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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

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USA, FORZA e DEBOLEZZA di una GRANDE POTENZA

USA, FORZA e DEBOLEZZA di una GRANDE POTENZA

Pubblicato su Rivista Informatica "GRAFFITI on line" (www.graffitionline.com),

del mese di marzo 2020, con il titolo “GLI STATI UNITI D’AMERICA”

http://www.graffiti-on-line.com/home/opera.asp?srvCodiceOpera=1928

 

La salute dell’economia americana è sistematicamente oggetto di commenti

ammirati ed allarmistici. Ad ogni nuova crisi economica si riaccendono le

polemiche ed i pronostici sulla fine dell’era americana. Anche quest’ultima

crisi non è bastata a mettere mortalmente in crisi l’aquila americana che

continua a volare sul mondo, mentre, peraltro, sembra aver lasciato molte

più scorie nelle altre economie, specie quella europea. Analisi e possibili

risposte.

Come ci sono cicli economici esistono, con ogni evidenza, anche cicli giornalistici.

La salute dell’economia americana risulta, in tale contesto, oggetto di commenti

che, a seconda dei punti di vista, gli pronosticano o prospettive edificanti o crolli

esemplari. Ogni volta che gli osservatori si entusiasmano sul loro progresso

tecnologico - l’invio di un uomo sulla Luna nel 1969 o il lancio di internet negli anni

1970 -, subito dopo, però, essi predicono la loro inevitabile e prossima caduta,

come nel 1957, allorché Mosca lancia lo Sputnik, o nel 1971, quando cessa la

convertibilità del dollaro con l’oro, oppure, agli inizi degli anni 2000, quando

scoppia la bolla internet e che vengono rivelate le turpitudini di Enron, Worldcom

(intreccio perverso fra mafie e finanze). Negli ultimi tempi, la nuova crisi

finanziaria d’oltre atlantico ha contribuito a rilanciare le speculazioni sul declino

degli Americani, ma, come al solito, anche se molti analisti hanno giudicato questa

recente crisi di una natura diversa dalle precedenti, l’aquila americana, anche

questa volta, non ne è risultata mortalmente ferita

Quale declino ?

Eppure non si finirebbe di enumerare i fondamenti intatti della potenza

americana.

In primo luogo le risorse del loro spazio, in particolare il loro food power, da cui

dipende ancora l’alimentazione del pianeta. Dal momento che, nel 2007, essi

decidono di moltiplicare per 5 la loro produzione di etanolo per la trazione, i

prezzi dei cereali hanno iniziato a crescere sensibilmente. Il territorio dal quale

essi possono trarre le ricchezze del suolo e del sottosuolo supera d’altronde le

loro frontiere e si estende, grazie all’ALENA, al Messico ed al Canada, due

importanti paesi produttori di energia.

In secondo luogo la potenza delle sue imprese. La produzione delle loro filiali

all’estero rappresenta circa il triplo delle loro esportazioni. Questo non accade

senza contropartite: una parte della produzione viene rimpatriata oltre Atlantico

e contribuisce alle difficoltà della loro industria. Questa constatazione consente,

tuttavia, di valutare con una certa relatività il regresso degli USA e lo sviluppo

dei loro concorrenti: il 90% delle esportazioni cinesi di materiale informatico

sono l’effetto di aziende straniere, fra le quali numerose marche americane (1).

Da ultimo la loro capacità di innovazione. In questo campo, l’intervento dello

stato non si discute ed alimenta lo sfogo principale della ricerca mondiale - quasi

il 40% delle spese mondiali. Il brain drain (drenaggio dei cervelli) contribuisce

alla supremazia americana e fornisce il 15% degli ingegneri al paese.

Ben altre prove potrebbero essere portate a sostegno della tesi appena

avanzata: il dinamismo demografico che dovrebbe permettere agli USA di

ammortizzare la crisi della crescita del numero dei “pensionati”, che, invece,

minaccia l’Europa di oggi e la Cina di domani; le qualità di una manodopera, che

lavora 1800 ore per anno (contro le 1500 ore mediamente lavorate in Europa) e

che si piazza in testa nel mondo per quanto riguarda la produttività; il

pragmatismo dell’amministrazione che, ben lungi dall’immagine falsamente

diffusa “dell’ultraliberalismo”, interviene pesantemente nell’economia - per

sostenere la crescita, per contrastare l’acquisto di imprese strategiche e per

mantenere la superiorità tecnologica del paese.

Tutto questo tuttavia non convince quelli che propendono per il “declino”. Essi si

focalizzano su qualche elemento, peraltro indiscutibile. Il deficit della bilancia

commerciale estera, l’indebitamento, il debole tasso di risparmio. Le loro tesi

sono state riassunte brillantemente dal sociologo Emmanuel Todd (1951- ) (2).

Secondo questi, gli Americani si sono allontanati dalla produzione di beni

materiali; essi preferiscono importarli. E per finanziare questi acquisti essi sono

costretti ad operare sul mondo un “prelevamento imperiale”, che passa

attraverso il loro sistema finanziario, ma occorre che il resto del pianeta accetti

questo prelevamento. Per questo, Washington ha fatto valere a suo tempo lo

sforzo compiuto per difendere il “mondo libero” ed i diritti dell’uomo. Questo

argomento ha ormai perduto parte del suo valore con la fine della guerra fredda,

tanto più che la crescita delle disuguaglianze, contraddice i valori democratici, ai

quali gli Americani si rifanno. In ogni caso, quando ne hanno bisogno, gli USA

stampano nuova carta moneta con la quale acquistano i beni e servizi per le

proprie esigenze interne, aumentando in tal modo il debito, … in mano ai loro

creditori.

Questa analisi va direttamente all’essenziale, ovvero alla capacità degli USA di

mobilitare le risorse del pianeta a loro vantaggio. In realtà, dietro il flusso

economico, l’esame di quelli che propugnano il declino smaschera i rapporti di

forza politici e le giustificazioni ideologiche, ma forse esso pecca per eccesso,

perché l’analisi sembra sottovalutare i fondamenti della potenza economica

americana. Essa si focalizza sulle industrie tradizionali che, è vero, hanno subito

un arretramento, il tessile inizialmente, l’acciaio ieri e l’automobile oggi, al punto

che la General Motors si è trovata sull’orlo del fallimento, come la Bethlehem

Steel nel 2001. Tuttavia, durante questo periodo sono nate, nella sola Silicon

Valley, Hewlett Packard, Intel, Apple, Atari, Fairchild, Sun Microsystems,

Oracle, Cisco, Yahoo, ecc..

L’apparato produttivo americano si basa ora sulla tecnologia e sui servizi; non si

tratta indubbiamente di beni materiali, che provoca un certo disprezzo da parte

dei nostalgici del “mattone” e della “morchia” del petrolio. Il loro controllo

permette comunque agli USA di orientare a loro vantaggio i flussi di denaro, di

tecnologia e di informazioni di tutto il pianeta. Essi non si accontentano di

dominare gli oceani, essi controllano l’insieme degli elementi fluidi dell’economia e

costituiscono, in tal modo, la prima talassocrazia high tech della storia.

L’analisi dei fautori del declino, porta peraltro a delle conclusioni radicali sulla

crisi economica che attanaglia oggi il paese. E’ pur vero che il crollo del sistema

finanziario ha rivelato dei disequilibri sui quali si appoggiava la crescita degli

USA, in particolare, l’eccesso di indebitamento. Questo fatto può determinare la

perdita di fiducia nel loro modello di sviluppo e potrebbe rendere più difficile nel

futuro il “prelevamento imperiale” di cui parla Emmanuel Todd.

Queste domande appaiono giustificate, ma la risposta appare troppo affrettata.

Il solo elemento certo di oggi, la crisi partita dagli USA, che tocca oggi il mondo

intero, smentendo la tesi degli analisti che pensavano che l’Asia si sarebbe

emancipata dagli USA. Peraltro, Wall Street ha subito uno shock decisamente

meno brutale di quello sofferto dalle altre borse mondiali. Infine, il dollaro ha

paradossalmente subito un apprezzamento dall’inizio della crisi. Potrebbe persino

accadere che gli Americani possano subire meno degli altri gli effetti di una crisi

che essi stessi hanno provocato !!! La storia non è nuova al ripetersi di tali eventi.

Il dollaro, il dollaro ed il dollaro

Gli Usa potrebbero uscire dalla crisi a nostre spese ? La domanda ne provoca

un’altra: possono essi restare una economia dominante, quella che fissa le regole

e che ne approfitta per orientare a suo vantaggio il funzionamento del pianeta ?

Essi dispongono di questo potere a partire dalla 2^ Guerra Mondiale. Questa

egemonia si appoggia su tre punti fondamentali: il dollaro, il dollaro ed il

dollaro.

Il dollaro che consente agli Americani di pagare e di indebitarsi con la loro

moneta; è il “privilegio del debito senza lacrime”, messo in evidenza già negli anni

1960.

Il dollaro che sostiene i loro consumi e quindi la loro crescita ed il loro mercato

del lavoro.

Il dollaro, infine, che facilita l’acquisto delle materie prime, di beni ed

attrezzature, delle imprese e delle tecnologie del resto del mondo ed attraverso

il quale viene operato il “prelevamento imperiale” sopraccitato.

Questa situazione è stata messa in opera nel 1944 con gli Accordi di Bretton

Woods, che hanno reso la moneta verde il riferimento del sistema monetario

mondiale. In contropartita, gli USA si impegnavano ad assicurare la sua

convertibilità in oro: la loro Banca Centrale, la FED, doveva scambiare in oro i

dollari presentati dalle altre banche centrali. Nel 1971, il Presidente Richard

Nixon (1913-1994) arriva a sbarazzarsi anche di questo “fastidioso” vincolo. Da

allora il dollaro rimane allo stesso tempo la moneta degli USA e la moneta del

mondo, ma i due contraenti non sono più su un piano di parità: gli USA fabbricano

i dollari e li spendono, gli altri li ricevono e li “ammucchiano”, finendo per dare

ragione alla frase del segretario di Stato USA, John Bowden Connally (1917-

1993), che, negli anni 1970, diceva apertamente “il dollaro è la nostra moneta ed

il vostro problema !!”

Dal 1971, il mondo non è più obbligato a fare del dollaro la moneta di riferimento

e pur tuttavia esso continua a farlo per almeno tre ragioni.

In primo luogo, la forte ripresa del 1983 provoca una ripresa di fiducia negli

USA. Il ritorno ad una crescita sostenuta, i guadagni di produttività, i profitti

elevati vi contribuiscono, ma anche l’influenza delle teorie liberali e la capacità

dei finanzieri che moltiplicano le “innovazioni” (3). Come, in effetti, lo ha spiegato

Ben Shalom Bernanke (1953- ), presidente della FED, “non sono gli USA che si

indebitano ma il resto del mondo che concede loro dei prestiti”.

In ogni caso, dopo la grande crisi della fine della decade degli anni 2000, tutti di

nuovo facevano a gara per pronosticare un prossimo crollo della moneta verde, ma

i successi dell’economia americana sotto la presidenza Donald Trump (1946- ),

della fine della decade 2010, hanno ridato nuovo slancio al dollaro ed al sistema

che sottintende.

Inoltre il dollaro non ha incontrato dal 1971 veri rivali. Non lo è stato il marco

tedesco, in quanto la Germania temeva la sua internazionalizzazione ed i rischi di

inflazione che avrebbe potuto provocare; non lo è stato l’ECU, che nella pratica

non era una vera moneta; non lo è stato lo yen giapponese, che non era sostenuto

da un sistema finanziario aperto e potente; non lo è l’Euro e neppure,

evidentemente gli embrioni abortiti di moneta mondiale come il DTS. Lo sarà in

futuro la moneta cinese ?

Ma, soprattutto, i partners degli USA non hanno alcun interesse ad un crollo del

dollaro. I Cinesi minacciano a volte di diversificare le loro riserve monetarie e di

liberarsi di una parte dei loro buoni del Tesoro americano. Ma se essi li vendono,

il dollaro inevitabilmente perde valore con il conseguente corollario del crollo

delle loro esportazioni verso gli USA. In effetti negli ultimi anni i Cinesi hanno

speso molti dei loro dollari per acquisti strategici in Africa e per grandi progetti,

ma la situazione generale non sembra, al momento essere particolarmente

cambiata. Ognuno dipende da tutti gli altri nell’economia mondiale: rifiutare di

accettare il dollaro nel pagamento di acquisti americani, significherebbe uccidere

un “mercato dalle uova d’oro”, ovvero gli USA e precipitare l’intero pianeta nel

caos. I produttori cinesi, inoltre hanno assoluto bisogno dei consumatori

americani per mantenere il loro sviluppo. Le recenti vicende dei dazi lo stanno

chiaramente a dimostrare ! !

La forza della debolezza

Che cosa resta di queste argomentazioni oggi ? Entrambi conservano la loro

pertinenza, ma potrebbero perderla a medio termine.

In primo luogo, perché la crisi attuale sconvolge il modello americano; essa

ingenera molti dubbi sullo stato di salute dell’economia americana. I

risparmiatori, che posseggono, secondo la formula di Luigi Einaudi (1874-1961),

“il coraggio del montone, le zampe della lepre e la memoria dell’elefante”, sono

scottati dai sotterfugi finanziari che li hanno rovinati. Le banche d’investimento

americane sono peraltro scomparse nella tormenta. Chi sarà disposto domani a

piazzare i suoi risparmi o il suo patrimonio oltre Atlantico ? Anche se, come si è

visto, il dollaro subisce un apprezzamento durante la crisi, questo fatto può

rappresentare una prima incertezza che potrebbe minacciare la sua preminenza a

medio termine. In ogni caso, va rilevato che l’economia americana con i

provvedimenti introdotti dalla presidenza Trump ha recentemente conseguito il

pieno impiego e le sue prospettive a breve termine non appaiono critiche,

Il secondo aspetto concerne l’euro. Egli si è affermato a poco a poco a fianco del

biglietto verde. Il dollaro rimane la moneta di fatturazione del commercio

mondiale (intorno al 50%), quella delle riserve monetarie (circa due terzi di

quelle mondiali) e quella delle operazioni sul mercato dei cambi (circa la metà).

Per contro, l’euro è passato, dalla sua creazione, dal 20 al 25% delle riserve

monetarie mondiali; le obbligazioni internazionali sono oggi formulate

maggioritariamente in euro, fatto che comprova la fiducia nella sua stabilità

futura. Non è forse vero che l’euro, dopo essersi deprezzato fino al 2001, ha

continuato ad apprezzarsi rispetto al dollaro, almeno sino a due anni fà ?

Ma l’euro può sostituire il dollaro ? Certuni, come l’economista e politico Fred

Bergsten (1941- ), l’hanno annunciato sin dalla sua creazione, prevedendo,

erroneamente, il ribaltamento entro il 2010. Notevole preveggenza in ogni caso ?

Il professore Benjamin Cohen (4) invita a rimanere prudenti. L’Euro soffre di

problemi politici, ovvero delle divisioni dell’Unione: come la fiducia in esso non può

rimanere scossa quando certi governi, fra i quali la Francia, si lamentano dell’Euro

forte, mentre altri ritengono che il suo corso sia quello corretto ?

L’affermazione dell’Euro passa attraverso l’instaurazione di una vera politica

economica europea; fatto che ancora non esiste, ma la cui messa in cantiere

avrebbe potuto essere accelerata dalla crisi di oggi e che al momento appare

come una scommessa perduta.

Rimane un ultimo argomento in favore del dollaro. Nessuno ha interesse al suo

crollo, né che subisca una concorrenza troppo forte da parte dell’Euro. Le

conseguenze del suo crollo sarebbero talmente gravi per i partners degli USA

che essi si sono rassegnati a sostenerlo. Forse essi si ricordano dell’ultima volta

in cui il sistema monetario internazionale è stato suddiviso fra due monete rivali:

si trattava degli anni 1920, il dollaro che cominciava a sostituirsi alla lira sterlina

e le primizie della crisi degli anni 1930, …

Per certi aspetti, il dollaro è forte della sua debolezza, come la Russia del 1914

era ricca del suo indebitamento. Il resto del mondo, in special modo l’Asia,

sostiene il dollaro perché si tratta di difendere il suo interesse economico. In

definitiva, essi preferiscono pagare il “prelevamento imperiale”, piuttosto che

rovinarsi il loro sistema di vita. Eppure i rapporti di forza fra le nazioni non sono

sempre basati sulla pura economia mentre i rapporti fra gli uomini risultano

dall’effetto della pura razionalità. La Cina non vuole semplicemente solo vivere

meglio, il Brasile non aspira solamente ad esportare di più e, come l’India, non si

augura esclusivamente di sradicare la miseria dal suo popolo. Spesso la pulsione e

la logica di potenza si rivelano più forti della logica dell’interesse razionale. In

effetti, se si dovesse instaurare un conflitto di grossa rilevanza fra questi paesi

(Cina, India) con Washington, questi potrebbero essere tentati svendere i loro

dollari, impiegando un’arma devastante anche per loro stessi. Ebbene, in questo

caso il sistema attuale, basato sul dollaro, potrebbe veramente crollare.

NOTE

(1) Gilboy Gorge J., “Il mito dietro il miracolo della Cina” (The myth behind

China’s miracle), Foreign Affaire, luglio-agosto 2004, con dati riferiti al 2003;

(2) Todd Emmanuel, “Dopo l’Impero” (Apres l’Empire), Gallimard, 2004;

(3) Come lo dirà con molta dose di humor un osservatore: innovare in questo

campo significa trovare il mezzo di prestare del denaro a gente alla quale non si

dovrebbe prestare. Ed oggi ne abbiamo visto e patito le conseguenze di questa

insana logica;

(4) Cohen Benjamin J., “Perché l’euro non è in condizione di rimpiazzare il

dollaro ?”. L’Economia Politica, ottobre 2003.

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