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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

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Political warfare

POLITICAL WARFARE,
o la guerra nel mezzo sociale

Pubblicato sul n. 296, aprile 2022, della Rivista Informatica “Storia in Network” ( HYPERLINK "http://www.storiain.net" www.storiain.net ) con il titolo “POLITICAL WARFARE, LA GUERRA ATTRAVERSO IL MEZZO SOCIALE”

Quando le rivalità di potenza di esacerbano, “il limite fra la guerra e la pace si smorza”… in una serie di scontri al di sotto della soglia del fuoco. Noi evolviamo ormai in un continuum di competizione-contestazione-scontro”. Gli Anglosassoni hanno un nome per questa categoria di scontri: il political warfare. Vale a dire: “La guerra nel mezzo sociale”.

Nel 1941 i Britannici creano il Political Warfare Executive (PWE), branca destinata a prendere l’ascendente sulla Germania nel campo delle idee e delle percezioni. Oltre alle operazioni di propaganda classica, questo organismo elabora operazioni complesse, destinate a modellare il comportamento dei dirigenti nemici, grazie ad uno studio metodico del loro carattere. A partire dal 1942, la Psychological Warfare Division anglo-americana, favorisce la diffusione del “saper fare” specifico britannico oltre Atlantico. Washington crea, nello stesso anno, la Psychological Warfare Branch e l’Office of War Information (OWI) per “minare la volontà di resistenza nemica, per demoralizzare le sue forze e per contrastare le operazioni contro la capacità di mantenere elevato il morale” delle popolazioni favorevoli agli Alleati. Prima della fine della guerra, l’OWI riceve il compito di rendere popolare l’American Dream ed il modo di vita che ne deriva, ivi compresa la Germania. Al contrario dei metodi di propaganda totalitari, esso non cerca di atrofizzare lo spirito critico, ma piuttosto a sedurre l’opinione pubblica, alimentandola con informazioni oggettive e scelte. Si tratta di un successo, indubbiamente facilitato dal timore che ispirano i Russi.

Una guerra coperta
Una volta posta in letargo la pace ritrovata, questo approccio sociale e psicologico del combattimento va incontro ad un nuovo slancio durante la guerra fredda. Essa si inquadra, ormai in un contesto più ampio. George Frost Kennan (1904-2005) espone quella che è diventata la definizione di riferimento del Political Warfare in una nota segreta, oggi declassificata, del 4 maggio 1848: “L’applicazione logica dei principi di Clausewitz in tempo di pace” (continuazione della guerra con altri mezzi). Più in generale, la Political Warfare riguarda l’impiego di tutti i mezzi a disposizione di una nazione, ad eccezione della guerra, per conseguire i suoi obiettivi, per accrescere la sua influenza e la sua autorità e per indebolire quelli dei suoi avversari. Tale tipo di operazioni sono, allo stesso tempo, coperte e/o manifeste. Il campo d’azione si estende ad azioni aperte, quali le alleanze politiche, le misure economiche (come i programmi di riforme economiche) e la propaganda “bianca”, fino ad operazioni coperte, come il sostegno clandestino di elementi stranieri “amici”, le operazioni psicologiche “nere” ed anche il supporto ai movimenti di resistenza sotterranei negli Stati ostili”.
Kennan (1) non ha inventato, né la definizione, né la cosa. Esse derivano dai Britannici. E’, d’altronde, all’applicazione di questi principi che egli attribuisce ”la creazione, il successo e la sopravvivenza” del loro impero.
Quando definisce il political warfare, Kennan, è cosciente che gli Americani debbono superare diversi bloccaggi culturali: ”l’attaccamento popolare al concetto di una differenza fondamentale fra la guerra e la pace”, ”una tendenza a considerare la guerra come una specie di situazione sportiva distinta da tutto il contesto politico” e “una reticenza a riconoscere le realtà delle relazioni internazionali”. Essi, tuttavia, vi riescono rapidamente, con la volontà e la facoltà d’adattamento che li caratterizza. Le loro prime operazioni coperte avvengono a partire dalla fine degli anni 1940 “allo scopo di minare la forza dei mezzi stranieri, che si tratti di governi, di organizzazioni o di individui, che sono impegnati in attività non amichevoli verso gli USA e di sostenere la politica estera degli USA, influenzando l’opinione pubblica all’estero in un senso favorevole alla realizzazione degli obiettivi degli USA”. Queste operazioni segrete inglobano “tutti i mezzi di informazione e di persuasione ad esclusione della costrizione fisica”. Ma, ispirandosi alla cultura britannica, gli Americani apportano più largamente “una risposta integrata alle minacce diverse dalla guerra convenzionale”. Vale a dire che l’insieme delle loro azioni politiche o militari, ma ugualmente economiche o culturali, si accordano in una visione strategica globale. Il loro principale teatro d’attività è l’Europa occidentale.
La CIA finanzia discretamente la sinistra non comunista per tagliare l’erba sotto i piedi di Mosca. Essa interviene in occasione delle elezioni generali italiane del 1948 a vantaggio dei democratici-cristiani contro i comunisti. In Francia, essa favorisce la creazione di un sindacato Force Ouvriere, al fine di dividere le forze della CGT. Altrove nel mondo, essa impiega le ONG e l’aiuto umanitario (specialmente l’USAID l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale, voluta nel 1961 da John Fitzgerald Kennedy), come vettori di influenza politica.

Gli USA favoriscono la nascita di un ecosistema sociale a loro favorevole. Il Piano Marshall, se consente la ricostruzione dell’Europa, determina anche la sua messa sotto tutela, contrastando. nel contempo e magistralmente. la propaganda sovietica. Le masse, costrette a scegliere, optano per la società dei consumi, preferendola alla lotta di classe. La CIA conduce parallelamente operazioni di guerra economica coperta, campo nel quale gli USA raggiungono rapidamente l’eccellenza, interessando un largo spettro, che va dallo spionaggio industriale, alla predazione finanziaria con l’acquisto di attivi base, passando per le informazioni economiche.
Infine, una offensiva culturale senza precedenti prepara l’americanizzazione dell’Europa. Dal 1949, il filosofo americano Sidney Hook (1902-1989) propone di rieducare l’Europa ed in tale contesto, i Francesi. Ma occorre procedere con prudenza nelle società democratiche aperte che hanno sviluppato “una forte immunità contro la propaganda”. Per conseguenza, le operazioni internazionali di informazioni americane “dovranno essere il più silenziose e sottili possibili e la marca USA non dovrà generalmente essere autorizzata ad essere visibile”. La CIA si mette all’opera appoggiandosi sull’Ufficio dell’Informazioni Internazionale e degli Affari Culturali. Essa finanzia una politica d’influenza diretta sugli intellettuali europei, per mezzo del “Congresso per la libertà e la cultura” e di sue diverse riviste (ad es. Prevues en France), nelle quali scrivevano regolarmente alcuni dei più autorevoli filosofi e politologi, ed es: Raymond Aron (1905-1983). La CIA arriva fino ad assicurare “la promozione delle esposizioni d’arte espressioniste astratte per contrare il realismo socialista”, assimilando l’astrazione “all’ideologia della libertà e della libera impresa”. Attraverso un rovesciamento pianificato e condotto con brio, l’immaginario americano si libera delle sue radici europee, al contrario, si mette ad irrigare il Vecchio Continente. New York rimpiazza Parigi ed altre importanti città come capitale intellettuale ed artistica del mondo.
Quando la guerra fredda si conclude, Washington è riuscita nella più formidabile operazione di political warfare della storia. L’URSS è crollata. D’altra parte, l’Europa risulta bloccata durevolmente in una vera “cultura della dipendenza”. Diversi decenni di “penetrazione psicologico-politica” l’hanno convinta della sua incapacità, o meglio della sua illegittimità ad assumere la sua autonomia strategica, mentre la subordinazione strutturale dei suoi strumenti di difesa la confinano al ruolo di elemento suppletivo degli USA.

Il Political Warfare oggi
Dopo la decomposizione dell’URSS, gli americani hanno considerato la superiorità del loro modello come un fatto acquisito. Essi credevano, non essendo più possibile alcuna rimessa in discussione sistemica del modello in vigore, che si potesse allentare la political warfare a vantaggio della difesa dei loro interessi economici a breve termine, convinti anche della loro forza militare.
Il ritorno della Russia sulla scena internazionale e la messa in esecuzione della Dottrina Gerasimov, (dal nome del generale russo Valerj Vassilievic Gerasimov (1955- che l’ha concepita; prevede una strategia militare che combina la sfera militare, tecnologica, informativa, diplomatica, economica, culturale e altre tattiche per il raggiungimento di obiettivi strategici) li hanno trovati spiazzati. A dire il vero, la Dottrina Gerasimov, o New Generation Warfare, risulta, in primo luogo, la riappropriazione e la modernizzazione del saper fare perduto, più che una vera e propria innovazione. Essa si basa sulla convinzione che “le regole della guerra sono profondamente cambiate. Il ruolo degli strumenti non militari per conseguire obiettivi politici e strategici è cresciuto ed in molti casi, essi hanno superato il potere delle armi in termini di efficacia”. Le “guerre delle nuove generazioni” necessitano in tale contesto “un approccio olistico (integrato in tutte le sue componenti) che abbracci tutta una serie di strumenti politici, militari, informativi ed economici attraverso diverse situazioni e localizzazioni”. Ben lungi dal minimizzare l’importanza della potenza militare, essa afferma: ”l’importanza della somma degli strumenti non cinematici ed asimmetrici”. La gestione russa della crisi di Crimea, nel 2014, ne costituisce una perfetta dimostrazione.
I Russi hanno identificato la vera posta delle sfide delle lotte di potenza contemporanee. Pubblicato nel 2016, il loro “concetto di politica estera” proclama che “la lotta per il dominio nella formazione dei principi chiave d’organizzazione del futuro sistema internazionale diventa la tendenza principale della tappa attuale dello sviluppo mondiale”. In tal modo, ”la concorrenza riguarda non solo il potenziale umano, scientifico e tecnologico, ma essa acquisisce sempre di più un carattere di civiltà, assumendo la forma di rivalità fra riferimenti assiologici (che si riferiscono a una scala di valori o sono fondati su un giudizio di valore)”. Solo che Mosca non dispone più della formidabile forza d’attrazione ideologico dell’URSS. Il suo modello socio-economico non risulta tale da sedurre le folle. Anche in termini informazionali (cioè relativo, con particolare riferimento, all’informatica e alla teoria dell’informazione), i Russi sono diventati apparentemente meno pericolosi di quanto si potesse supporre. Privilegiando la disinformazione e la propaganda nell’epoca dell’informazione aperta, essi espongono pericolosamente la loro credibilità a lungo termine per alcuni vantaggi immediati, alquanto dubbiosi. Essi non sono più capaci di strutturare l’immaginario o di riprogrammare l’obliquità cognitiva di un bersaglio, come ai tempi dell’URSS - il romanzo di Vladimir Volkoff (1932-2005), il Montaggio, pubblicato nel 1982 sulla base dei consigli del capo dei servizi di sicurezza esterni e controspionaggio francesi (SDECE), conte Alexandre de Marenches (1921-1995), fornisce un’idea di quello che essi potevano realizzare a quel tempo. La Russia è ormai ridotta ad impiegare modalità di guerra ibrida, certamente destabilizzanti, ma non strutturali. Essa può attaccare le società rivali, o anche contribuire alla loro disarticolazione. Ma le sue capacità in termini di political warfare sono troppo limitate per rimodellarle (2).
La minaccia cinese è stata, al contrario, sottostimata per lungo tempo. Indubbiamente gli Americani avrebbero dovuto leggere “La guerra fuori dai limiti”, un importante libro nel quale due ufficiali superiori dell’Esercito Popolare cinese annunciavano il tempo delle guerre non militari, già alla fine degli anni 1990. La Cina ha tessuto la sua tela con progressività e grande discrezione. Essa si è imposta nelle strutture internazionali, come l’OMC, nelle quali si è abilmente infiltrata. Quando necessario, essa ha creato strutture ad hoc, come la Banca asiatica d’investimenti per le infrastrutture, che fa concorrenza diretta al FMI, sotto influenza americana.
Alla libertà, considerata come anarchica, la Cina oppone il contro-modello dell’armonia, associato al suo formidabile sviluppo economico. Essa ha studiato i suoi rivali per, a sua volta, condizionare i loro comportamenti. “Gli Americani e le più alte sfere del governo del mondo economico o accademico si sono rivelati di una sorprendente vulnerabilità alle manipolazioni psicologiche della Repubblica Popolare di Cina”. Gli USA, di fronte a queste minacce, hanno deciso di reinvestire nella political warfare. Le forze armate americane hanno giocato un ruolo motore in questa presa di coscienza. L’US Army risulta all’origine di un fondamentale rapporto della RAND Corporation (3), nel 2018, sull’argomento, mentre l’US Marine Corps ha pubblicato, nel 2020, il suo proprio studio sulla political warfare cinese ed i mezzi per controbilanciarla. Il nuovo concetto strategico britannico, articolato intorno all’integrazione multi settore o dominio e dell’ingaggio sotto la soglia del fuoco nella competizione globale, evidenzia ugualmente una svolta decisiva oltre manica, al fine di condurre la political warfare nel modo più efficace.

Le tre guerre concorrenti e separate
Contrariamente all’idea comune, la guerra moderna non consiste più nell’uccidere gli individui avversi. E’ proprio, paradossalmente, l’inverso. Essa ha come scopo di ridurre un entità strategica ad una somma di individui privi di volontà collettiva. E’ proprio con questa logica o metro di giudizio che si comprende il trittico competizione-contestazione-scontro, evidenziato all’inizio nella Dottrina Gerasimov. Esso non designa un ciclo di preparazione, quindi di degradazione delle relazioni ed infine di scontro. Le tre sfere sono concomitanti, ma distinte e ilmodo di operarvi e combattervi differisce in ognuna.
Per riprendere il vocabolario del filosofo Immanuel Kant (1724-1804), il sistema strategico contemporaneo si articola in Fenomeno e di Noumeno. Il Fenomeno strategico corrisponde agli effetti prodotti da una società o un gruppo ed è associabile ad una conseguenza. Il Noumeno strategico, invece, ingloba gli elementi costitutivi di un gruppo o di una società, in quanto tali: esso designa la loro natura profonda e causale.
La guerra per mezzo del fuoco rappresenta la risposta cinetica ad uno scontro diretto. Il suo paradigma è l’urto. Essa tratta i fenomeni materiali, sensibili. I suoi principi sono quelli delle crisi classiche fra gli Stati o fra uno Stato ed una organizzazione o un gruppo. Gli attori sono chiaramente individuabili come amici e nemici, dove ognuno cerca di distruggere fisicamente l’avversario.
Come evocato dal loro nome, le guerre ibride si posizionano nell’intersezione del Noumeno e del Fenomeno in un quadro di contestazione. In esse si assiste allo svolgimento di combattimenti indiretti in zone di tensione, spesso per mezzo di “Proxys”, per non provocare una escalation militare. Pechino impiega largamente questo tipo di coercizione nel Mar della Cina meridionale, occupando gli spazi marittimi con le sue flotte da pesca ed organizzando alcuni scogli corallini in zone marittime contestate in isole artificiali occupate militarmente. La fase di contestazione è indiretta, ma si gioca fra attori identificati in zona delimitate. Essa oppone alleati ed avversari che cercano di darsi fastidio e di neutralizzarsi vicendevolmente.
Il political warfare, invece, si applica alla fase di competizione, che è il nuovo stato normale delle relazioni internazionali. Esso risale alle cause e punta alla modifica della natura profonda del bersaglio. Essa riguarda i meccanismi in sé stessi più che sulle loro conseguenze. Il suo obiettivo è il Neumeno strategico; esso non risponde ad un atto ostile, ma ne interdice l’espressione, ovvero la competizione. Agisce sull’identità, la volontà, le convinzioni, il credo, le capacità di analisi ed i comportamenti sociali del bersaglio. Il suo paradigma è l’architettura strategica. Multidominio, esso non è riducibile ad un quadro geografico o a limiti temporali. Estraneo alle categorie classiche amico/nemico, esso conosce solo attori e bersagli per modellare a suo vantaggio le strutture relazionali e cognitive del suo ambiente in un contesto di competizione globale.
Il concetto di Political warfare non è facile da tradurre in italiano, in quanto le espressioni di guerra politica o guerra psicologica sarebbero troppo restrittive. Alla fine degli anni 1950, si sono cominciati a studiare in Europa gli ammaestramenti della Guerra d’Indocina e della “Guerra nell’ambiente sociale”. Dove l’ambiente sociale era inteso nel suo senso più ampio, ovvero come l’insieme delle interazioni umane. In ogni caso, sembra che la traduzione più corretta del political warfare dovrebbe essere la “guerra attraverso il mezzo sociale”, complemento indispensabile della guerra ibrida e della guerra attraverso le armi. Se i suoi risultati sono meno spettacolari rispetto ad un bombardamento, i suoi effetti sono più durevoli e decisivi, poiché essi vengono a determinare una situazione in luogo di reagire a delle conseguenze. La guerra attraverso il mezzo sociale non costituisce uno scontro di fioretti spuntati, ma una vera e propria guerra totale, spesso non dichiarata.

NOTE
(1) Kennan George Frost,The Inauguration of organized political Warfare, nota segreta del 30 aprile 1948;
(2) Congressional Research Service: Russian Armed Forces: Military Doctrine ad Strategy, 20 agosto 2020;
(3) Linda Robinson, Todd C, Helmus, Raphael S. Coen, Alireza Nader, Andrew Radin, Madeline Magnuson, Katia Migacheva, Modern Political Warfare. Current Practices and Possible Responses, RAND Corporation, Santa Monica California, 2018; Nota declassificata del National Security Council, dal 1945 al 1952;
(4) Gershanek Kerry G., Political Warfare. Strategies for combating China’s Plan to “Win without Fghting” . Marine Corps University Press, Quantico, Virginia, 2020.

 

 

 

 

 

 

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