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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

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Dalla caduta dell'URSS alla guerra d'Ukraina

DALLA CADUTA DELL’URSS ALLA GUERRA d’UKRAINA
Trent’anni di illusioni e di frizioni


Pubblicato sul n. 300, settembre 2022, della Rivista Informatica “Storia in Network” ( HYPERLINK "http://www.storiain.net/"www.storiain.net) con il titolo “DALLA FINE DELL'URSS All'UCRAINA: TRENT'ANNI DI ILLUSIONI ED ATTRITI”
e lo pseudonimo di Max Trimurti.

L’ebbrezza da vincitori degli USA, di fronte ai timori ed alle umiliazioni della Russia ed al peso della geografia, alleata alla costanti della storia. Confronto fra due logiche imperiali, dove tutto sembrava concorrere ad un confronto fra Americani e Russi sotto le sembianze di una nuova guerra fredda, prima di tutto geopolitica.

La storia comincia con la disintegrazione interna dell’URSS nel 1991 che gli Occidentali avrebbero potuto evitare, proprio per timore di vedere sparire la stabilità che si erano riusciti a creare, non senza difficoltà, nell’ambito della guerra fredda. Henry Kissinger (1923- ) con la lucidità tipica della sintesi fornita dalla padronanza della storia e del realismo, vedeva due conseguenze ineluttabili al crollo degli imperi: “Gli sforzi messi in opera per approfittare della debolezza del centro imperiale e quelli spiegati dall’impero in declino per ristabilire la sua autorità sulla periferia”. Egli, in tal modo, ha profeticamente descritto, il meccanismo che, nel giro di una trentina d’anni, ci ha portato all’invasione dell'Ukraina, da parte della Russia.

Illusioni contro Umiliazioni
Il decennio 1990 si potrebbe definire come quello delle illusioni occidentali e quello dell’umiliazione russa. In effetti, l’illusione si centrava principalmente nella speranza di una integrazione della Russia nel campo occidentale, che Washington considerava come essenziale per far fronte alla crescita della potenza cinese a lungo termine. Assolutamente da evitare che le due potenze terrestri potessero unirsi di fronte alla potenza talassocratica USA, secondo lo schema del geopolitico britannico, degli inizi del XX secolo, Halford Mackinder (1861-1947). La Russia di Boris Eltsin (1931-2007) diventa, pertanto, in questo contesto, membro del Fondo Monetario Internazionale (FMI), della Banca Mondiale e fa il suo ingresso nel club ristretto del G7, mentre la sua economia subisce un trattamento da cavallo, ispirato dalla scuola neoliberale di Chicago: soppressione del controllo dei prezzi, liberalizzazione del commercio, privatizzazione delle imprese statali, il tutto a vantaggio degli oligarchi ed a danno del livello di vita dei Russi, che subisce un tracollo. Nel 1993, la NATO inaugura una istituzione di collaborazione militare con quelli che non potevano o non volevano aderire all’Alleanza, chiamata Partenariato per la Pace (PPP) ed alla quale la Russia aderisce nel 1994. Viene così messo in opera un meccanismo di collaborazione che ha il principale compito di sotterrare la guerra fredda.
Eppure, dietro questa apparente facciata occidentalizzata, si nascondeva una realtà ben diversa. In effetti, la Russia continuava a percepirsi come una grande potenza, che, per questo motivo, doveva essere trattata dagli USA come tale (in altre parole da pari a pari), nell’ambito di un partenariato strategico che rispetti i suoi interessi. La Russia non poteva rinunciare alla sua sfera di influenza, come è dimostrato dalla definizione del concetto geopolitico di “straniero vicino”, nel quale Mosca poneva l’insieme delle repubbliche ex sovietiche e che custodiva in sé i germi dell’inevitabile conflitto geopolitico con gli Stati Uniti. Ciò nondimeno, queste ambizioni si scontravano con quattro umiliazioni particolarmente difficili da accettare da parte della Russia.
La prima si basa sul crollo della sua potenza. Certamente, proprio perché Stato successore della defunta URSS, la Russia recupera il seggio permanente all’ONU con il suo annesso diritto di veto ed anche gli altri seggi nelle altre istituzioni internazionali, come anche l’arsenale nucleare. In queste condizioni, Mosca si dimostra incapace di impedire agli USA, inebriati dalla loro iperpotenza, di agire a loro piacimento negli affari internazionali, di giocare al gendarme del mondo, senza mai dimenticare i loro interessi e di esportare i loro valori nei quattro angoli del pianeta, al fine di realizzare il progetto dell’America-mondo.
La seconda umiliazione viene dalla frammentazione territoriale che ha fatto regredire le frontiere russe ai limiti di quelle del XVII secolo, facendole perdere i suoi territori conquistati dallo zar Pietro I il Grande e dalla zarina Caterina II, fra i quali l’indispensabile Crimea, senza la quale Mosca perde il suo accesso privilegiato al Mar Nero ed al Mediterraneo.
Ancora, terza umiliazione, la società russa va incontro ad una terribile recessione. Iperinflazione e disoccupazione, debito estero abissale, fughe di capitali, crollo del rublo, scomposizione dello stato, alcoolismo, aborti, delinquenza, nulla sembra risparmiare il nuovo Stato sorto dalle ceneri dell’URSS.
Un ultimo, quarto oltraggio, la Cecenia, che tenta una secessione armata che mette in pericolo le sorti dalla Federazione di Russia.
Tuttavia, il peggio doveva ancora arrivare con la guerra del Kossovo. Non si dirà mai abbastanza sulla gravità dell’operazione militare, lanciata dagli USA con le forze della NATO, per strappare questa provincia ai Serbi, culla storica della loro nazione, nel nome del diritto all’autodeterminazione dei popoli, un principio decisamente corretto, ma, purtroppo, applicato a geometria variabile. Illegale, ma legittimo alla luce dei diritti dell’uomo, l’attacco contro un popolo che storicamente risultava vicino a Mosca, mette in evidenza l’impotenza russa a contrastare l’azione militare americana. Per di più, diventava ormai difficile affermare che la NATO conservava una struttura puramente difensiva e che non rappresentava il braccio armato dell’egemonia USA.

Realismo contro ideologia
E’ proprio in queste condizioni che, nel 1999-2000, arriva al potere Vladimir Putin (1952- ) patriota russo, formato alla scuola del KGB, traumatizzato dalla fine della potenza sovietica. In realtà, una prima svolta aveva avuto luogo nel 1996, con l’arrivo alla direzione della diplomazia russa e quindi alla guida del governo, due anni più tardi, di Evghenji Maksimovic Primakov (1929-2015). Mosca inizia in quel momento a guardare in direzione della Cina, dell’India, dell’Iran, altre potenze continentali. La guerra del Kosovo non farà altro che contribuire ad un ulteriore deterioramento delle relazioni con l’Occidente. Ciò nonostante, i primi segni inviati dal giovane presidente potevano apparire positivi agli occhi di Washington, soprattutto dopo gli attacchi terroristi dell’11 settembre del 2001. Putin, in quel momento alle prese con il terrorismo ceceno, opta per un riavvicinamento con gli Americani, lanciati nell’operazione Enduring Freedom in Afghanistan. In tale contesto, gli viene richiesta la sua cooperazione e gli viene consentito di installare basi nei paesi dell’Asia centrale. A questa prima fase iniziale collaborativa seguiranno diversi accordi che tenderanno a configurare meglio questo partenariato, fra i quali il Trattato SORT (Strategic Arms Reduction Treaty) di disarmo strategico, sulla riduzione delle testate nucleari, firmato il 24 maggio 2002 e seguito, quattro giorni più tardi, dall’insediamento del Consiglio NATO-Russia.
Tuttavia, nonostante le buone premesse, ben presto vengono alla luce notevoli frizioni. L’uscita degli USA dal Trattato ABM nel giugno 2002 e la forzata invasione (illegale ed illegittima) dell’Irak, nel marzo del 2003, mettono in evidenza le smisurate ambizioni degli USA, come anche la loro evidente impunità. Nello stesso tempo i Russi si sono sentiti minacciati nei loro interessi immediati. Oltre alla tragedia di Beslan, nel settembre 2004, che segna l’apogeo della campagna terroristica dei Ceceni e che Putin aveva schiacciato nelle rovine di Grozny, lo “straniero vicino” dei Russi subisce ondate di rivoluzioni colorate, specialmente a , dove scoppia, sempre nel corso del 2004, la Rivoluzione Arancione. Non senza ragione, Mosca ha voluto vedere, nella caduta del potere pro-russo, l’azione sovversiva degli Americani attraverso le loro potenti ONG. E’ pur vero che, dalla Casa Bianca, il presidente George W. Bush (1946- ) ha condotto una lotta ideologica in favore della democrazia, che egli ha descritto in termini molto chiari nel suo discorso inaugurale del suo secondo mandato, nel gennaio 2005. La politica americana, secondo Bush junior, consisteva ormai a “ricercare e sostenere il progresso di movimenti e di istituzioni democratiche in tutte le nazioni ed in tutte le culture, con lo scopo ultimo di mettere fine alla tirannide nel mondo”. A Mosca, dove il potere putiniano aveva cominciato a serrare le viti, si rendono perfettamente conto del senso del messaggio. Da un lato, come dall’altro, appare evidente la rimessa in discussione del partenariato strategico.

E la NATO si allarga
Nel cuore del processo di uscita dalla guerra fredda, ma anche da quello che ha condotto alla guerra in Ukraina, si trova il problema della supposta promessa fatta a Mikhail Gorbacev (1931-2022) dagli USA di non estendere la NATO verso Est. Nonostante le ripetute refutazioni dello storico americano Mark Kramer di Harward, una promessa verbale di non allargamento è stata effettivamente formulata da James Baker (1930- ), Segretario di Stato di George Bush, nel febbraio 1990, nel momento dei negoziati sulla riunificazione della Germania. Se ne trova traccia nelle note scritte da Baker: “Germania unificata ancorata in una NATO cambiata (politicamente) - la cui giurisdizione non si estenderebbe verso Est !”, come viene riportato da Mary Elise Sarotte (1968- ) nel suo libro 1989: the Struggle to Create Post Cold War Europe. Risulta, tuttavia, vero che in quello stesso momento la dissoluzione del Patto di Varsavia e dell’URSS era semplicemente inimmaginabile. E’ ancora più vero che questo dubbioso affare è diventato per i Russi una specie di mito fondante nei loro rapporti con l’Occidente. E l’essenziale del problema risiede esattamente in questa promessa, secondo i Russi non mantenuta.
La NATO, dunque, si allarga. Un allargamento sostenuto da un asse Washington-Berlino-Varsavia, richiesto legittimamente dai paesi dell’Europa orientale che, forti della loro precedente drammatica esperienza, conoscono bene il carattere espansionistico di una grande potenza, conoscono il nazionalismo imperiale russo e ricercano pertanto una protezione che gli USA. Questi, decisi a respingere la Russia il più ad est possibile, erano ben decisi a fornire loro, seguendo le schema formulato da Zbigniew Brzezinski (1928-2017), esplicitato nella Grande Scacchiera (1997). Nello stesso anno 1997, la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca vengono, conseguentemente, autorizzate a candidarsi per l’adesione alla NATO, secondo i criteri democratici ridefiniti nel 1995, entrata che diventerà affettiva nel corso del 1999. Da quel momento, l’ingrandimento della famiglia NATO continuerà, con l’entrata a partire dal 2004 agli Stati baltici, alla Slovacchia, alla Romania, alla Bulgaria ed alla Slovenia, per concludersi nel corso del 2009 con gli ingressi di Croazia ed Albania e con quello del Montenegro nel 2017.
La posta in palio per gli USA era di primaria importanza. In effetti, la NATO ha loro consentito e consente tuttora di controllare i loro alleati europei, di avere un piede sul continente europeo, senza il quale essi si troverebbero nella situazione che la geografia ha dato loro: un’isola continente tagliata dalla massa euroasiatica. Orbene, l’avanzata della NATO ha contribuito a riattivare nella controparte russa, questa paura ossessiva dell’invasione. Vale la pena sottolineare che la Russia ha sì di che rallegrarsi delle ricchezze dell’Heartland, ma soffre di due mali geografici: il suo incapsulamento, che la separa dagli accessi ai mari caldi, da una parte e, dall’altra parte, la vulnerabilità del suo spazio che non dispone di alcuna barriera fisica di protezione. L’Ukraina, via di invasione verso la Moscovia e porta verso il Mediterraneo: non è necessario possedere una grande perspicacia per capire l’importanza geopolitica a prescindere di questa nazione, specie per i Russi. Qualche tempo fa, Jack F. Matlok Jr. (1929- ), vecchio ambasciatore americano a Mosca, ha affermato che “l’espansione della NATO costituiva la più profonda gaffe strategica fatta a partire dalla fine della guerra fredda”.
L’allargamento del 2004, la Rivoluzione Arancione dello stesso anno, la politica neoconservatrice del “Regime Change” di George W. Bush, l’installazione di uno scudo antimissile in Polonia ed in Romania (con la scusa di contrare i missili iraniani …) e la rimessa in discussione da parte degli Americani del Trattato ABM, sono stati interpretati da Putin come i segni di una ostilità crescente. In occasione della Conferenza sulla Sicurezza, tenutasi a Monaco di Baviera nel 2007, il Capo del Kremlino ha indicato la NATO, senza alcuna ambiguità possibile, come il nemico della Russia. Anche il presidente francese Jacques Chirac (1932-2019), verso la fine del suo secondo mandato, ha espresso la sua inquietudine di fronte a questa evoluzione ed ha invitato ad una seria riflessione ai fini di ipotizzare una struttura di sicurezza che coinvolgesse la Russia nei riguardi di uno statuto dell’Ukraina che potesse garantire la sua sicurezza. Ma Bush, a questo invito ed ad altri provenienti da paesi europei, ha risposto con un gentile ma fermo diniego.
Putin, a quel punto, ha approfittato della determinazione degli Americani e della corta visione delle dirigenze europee. Indubbiamente, il vertice della NATO, tenutosi a Bucarest nell’aprile 2008 rifiuterà all’Ukraina ed alla Georgia lo statuto ufficiale di candidato, che Washington voleva loro attribuire, proprio per il veto incrociato di Francia e Germania. Tuttavia, gli USA continueranno a lasciare la porta aperta a questi due paesi, compresi nello spazio dello “straniero vicino” russo, nella speranza di poterne approfittare. A questo punto, è stato sufficiente per Putin attendere l’errore fatale del presidente georgiano Mikhail Saakashvili (1967- ) per ottenere nell’agosto 2008 il pretesto per un’invasione che spezzerà la dinamica pro NATO di Tbilissi, strappandogli ben due province (Abkhazia ed Ossezia del Sud). Eppure, il messaggio putiniano era di estrema chiarezza: egli userà ormai la forza per bloccare future adesioni. Ma in Occidente non hanno dato il giusto peso al netto avvertimento. Bruxelles, almeno visibilmente, ha continuato a far finta di non aver capito. Lanciata nella sua politica di allargamento a tutti i costi e di esportazione della pax democratica, che si potrebbe definire anche come “imperialismo dolce”, l’UE non rinuncia all’ipotesi di far aderire nel suo seno l’Ukraina, con sovrano disprezzo dei più elementari interessi di sicurezza russi. Ukraina si trasforma, a quel punto, in una minaccia per Mosca, tanto più che l’adesione all’UE coincide, quasi temporalmente, con quella alla NATO. Prosperità, democrazia, protezione americana ai margini della sua frontiera: altrettanti pericoli che la Russia vede avanzare minacciosi contro di sé. Putin, in questo caso, ha la colpa di aver pensato che non ci sarebbe stata altra via d’uscita e di disporre di sufficiente cinismo per infrangere ed infischiarsene delle regole di convivenza internazionale.

Le guerre per procura
Insediato alla guida di un governo forte, seduto sopra immense riserve di gas, arricchito dall’aumento dei pressi del petrolio, consolidato da una restaurazione interna del suo paese sul piano sociale, religioso e culturale, destinato a rendere ai Russi la loro fierezza - condizione indispensabile per un ritorno in forza sulla scena mondiale -, Putin lancia il suo paese in uno scontro con l’Occidente, di cui la Cina gli concede il privilegio. Un combattimento, che assume progressivamente un carattere ideologico sempre più marcato. In un discorso pronunciato nel 2013 al Forum di Valdai, il presidente russo denuncia i paesi occidentali che a suo avviso, “adottano delle politiche che mettono sullo stesso piano le famiglie numerose e le coppie dello stesso sesso, la fede in Dio ed il culto di Satana”. Da un punto di vista geopolitico, egli riprende per sé l’ideologia slavofona e le tesi euroasiatiche (sostanzialmente anti occidentali) care al filosofo e politologo russo Alexander Dugin (1962- ), per il quale l’inevitabile scontro fra civiltà avverrà fra la civiltà tradizionalista, da un lato e l’Occidente decadente, dall’altro.
Con il decennio 2010, la Russia di Putin entra in uno scontro progressivamente più forte e più ampio con l’Occidente, in un crescendo che porterà all’invasione dell’Ukraina. Il contesto appare favorevole, dal momento che gli USA iniziano a rinunciare al loro ruolo di gendarme del mondo con il presidente Barak Obama (1961- ). In occasione della crisi della Libia del febbraio 2021, il Kremlino lascia passare all’ONU la risoluzione n- 1973 del 17 marzo 2011, che autorizzava la Francia ed il Regno Unito, saliti sul treno del neoconservatorismo, proprio nel momento in cui gli Americani ne sono discesi, ad intervenire a sostegno dei ribelli, ma senza impegno diretto sul terreno, nel rovesciamento del sanguinoso regime dell’autocrate di Tripoli. Il seguito risulta ben noto: Parigi e Londra, come anche i loro alleati Qatarini, non rispetteranno il mandato dell’ONU. La Russia, a quel punto, ha buon gioco nel gridare alla prevaricazione, anche se è lecito dubitare dell’atteggiamento naif dei dirigenti del Kremlino in tutta la questione. Con la guerra civile in Siria, Mosca passa dal lasciar fare al bloccaggio delle iniziative occidentali, mettendo il suo alleato Bashar el Assad (1965- ) sotto la sua protezione, come lo dimostra il primo veto posto a partire dall’ottobre 2013 all’ONU e quindi intervenendo militarmente in suo favore a partire dal 2015. Nell’affare, la Russia riesce a vincere su tutta la linea, ad esempio quando Obama rinuncia ad una operazione militare nel 2013. Infine, Putin passa all’azione diretta nel 2014, al fine di difendere i suoi interessi immediati nell’area dello “straniero vicino”, con l’annessione della Crimea e la Guerra per procura nel Donbass. Una crisi, conviene ricordarlo, che nasce dall’accordo di associazione proposto a Kiev dall’UE, che, da parte sua, sembrava incapace di rinunciare all’Ukraina e di non aver tratto alcun ammaestramento dai fatti della Georgia.
Altro punto capitale: l’estensione geografica dell’attivismo russo che ha riproposto quello dell’URSS degli anni 1960-70. Oltre alla Siria, l’influenza della Russia si fa sentire, ormai, in Egitto, in Algeria, nel “puzzle” libico e chiaramente in Africa. Ovunque gli Occidentali mostrano segni di regressione. Le sanzioni economiche del 2014 hanno dato un impulso supplementare al riavvicinamento della Russia con la Cina, mentre Mosca rimane essenziale nella risoluzione della questione siriana ed irakena. In definitiva, la Russia è ritornata ad essere un attore fondamentale sullo scacchiere internazionale. Ormai si deve comunque trovare un accordo con Mosca. Donald Trump (1946- ), per concentrarsi meglio sul pericolo cinese, aveva evidenziato una volontà di riallacciare, senza successo, i contatti con la Russia, e di riproporre quel famoso “reset” che anche Obama a suo tempo aveva anch’egli tentato invano. In effetti, si trattava ormai di una tardiva resipiscenza. Di fatto, queste aperture sono state sempre interpretate da Putin come indizi di debolezza, che ha sempre rifiutato di accogliere la mano tesa. A tutto questo vanno aggiunti i numerosi bloccaggi presso il Consiglio Nazionale di Sicurezza, come al Congresso dei Rappresentati, che hanno contribuito ad impedire alla Casa Bianca anche un minimo di riavvicinamento con Mosca. I pregiudizi negativi e reciproci rappresentano ostacoli difficilmente superabili in un tempo breve, da una parte e dall’altra.
In fin dei conti, con la sua aggressione all’Ukraina, diventata terreno di scontro degli imperi, Putin ha superato una nuova (ultima ?) tappa del ritorno in potenza della Russia sulla scena mondiale e del suo rifiuto dell’attuale ordine mondiale, immaginato da Washington. In effetti, le sue dichiarazioni al venticinquesimo Forum di San Pietroburgo, del 15 giugno 2022, poi quelle al Vertice del 23-24 giugno dei BRICS, i nuovi Paesi non allineati, hanno reso flagrante le vere intenzioni del presidente russo: l’invasione dell’Ucraina è, dunque, solo un pretesto in un disegno di più ampio respiro, che persegue l’obbiettivo, con l’appoggio più o meno palese della Cina, della distruzione dell’unipolarismo del morente impero americano e della liquefazione della sua area periferica, denominata Unione Europea.
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