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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

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Perchè Francesco è andato a Damietta?

PERCHE’ FRANCESCO E’ ANDATO A DAMIETTA ?

(stampato sul Bollettino SUBASIO di Assisi n. 3/16 del settembre 2008)

Nel 1219, in piena crociata, Francesco d’Assisi parte per l’Oriente per incontrare il Sultano d’Egitto a Damietta. Una visita che, dopo 8 secoli, alimenta ancora i fantasmi dell’Occidente.

Qualche giorno dopo l’attentato dell’11 settembre 2001, mentre i vescovi sono riuniti in Vaticano, il ministro generale dei Francescani sollecita ad essere presenti nei luoghi di tensione, “ad immagine di Francesco d’Assisi che, disarmato, incontra il Sultano Malik al Kamil e riesce a dialogare con lui, mentre gli eserciti dei crociati di tutta l’Europa non pensano che a vincere il nemico”. In pieno smarrimento geopolitico mondiale, una storia esemplare e plastica come quella di Francesco poteva nuovamente tornare di un certo interesse ed utilità.

Che dicono i fatti ? Nel settembre 1219, in occasione della 5^ Crociata, Francesco d’Assisi, il fondatore dei Francescani, all’età di 37 anni, parte alla volta dell’Egitto per incontrare il Sultano Malik al Kamil. I Crociati sono in Terra Santa da più di un anno. Essi tentano, inchiodati fra il Mediterraneo ed un braccio del Nilo, di conquistare Damietta, una città difesa con accanimento e con successo dall’esercito egiziano. Il Sultano propone allora di negoziare: egli si dice pronto a restituire Gerusalemme in cambio della partenza dei Crociati dall’Egitto e questi ultimi sono divisi sul da farsi.

E’ dunque in questo contesto che Francesco attraversa le linee nemiche per andare a parlare al Sultano Malik. Egli riesce nell’intento e rientra qualche giorno più tardi nel campo degli assedianti. Nessun testo arabo descrive questo incontro. Per contro, in Occidente, l’evento suscita numerosi racconti ed alimenta le più diverse interpretazioni.

Il Vescovo di Acri, Giacomo da Vitry, presente sul luogo, ricorda nella sua “Histoire de l’Occident”, verso il 1225, come Francesco, preso come “da una ebbrezza ed un fervore spirituale inauditi”, parte per il campo del Sultano per tentare di convertirlo al Cristianesimo. Il capo mussulmano, alla fine dell’incontro, dà l’ordine di riportare Francesco nel campo nemico, chiedendogli di pregare per lui affinché Dio gli riveli “la legge e la fede che gli piacciono di più”. Giacomo da Vitry si mostra abbastanza scettico circa questa soluzione, anche se più tardi loderà l’intrepidezza del santo.

E’ probabile che Francesco abbia concepito questa visita al Sultano come facente parte della sua missione di evangelizzazione. La missione presso i  Mussulmani risulta importante presso i Francescani. Nel gennaio 1220, cinque fra di loro cercano il martirio a Marrakesh e finiscono per ottenerlo, dopo ripetute provocazioni. Lo stesso santo, nel 1221, invia senza esitare i suoi fratelli presso dei mussulmani come “delle pecorelle nel mezzo dei lupi”. Nel 1226 il Papa calma gli spiriti: egli chiede ai fratelli di Francesco di convertire gli infedeli, ma anche di pensare alle necessità dei cristiani che vivono nel Marocco; in poche parole di essere più … discreti !

Ma non è certo la discrezione che cercano gli agiografi di Francesco, per i quali l’incontro di Damietta è una sfida, una scommessa capitale. Tommaso da Celano, l’autore di una vita ufficiale del santo, comandata dal Papa nel 1228, insiste sulla “grande sete di martirio” che animava Francesco.

Verso il 1260 S. Bonaventura da Bagnorea, Ministro Generale dell’Ordine Francescano, impone una nuova “Vita di S. Francesco”. A proposito dell’incontro, egli aggiunge un elemento narrativo: per provare la verità del Cristianesimo, Francesco propone, come prova, di attraversare le fiamme di un fuoco insieme ai “preti” saraceni. Questi rifiutano la prova ed il Sultano non permette che Francesco affronti da solo le fiamme. Questo episodio spettacolare viene ripreso da Giotto nei suoi affreschi della Basilica superiore di Assisi.

Si tratta in questo caso di una vera e propria “ordalia”, di un giudizio per mezzo del fuoco, peraltro già interdetto dal Concilio del Laterano del 1215 ! In effetti si sarebbe portati ad interpretare il fatto narrato piuttosto come un “rilancio” ed una mitizzazione dell’evento da parte di Bonaventura, da utilizzare come contraltare ad un analogo episodio della vita di S. Domenico, il fondatore dei Frati Predicatori, un ordine amico, ma anche concorrente, dei Francescani.

Durante l’inverno 1207-08 Domenico ha una disputa a Prouille, vicino a Carcassonne, con dei Catari e consegna ad uno dei suoi contraddittori un foglio che riporta le sue argomentazioni teologiche. La sera il cataro getta il foglio nel fuoco, a titolo d’ordalia, e questo invece di bruciare rimane intatto. Per Bonaventura, nell’episodio di Damietta, è invece lo stesso Francesco che, con il suo corpo, incarna l’ortodossia cristiana.

Alla fine del Medioevo, l’episodio di Damietta si inserisce anche nelle lotte che oppongono i Francescani “conventuali”, sottomessi alla gerarchia dell’Ordine e gli “spirituali”, che propugnano una ascesi rude ed un rifiuto di ogni bene terreno (specie la proprietà). Il frate spirituale Angelo Clareno, che scrive nel 1326, ammira la predicazione efficace di Francesco, che il Sultano invita persino a visitare Gerusalemme. Ma egli sottolinea anche che il suo viaggio consente al diavolo di insinuarsi nell’ordine francescano. In altri termini egli vuol dire che il viaggio di Francesco ha lasciato il campo libero ai fratelli che desideravano tradire l’ideale di povertà evangelica tanto caro al santo. Ugolino da Montegiorgio, verso il 1330, va anche più lontano, nei famosi “Fioretti”: il Sultano accorda a Francesco il diritto di predicare nel suo regno e promette di convertirsi. Il santo appare dopo la sua morte a due francescani, ai quali ordina di andare a battezzare il Sultano. Ugolino “trasforma in tal modo”, per usare le parole di John Tolan (1), “una storia ambigua in una vittoria totale”.

Nel 15° secolo, di fronte alla minaccia turca, l’accento viene posto sulla ostilità del Sultano: i Mori, impermeabili alla parola, devono essere combattuti con le armi. I Protestanti si impadroniscono presto dell’episodio: il luterano Erasmo Albert se la ride, nell’”Alcoran dei Cordelieri” del 1542, a proposito della presunta conversione miracolosa del Sultano. I Gesuiti però contrattaccano, dedicando a S. Francesco una cappella nella loro Chiesa del Gesù a Roma.

Tutto cambia di nuovo nel secolo dell’Illuminismo. Voltaire vede nel Sultano un uomo “che passava per essere un amante delle leggi, della scienza ed il riposo e la pace più che la guerra”. Per lui, il fanatico sarebbe proprio S. Francesco, preso dal desiderio insano del martirio, che, peraltro, il Sultano giudica non pericoloso e che rimanda indietro con “bontà”.

I Francescani, da parte loro, da 800 anni, non hanno smesso di decantare il viaggio in Oriente del loro santo fondatore, per legittimare il fatto che è stata loro affidata la Custodia dei Luoghi Santi. Con questa logica si arriverà nel 19° secolo, per esempio con lo storico francese della crociate Joseph François Michaud, addirittura a considerare S. Francesco come il precursore della missione “civilizzatrice” del movimento coloniale.

Per altri storici, al contrario, l’uomo che parlava agli uccelli, diviene l’apostolo della pace e l’oppositore della Crociata armata (2). Tuttavia secondo lo storico Franco Cardini, che ha probabilmente ragione, crociate e missione evangelizzatrice possono tranquillamente coesistere. Rimane comunque il fatto, storicamente provato, che Francesco non ha mai apertamente espresso dissenso con l’idea della “guerra santa”.

In definitiva l’incontro di Damietta è diventato nel corso dei secoli un “luogo della memoria”, dal quale non si finisce mai di trarre utili ammaestramenti ed esempi ad uso del mondo contemporaneo.

NOTE

(1) Tolan John, “Il Santo presso il Sultano. L’incontro di Francesco d’Assisi e dell’Islam”, Seuil, 2007;

(2) L’ipotesi viene ripresa, oltre che dal Tolan anche da alcuni storici come Stephen Runciman, James Powell o Chiara Frugoni.

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