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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

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Afghanistan, Australia e la Cina segna punti a favore

AFGHANISTAN … AUSTRALIA e la CINA segna punti a favore

Pubblicato su Rivista Informatica "GRAFFITI on line" ( HYPERLINK "http://www.graffiti-online.com" www.graffiti-on-line.com), del mese di dicembre 2021 con il titolo “OCCORRE RINSALDARE LE ALLEANZE TRA USA ED UE SENZA ESCLUDERE LA RUSSIA”
HYPERLINK "https://www.graffiti-on-line.com/home/opera.asp?srvCodiceOpera=2005" https://www.graffiti-on-line.com/home/opera.asp?srvCodiceOpera=2005

L’abbandono dell’Afghanistan segna il fallimento degli USA e della NATO nell’esportazione della sua way of life e della democrazia. In Australia hanno dimostrato che le idee di Trump sugli interessi americani risultano prioritari su tutto, anche con gli alleati tradizionali. I Cinesi hanno fatto tesoro dai comportamenti degli USA, guadagnando posizioni importanti in Afghanistan per le loro industrie e che se toccati nei loro interessi primari, non avranno scrupoli, se necessario, ad abbandonare i loro alleati.

Due sequenze internazionali forti di questa estate trascorsa segnano una svolta nelle relazioni fra gli USA ed il resto del mondo, specialmente nei confronti della Cina e dell’Europa. Tutto a inizio nell’agosto 2021 con il fallimento americano di fronte ai Talebani. Nonostante una guerra di 20 anni, con quasi 2.400 soldati morti e più di 2 mila miliardi di dollari spesi, gli Americani e la NATO hanno dovuto, “obtorto collo”, ritirarsi precipitosamente, in una atmosfera da “si salvi chi può”. Già evidente nel corso della primavera, la spinta dei Talebani, diventata irresistibile nel corso dell’estate, ha travolto tutto al suo passaggio. Il 15 agosto, i loro combattenti sono entrati a Kabul, una capitale di 4 milioni di abitanti in stato di sorpresa e stupore. L’esercito afghano (250 mila uomini, di fronte ad 80 mila Talebani), nonostante i suoi moderni equipaggiamenti ed il sostegno occidentale, si è evaporato nel giro di pochi mesi.
Le responsabilità di questa disfatta sono da ripartire fra i vari attori. E’ evidente che la maggioranza degli Afghani aveva già fatto la scelta di un prudente attendismo da diversi anni. Una parte importante di essi, specialmente fra i Pastuni, l’etnia maggioritaria (40% dei 40 milioni di abitanti), si augurava persino la vittoria dei Talebani, nel nome del “vero islam” e del rispetto integrale della Sharia. La classe dirigente, avallata dagli Occidentali, non è mai risultata all’altezza del compito, inghiottita in una corruzione sistemica ed in feroci lotte di clan.
Dal lato americano - gli altri 37 paesi della coalizione si erano allineati sulle decisioni dello zio Sam -, i dirigenti successivi (George Bush, Barack Obama, Donald Trump e quindi Joe Biden) hanno fornito prove di pusillanimità, di scarso realismo e di ostinazione ideologica. La non perfetta conoscenza del terreno, il rifiuto di adottare sanzioni nei confronti del Pakistan, per il suo decisivo sostegno ai Talebani ed una fede incrollabile ed incosciente nella possibilità e nella loro capacità di esportazione di un bene non commerciabile, come la “democrazia” fra i “musulmani”, hanno sabotato le tante buone iniziative, nonostante il sacrificio dei soldati. La difesa dei diritti dell’uomo e la promozione dei diritti delle donne non risultavano di certo fra le priorità del popolo afghano, anche presso gli Alleati occidentali. Gli allarmi dei militari non sono stati ascoltati dai politici. L’America esce umiliata dal più lungo conflitto della sua storia. Essa ha messo, soprattutto, in evidenza i suoi limiti politici e militari, in una regione che la Cina, sua grande rivale, considera come un suo cortile esterno. Di fatto, la vittoria dei Talebani rinforza gli interessi cinesi. Pechino vuole trattare con loro, specialmente per lo sfruttamento dei minerali strategici afghani, che l’ONU stima con un potenziale di mille miliardi di dollari.
L’altro avvenimento internazionale importante, avvenuto alla metà del mese di settembre, costituisce la rottura brutale del “contratto del secolo” franco-australiano. Questo contratto prevedeva la costruzione e la manutenzione di 12 sottomarini nucleari d’attacco da parte della francese Naval Group (35 miliardi di euro su 50 anni). L’accordo è saltato per il siluramento da parte della potenza americana. Il voltafaccia australiano, orchestrato dagli USA, è stato una pugnalata alla schiena per la Francia, umiliata pubblicamente e duramente colpita nei suoi interessi. Gli Americani con il nuovo contratto, che risponde ai criteri a suo tempo enunciati da Trump (difesa del loro stretto interesse nazionale: America first), hanno ottenuto tre successi: politico, industriale e militare e legano per lungo tempo l’Australia alle tecnologie, ai materiali ed ai sistemi di difesa USA.
I dirigenti cinesi, osservatori onnipresenti ed iperattivi in questa zona indo-pacifica, che tende a diventare il perno del mondo, traggono due ammaestramenti da questi avvenimenti. In Afghanistan, essi constatano che l’ideologia in vigore a Washington, a prescindere dal campo politico, risulta staccata dal mondo reale e conduce inevitabilmente all’abbandono dei suoi alleati ed alla sconfitta. Notano, altresì, che la forza militare americana, considerevole, non risulta sostenuta da una forza morale adeguata per assumersi dei rischi e per sostenere uno sforzo di lunga durata. In Australia, i Cinesi prendono atto che l’America può abbandonare uno dei suoi più antichi alleati (purtroppo non sempre fidato), senza alcuna concertazione preliminare, né scrupoli morali. I Cinesi, con certezza, analizzeranno gli inevitabili scontri a venire - Mar della Cina, Taiwan, Pacifico, Medio Oriente - alla luce di queste due constatazioni e probabilmente si muoveranno di conseguenza.

Il modello cinese e conclusioni
Questo sopra detto è stato ampiamente dimostrato dalla Cina. Entrata nell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio) nel 2001, guardata dall’alto e con un certo disprezzo da molti, essa è ormai diventata una delle superpotenze economiche e può, appena 20 anni dopo, esprimere ad alta voce le sue ambizioni geopolitiche. Xi Jinping con la sua personalità e la sua propria visione, rappresenta l’erede delle riforma di Deng Xiaoping e di Hu Jintao. Se non ci fossero state le aperture degli anni 1980, l’abbandono delle disastrose politiche maoiste e la volontà di diventare il “laboratorio del mondo”, non ci sarebbero potute essere oggi le iniziative delle rotte della seta e le ambizioni nel Mar della Cina. L’URSS, invece, ha conosciuto il cammino inverso: il suo fallimento economico ha provocato la sua implosione interna e la sua scomparsa dalla scena mondiale (1991). Trenta anni più tardi, alcuni paesi ex URSS dell’Asia centrale hanno raccolto la sfida dello sviluppo e sono diventati oggi partner economici di un certo rilievo.
Certo l’Italia, per la sua dimensione, per le scelte fatte in momenti di necessità, oggi é stata costretta a ridurre, e di molto, le sue prospettive mondiali, ma questo non le impedisce, in ogni caso, di rimettere in ordine le cose di casa sua ed, in primo luogo, l’economia, base del suo benessere e della sua coesione sociale e con essa la disponibilità di un adeguato strumento militare dato che l’Europa non ce l’ha. Chi si preoccupa della declinazione dei sostantivi al femminile credo che non abbia il diritto di guidare una nazione, perché inadeguato al compito che deve assolvere e soprattutto perché non ha capito l’ABC della sua alta missione. Per andare più lontano: se la Comunità Europea si riduce a produrre direttive sulla lunghezza e la tipologia delle etichette dei prodotti e non è stata ancora in grado di esprimere una sua politica estera (frutto di una inesistente potenza economico militare), vuol dire che c’è necessità evidente di riformarne la sua struttura.

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