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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

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JACQUES de CHABANNES, SIRE de LA PALISSE: “Un quarto d’ora prima di morire era ancora vivo”

1

JACQUES de CHABANNES, SIRE

de LA PALISSE:

“Un quarto d’ora prima di morire

era ancora vivo”

(Pubblicato sul n. 282, dicembre 2020, della Rivista Informatica “Storia in

Network” - www.storiain.net, con il titolo “JACQUES DE LA PALICE: PRIMA

DI MORIRE ERA ANCORA VIVO”, con lo pseudonimo di Max TRIMURTI)

Povero Jacques 2° de Chabannes, signore di La Palisse ! Un erudito burlone

del 1600 ha voluto mettere in evidenza solo la semplicità dei versi della

canzone, composta dai suoi soldati per rendere omaggio al suo coraggio.

e l’espressione “un quarto d’ora prima della sua morte, egli era ancora in

vita” viene ancora considerata, dopo circa 5 secoli, la regina del truismo

(1) o, per meglio dire, del “lapalissiano” non può essergli in alcun modo

attribuita. Meno ancora è da attribuire al personaggio quella che lo

seppellisce definitivamente fra i virtuosi del pleonasmo e della tautologia (2)

combinati. Di fatto, nulla evidenzia nella carriera di Jacques 2° de Chabannes

(1470-1525), Signore di Lapalice o La Palisse (nel Borbonese) e di altri luoghi,

un gusto particolare per l’ovvio o per lo … “sfondamento di porte spalancate”. Ben

al contrario !

La fine di un eroe delle guerre d’Italia

Il personaggio è un rude soldato, discendente da una dinastia di capitani di

mercenari e di scorticatori che, nel 15° secolo. vengono elevati alle più alte

S

2

cariche dello stato: Gran Panettiere e Gran Maestro, specialmente sotto Luigi

11° (1423-1483). Il nostro La Palice serve con ardimento tre re – Carlo 8°

(1470-1498), Luigi 12° (1462-1515) e Francesco 1° (1494-1547) - e si illustra

su tutti i campi di battaglia delle Fiandre, dell’Artois, d’Italia e dei Pirenei. Alla

battaglia di Marignano, egli è uno dei consiglieri di Francesco 1°, che, al termine

della battaglia, lo nomina Maresciallo di Francia e quindi partecipa nel 1520 al

famoso incontro del campo del Drappo d’Oro fra Francesco 1° e Enrico 8°

d’Inghilterra (1491-1547). Nel corso dell’assedio di Pavia, nel 1525, La Palice,

prima di morire, viene fatto prigioniero da un ufficiale spagnolo che non vuole

dividere il suo riscatto con il soldato italiano, che, in realtà, l’aveva catturato ed

in tal modo finisce uno degli eroi della guerra d’Italia, il cui motto era: “Io non

cedo a nessuno !”.

Tuttavia, sebbene non appartenente più a questo mondo, egli è costretto, dalla

storia, a cedere ad uno spirito pacifico, leggero e spontaneo, che lo assume per

bersaglio senza intenzione di nuocergli, ma solamente per farlo ridere. L’uomo in

questione si chiama Bernard de la Monnoye (1641-1728), membro

dell’Accademia di Francia ed infaticabile autore di epigrammi caustici. Si tratta

di un simpatico erudito di Digione, distinto latinista e giurista pentito, che

consacra la sua vita alla letteratura, alla poesia, alle traduzioni dal greche, latine,

spagnole o italiane ed alle ricerche filologiche e che è stato in corrispondenza

con numerosi eruditi europei. La sua traduzione dei canti di Natale della

Borgogna gli procurano un grande successo popolare. I suoi scritti sul duello,

sull’educazione del Delfino, sulle lettere e le arti sotto Luigi 14° (1638-1715),

come anche le sue erudite traduzioni di Dante Alighieri, di Orazio, di Virgilio

Marone o della Glosa di S. Teresa d’Avila – che vuole dedicare a Luisa

mademoiselle de la Valliere (1644-1710) entrata nell’ordine del Carmelo – gli

valgono, nel 1713, l’ingresso all’Accademia di Francia. Ma, allora, come si spiega

l’interesse per La Palice, nella carriera di un personaggio, che, di guerriero,

presenta solamente le molteplici tornate accademiche alle quali ha partecipato,

molto spesso con successo ? Il maresciallo di Francia entra nella sua vita e nei

suoi scritti attraverso una canzone, composta in sua memoria, dai suoi compagni

d’arme: “Ahimé, la Palice est morto./ E’ morto davanti Pavia; / Ahimé se non fosse

3

morto, / farebbe ancora invidia”. (“Helas, La Palice est mort. Est mort devant

Pavie; helas s’il n’estoit pas mort, /il ferait encore envie”).

Questa strofa, ispira alla vedova del maresciallo, Maria Anna de Melun, un

epitaffio, che farà scrivere su un suntuoso monumento funerario, del quale

rimane oggi solamente qualche elemento scolpito: “Ci git le seigneur de La Palice.

S’il n’etait mort, ferait encore envie” (Qui giace il signore de La Palice. Se non

fosse morto, farebbe ancora invidia).

Piccolo gioco di parole lessicale

Nel 18° secolo, questi versi circolano ancora. A quest’epoca la s si scrive come

una f, ma senza la sbarretta trasversale ed ecco così ottenuta, con l’aggiunta di

un gioco di parole, la trasformazione: S’il n’etait mort, il serait encore en vie” !

Bernard de la Monnoye non si trattiene più dalla gioia con questo giochetto

lessicale, primo colpo “alla La Palisse” nella storia. Decine di altri verranno dopo

di lui, partendo dalla sua canzone fiume, La Chanson de La Palisse (3) in 51 distici,

in onore di un prode cavaliere, che, con certezza, avrebbe fatto volentieri a meno

di questo genere di allori. L’Accademico di Francia meriterebbe, in ogni caso,

l’inferno per questi versi scherzosi che, da due secoli, ridicolizzano colui che gli

spagnoli chiamavano come il “Il grande maresciallo di Francia”. Un ridicolo che,

senza dispiacere al proverbio, l’ha ucciso una seconda volta e che prova, a

dispetto di tutti i fatti lapalissiani, che si può essere morti ed ancora “in vita”.

Ma c’è anche una giustizia, figlia della legge del contrappasso ! L’accademico ha

lasciato, a suo tempo, un opera erudita importante ed ammirata dai suoi

contemporanei, fra i quali Pierre Corneille (1606-1684) o François Marie

Arouet, detto Voltaire (1694-1778), ma egli non poteva pensare che la sua

canzonetta, senza pretese, sarebbe stata, invece, la sola cosa che sarebbe

rimasta ai posteri di lui e, per di più, perché riscoperta nel 19° secolo dal famoso

scrittore Edmond de Goncourt (1822-1896).

NOTE

4

(1) Adattamento ital. dell’ingl. truism (der. di true «vero»): verità ovvia,

evidente, indiscutibile, tale che è o sarebbe ridicolo enunciarla o superfluo

spiegarla;

(2) Il pleonasmo (dal greco πλεονασμóς: pleonasmós, "esagerazione") è la figura

retorica per cui si ha un'aggiunta di parole o elementi grammaticali esplicativi a

un'espressione, già compiuta dal punto di vista informativo e sintattico. Nel caso

in questione la ridondanza sta nel “sarebbe ancora in vita” che viene dopo

“morto”. Altri pleonasmi possono essere: “A me mi …” “scendi giù”, “A noi ci …”,

questo è il luogo dove ci vado …”, “ma però …”.

In linguistica, la tautologia è una figura retorica che consiste nell'aggiunta di

contenuto ridondante e dal significato ripetitivo all'interno di un dato discorso al

fine di porre maggiore enfasi. Spesso indica anche un'ovvietà: per esempio dire

se non fosse morto sarebbe vivo oppure dire che una tautologia è una tautologia è

senza dubbio tautologico;

(3) « Messieurs, vous plaît-il

d'ouïrl'air du fameux La Palisse,

Il pourra vous réjouir

pourvu qu'il vous divertisse.

La Palisse eut peu de biens

pour soutenir sa naissance,

Mais il ne manqua de rien

tant qu'il fut dans l'abondance.

Il voyageait volontiers,

courant par tout le royaume,

Quand il était à Poitiers,

il n'était pas à Vendôme!

« Signori, vi piaccia udire

l'aria del famoso La Palisse,

Potrebbe rallegrarvi

a patto che vi diverta.

La Palisse ebbe pochi beni

per mantenere il proprio rango,

Ma non gli mancò nulla

quando fu nell'abbondanza.

Viaggiava volentieri,

scorrazzava per tutto il reame

e quando era a Poitiers,

non era certo a Vendôme!

5

Il se plaisait en bateau

et, soit en paix soit en guerre,

Il allait toujours par eau

quand il n'allait pas par terre.

Il buvait tous les matins

du vin tiré de la tonne,

Pour manger chez les voisins

il s'y rendait en personne.

Il voulait aux bons repas

des mets exquis et forts tendres

Et faisait son mardi gras

toujours la veille des cendres.

Il brillait comme un soleil,

sa chevelure était blonde,

Il n'eût pas eu son pareil,

s'il eût été seul au monde.

Il eut des talents divers,

même on assure une chose:

Quand il écrivait en vers,

il n'écrivait pas en prose.

Il fut, à la vérité,

un danseur assez vulgaire,

Mais il n'eût pas mal chanté

s'il avait voulu se taire.

Si divertiva in battello

e, sia in pace sia in guerra,

andava sempre per acqua

se non viaggiava via terra.

Beveva ogni mattina

vino spillato dalla botte

E quando pranzava dai vicini

ci andava di persona.

Voleva per mangiar bene

vivande squisite e tenere

E celebrava sempre il Martedì

Grassola vigilia delle Ceneri.

Brillava come un sole,

coi suoi capelli biondi.

Non avrebbe avuto pari

se fosse stato solo al mondo.

Ebbe molti talenti,

ma si è certi di una cosa:

quando scriveva in versi,

non scriveva mai in prosa.

Fu, per la verità,

un ballerino scadente,

ma non avrebbe cantato male,

se fosse stato silente.

6

On raconte que jamais

il ne pouvait se résoudre

À charger ses pistolets

quand il n'avait pas de poudre.

Monsieur d'la Palisse est mort,

il est mort devant Pavie,

Un quart d'heure avant sa mort,

il était encore en vie.

Il fut par un triste sort

blessé d'une main cruelle,

On croit, puisqu'il en est mort,

que la plaie était mortelle.

Regretté de ses soldats,

il mourut digne d'envie,

Et le jour de son trépas

fut le dernier de sa vie.

Il mourut le vendredi,

le dernier jour de son âge,

S'il fut mort le samedi,

il eût vécu davantage. »

Si racconta che mai

sia riuscito a risolversi

a caricar le pistole

se non aveva le polveri.

Morto è il signor de la Palisse,

morto davanti a Pavia,

Un quarto d'ora prima di morire,

era in vita tuttavia.

Fu per una triste sorte

ferito da mano crudele,

Si crede, poiché ne è morto,

che la ferita fosse mortale.

Rimpianto dai suoi soldati,

morì degno d'invidia,

e il giorno del suo trapasso

fu l'ultimo della sua vita.

Morì di venerdì,

l'ultimo giorno della sua età,

Se fosse morto il sabato,

avrebbe vissuto più in là. »

(La Chanson de La Palisse, Bernard de la Monnoye)

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