il 70% dei suoi rifornimenti dall’area del Medio Oriente. Per Washington questo significa semplicemente che è sufficiente controllare il Medio Oriente per tenere sotto controllo la dipendenza petrolifera della Cina.
  2. Ma il rifornimento in idrocarburi dell’Asia non presenta solamente una caratteristica di dipendenza unilaterale dal Medio Oriente, ma piuttosto anche una interdipendenza fra i due elementi. I Paesi produttori del Medio Oriente esportano in effetti già il 60% della loro produzione verso l’Asia e prima del 2020 si prevede che l’80% della produzione del Medio Oriente prenderà la direzione dell’Asia. Questo vuol dire che negli anni a venire il mondo islamico potrebbe avere l’interesse ad avvicinarsi alla Cina a danno degli Stati Uniti. Inoltre la concomitante crescita nel mondo arabo mussulmano delle forze islamiste anti occidentali fa infatti temere agli USA la possibilità di una tale eventualità.

In tale scenario si può ben comprendere il tentativo USA, intrapreso nel 2003, di rimodellare il Medio Oriente. Infatti il conflitto in Irak, lanciato nel contesto della guerra al terrorismo, sembrerebbe anche inscriversi in una doppia volontà americana di conseguire da una parte il controllo del petrolio di cui la Cina avrà bisogno nei prossimi anni e dall’altra ed allo stesso tempo di impedire, o se si vuole, prevenire un inopinato avvicinamento dei regimi dei paesi produttori arabi con Pechino.

Lo scossone dell’11 settembre 2001 ha permesso agli USA di individuare un successore credibile, come nemico, al defunto internazionalismo sovietico: l’internazionalismo islamico. Questo nuovo concreto avversario, sebbene altamente pericoloso, non pesa tuttavia in alcun modo nella competizione fra gli stati. L’Islamismo nella realtà permette agli Americani di far avanzare le loro pedine nella scacchiera che li vede confrontati a lungo termine con la Cina.

Dopo gli attentati del 2001 gli USA, sotto l’egida del CentCom, il Comando Centrale delle forze americane, sono intervenuti in Afganistan, dove, oltre all’eliminazione dei Talebani, hanno di fatto ottenuto una divisione di influenze con la Russia nella zona del Caspio e nell’Asia Centrale, ricca in idrocarburi. Allo stesso tempo hanno evitato una possibile di divisione di influenze della stessa area fra la Cina e la Russia. Con la guerra all’Irak, oltre ad eliminare un pericoloso nemico, hanno invece esteso in controllo su una regione che dispone di immense riserve petrolifere.

Il progetto americano di unificazione di un vasto dispositivo petrolifero (zone di produzione e rotte di istradamento con delle nuove pipeline), che va dall’Asia Centrale al Golfo arabo - persiano, appare impostato e realizzato, anche a costo di usare le maniere forti. Ma oltre al Medio Oriente il dispositivo militare americano, nel quadro di questa nuova strategia, sembra tornare nuovamente in forze nelle Filippine e nell’Oceano Indiano.

Se dunque gli USA sembrano condurre una guerra per il petrolio nel nome di una guerra totale al terrorismo, lo scopo primario di tali azioni appare quello di controllarne l’estrazione privandone se necessario ed in prospettiva l’uso agli avversari piuttosto che quello di utilizzarlo per sé stessi.

Ma va anche soggiunto che gli Americani non sono i soli a fare del petrolio un motivo di guerra.

La Russia, il primo paese non membro dell’OPEC con un po’ più del 4,5% delle riserve mondiali di petrolio e detentore del 30% delle riserve mondiali di gas, privilegia notevolmente il suo potenziale energetico che può, anche per la favorevole posizione geografica di pivot del mondo, orientare indifferentemente verso l’Occidente o l’Asia. Del petrolio la Russia ne fa un atout significativo nel suo gioco di partenariato strategico con gli USA. Mosca in effetti in tale contesto non poteva accettare senza reagire in qualche modo all’azione di destabilizzazione in atto dal 1990 nell’Asia Centrale ed in Cecenia, dove, tra l’altro, passa un oleodotto di vitale importanza nel dispositivo delle vie petrolifere russe. Il crollo dell’URSS, infatti, ha rappresentato una prima decolonizzazione russa nel Caucaso e nell’Asia Centrale. In tale contesto la secessione della Cecenia avrebbe potuto significare l’inizio di una seconda e più pericolosa fase di riflusso dell’impero russo, che a qualsiasi costo la Russia non può accettare pena la rinuncia al suo ruolo sulla scena mondiale. La guerra in Cecenia è pertanto in primo luogo una guerra di sovranità. Un sanguinoso sforzo di salvaguardia dell’insieme russo, creato nel corso dei secoli, da una costante volontà di espansione coloniale. Dietro alla questione territoriale cecena si nasconde però il petrolio che, seppure nello specifico appaia un fattore secondario, rimane in ogni caso un fattore primordiale della politica russa, in quanto strettamente connesso con il peso e la dimensione mondiale della stessa.

Di fatto nella Russia, come negli Stati Uniti, il petrolio non rappresenta solamente un dato esterno. Esso è un attore importante anche nel gioco politico interno. Gli USA, di fatto, primi consumatori di petrolio al mondo, sono allo stesso tempo il primo importatore ed il terzo produttore mondiale; Essi sono anche il solo grande paese al mondo dove la politica petrolifera è contemporaneamente un problema di politica interna e di politica estera. Un fattore interno che fa della lobby petroliera americana, come di quella russa, un elemento di peso rilevante nelle scelte di politica estera.

 

[1] Organizzazione dei Paesi produttori di petrolio creata nel settembre 1960 a Bagdad

Copyright © 2013. www.iacopi.org  Rights Reserved.