SPARTIZIONE DELLE SPOGLIE OTTOMANE
Pubblicato sul n. 276, maggio 2020, della Rivista Informatica “Storia in
Network” (www.storiain.net)
I conflitti attuali in Medio Oriente hanno avuto origine quando Britannici e
Francesi si sono spartiti i possedimenti arabi dell’Impero Ottomano. La
rivoluzione nazionale e laica condotta da Mustafà Kemal in Turchia, la
vittoria inattesa dei Wahabiti nella penisola arabica, l’importanza crescente
del petrolio e la questione sionista non hanno consentito, fra le due guerre
mondiali, la stabilizzazione della regione
Il confronto Oriente-Occidente, iniziato nel 1798 con la spedizione in Egitto
di Bonaparte, non ha provocato quella modernizzazione delle società mussulmane
che molti speravano. L’unico ed inatteso sussulto di potenza, rappresentato per
vari decenni dall’Egitto di Mehemet Alì (1769-1849), ha rapidamente mostrato i
suoi limiti ed esaurito la sua spinta. In effetti, il vertiginoso indebitamento
accumulato dai suoi successori metterà il paese alla mercé dell’Inghilterra sin dal
1881. Nello stesso tempo, nulla sembrava poter impedire la lenta decomposizione
dell’”uomo malato”, soprannome attribuito all’Impero Ottomano, diventato
oggetto delle bramosie occidentali, dopo aver fatto tremare per diversi secoli
l’Europa.
La Prima Guerra Mondiale contribuisce ad accelerare brutalmente tale processo
e sostituire nell’area del medio oriente la potenza turca con quella
dell’Inghilterra, largamente vittoriosa in Oriente all’indomani del conflitto,
nonostante le concessioni fatte ad una Francia che non possedeva più i mezzi per
rivaleggiare con il suo “alleato”. La rivoluzione nazionale e laica condotta da
Mustafà Kemal (1881-1938) in Turchia, la vittoria inattesa dei Wahabiti nella
penisola arabica, l’importanza crescente del problema del petrolio, la nascita del
nazionalismo arabo ed i drammi provocati dal progetto sionista, non hanno
consentito, fra le due guerre mondiali, la stabilizzazione della regione.
La situazione viene aggravata al termine della Seconda Guerra Mondiale dalla
nascita dello Stato d’Israele e dagli effetti della guerra fredda. Nello stesso
tempo questo conflitto consente alla potenza americana, ormai dominante nella
regione, il pretesto per un “containment” necessario nei riguardi dell’URSS.
Contrariamente alle speranze che ha fatto nascere la fine del conflitto Est
Ovest, i tentativi americani di costruire un “nuovo ordine mondiale” e gli impegni
assunti nel Processo di Oslo fra Israele e Palestina, il Vicino Oriente rimane a
tutt’oggi una polveriera, così come lo è stato per tutta la seconda metà del 20°
secolo. La persistenza e la radicalizzazione della resistenza palestinese, le
incertezze che pesano sulla sopravvivenza dello stato libanese, il caos irakeno, la
crescita di potenza dell’islamismo, le ambizioni iraniane e forse un certo
“bellicismo” americano, incoraggiato a volte dai rilanci israeliani, fanno da sempre
di questa regione il “cuore violento del mondo” (da Fernand Braudel, 1902-1985)
Eppure una tale situazione, un secolo fa, non aveva nulla di fatale. E’ nel corso
della Prima Guerra Mondiale e durante gli anni immediatamente seguenti, che
sono state create le condizioni dell’attuale “tragedia” o se si vuole “catastrofe”
mediorientale.
Qualsiasi tentativo di comprensione delle ragioni di tale “catastrofe” odierna non
può prescindere dall’effettuazione di un riesame delle debolezze delle società
arabo-mussulmane dell’epoca, ma anche delle ambizioni e delle responsabilità
delle potenze imperiali europee. Dopo il 1918, queste assumono le veste di
“mandatari” per consolidare il loro dominio su una regione che rivestiva un
interesse rilevante sul piano politico, petrolifero e geostrategico.
Alla vigilia della guerra del 1914, l’Impero Ottomano sembrava coinvolto in un
declino irreversibile. Nel 1912, di fronte alla coalizione delle nazioni balcaniche,
esso ha perduto la maggior parte dei suoi possessi europei, dopo aver dovuto
abbandonare, nel corso dello stesso anno, la Libia all’Italia. La volontà
modernizzatrice dei “Giovani Turchi” nel 1908-09, non sembra essere
sufficiente a garantirne la sopravvivenza. E tutto questo, tanto più che l’agonia
dell’Uomo malato è seguita da vicino dalle grandi potenze, alcune impazienti di
spartirsi le sue spoglie. La Russia degli zar sogna, dal tempo di Caterina 2^
(1729-1796), di “liberare” Costantinopoli e di aprirsi in tal modo l’accesso al
Mediterraneo. Puntigliosa nell’affermare i suoi diritti sui Luoghi Santi di
Gerusalemme la stessa intende peraltro aprirsi la strada verso l’Oceano Indiano,
esercitando la sua influenza nella Persia degli imperatori Qadjari, la cui
situazione è altrettanto fragile di quella del vicino Impero turco.
La Germania di Guglielmo 2° di Hohenzollern (1859-1941), ultima arrivata nella
regione, appare ben decisa, da parte sua, a mettere in opera una “politica
mondiale” a sua misura. Essa intende così compensare la delusione di una
espansione coloniale, tardiva e modesta. La Germania desidera sviluppare la sua
influenza in un Impero Ottomano, i cui bisogni in capitali ed equipaggiamenti sono
considerevoli. Dal 1898 la costruzione della “Bagdadbahn”, la famosa ferrovia per
Bagdad, che ha l’intenzione di prolungarsi sino a Bassora nel Golfo Persico,
evidenzia le ambizioni tedesche. Essa appare come un temibile mezzo di
penetrazione economica. Il suo tracciato passa in prossimità della regione di
Mossul, dove sono stati scoperti importanti giacimenti di petrolio. In tale
contesto viene impostata negli anni che seguono una alleanza germano-turca.
La Francia, alleata privilegiata del Sultano, allorché Francesco 1° (1494-1547) o
Luigi 14° (1638-1715) stringevano patti con la Sublime Porta (con grande
scandalo dell’Europa cristiana), è stata rimpiazzata a Costantinopoli, dalla fine
del 18° secolo, dall’Inghilterra. Il suo sostegno a Mehemet Alì sposta verso
l’Egitto il suo principale centro di interesse. Ma i Francesi conservano,
nondimeno, degli impegni economici importanti nell’Impero Ottomano, dove i suoi
risparmiatori hanno molto investito negli equipaggiamenti portuali e nella ferrovia
della Cilicia. La Francia si ricorda ugualmente del ruolo che ha ricoperto nel
passato in Terra Santa all’epoca delle crociate o, più recentemente, quando
Napoleone 3° (1808-1873) ha difeso i Cristiani del Libano contro i loro avversari
Drusi.
Il principale attore straniero nella regione resta tuttavia l’Inghilterra. Dopo
aver fatto tutto per compromettere la realizzazione del canale di Suez, gli
Inglesi sono rientrati in forze nella Compagnia universale del canale. Quando
l’Egitto viene colto dall’agitazione nazionalista all’inizio degli anni 1880 del 19°
secolo, Londra, vale a dire Benjamin Disraeli (1804-1881), manovra per stabilire
al Cairo un protettorato di fatto. La Francia sarà infine costretta a riconoscere
questa situazione, ottenendo in contropartita, la sua libertà d’azione in Marocco.
Il protettorato britannico che era già un dato di fatto, verrà stabilito
giuridicamente nel 1914, nel momento dell’entrata in guerra della Turchia,
formalmente ancora sovrana sull’Egitto.
L’Inghilterra, padrona di Cipro dal 1878 (Congresso di Berlino), ma anche di Suez
e di Aden, allo sbocco del mar Rosso, ha compreso ben presto l’importanza che
poteva assumere nel futuro il petrolio del vicino oriente. L’oro nero viene
estratto dal 1907 nel Kuzistan, nell’ovest dell’Impero persiano e l’Ammiragliato
britannico, inizialmente per iniziativa di Lord Winston Churchill (1874-1965) e
quindi (1914) dell’ammiraglio John Fisher Sir Kilverstone (1841-1920), si
affretta ad acquisire rapidamente la parte maggioritaria dell’Anglo Persian Oil
Company. Il passaggio dal carbone alla nafta nella Royal Navy, attribuisce,
evidentemente, una importanza decisiva alle risorse petrolifere della regione. In
linea di massima i dirigenti di Londra vogliono garantire la sicurezza della rotta
marittima delle Indie. Per questa ragione essi rimangono per lungo tempo
attaccati al mantenimento dell’integrità territoriale dell’Impero ottomano. Nel
contesto del “Grande Gioco” euroasiatico, una modificazione nell’Impero
Ottomano non potrebbe che favorire l’Impero Russo. L’Inghilterra, inoltre, nella
preoccupazione di sbarrare il fondo del Golfo Persico, dove la Bagdadbahn rischia
di arrivare presto, con il rischio di costituire una nuova rotta continentale verso
l’India, ha offerto nel 1899 il suo protettorato allo Sceicco Mubarak al Sabah
(1837-1915) del Kuweit. Questo protettorato, riconosciuto dal potere ottomano
nel 1913, diventa nel prosieguo fonte di rancori e di tensioni tenaci, specie
quando il modesto emirato diventerà un elemento fondamentale della politica
petrolifera della regione.
L’Impero Ottomano posto, nel 20° secolo, di fronte al risveglio nazionale dei
popoli balcanici, che gli erano sottomessi fin dal Medioevo, deve fare i conti con il
rigetto che suscita nel mondo arabo l’egemonia esercitata dagli elementi turchi,
da quando (inizi del 16° secolo) hanno conquistato la regione. Il 19° secolo ha
visto il “risveglio arabo” della Nahda, incoraggiato dal successo dell’Egitto di
Mehemet Alì. All’alba del 20° secolo una buona parte delle dirigenze arabe si
augura di mettere fine alla “notte ottomana”.
La solidarietà sunnita non é più sufficiente ad abolire le realtà nazionali,
specialmente in Siria ed in Mesopotamia (Irak), dove si organizzano delle società
segrete. Queste vengono incoraggiate sottobanco da alcune grandi potenze,
specialmente la Francia. In effetti, è a Parigi che si riunisce nel giugno 1913 un
Congresso di Al Djamiyah al Arabiyyah (Movimento delle Comunità Arabe) che
rivendica l’arabizzazione dell’amministrazione nelle province arabe dipendenti
dall’Impero. Nello stesso tempo gli Inglesi stabiliscono dei contatti con i principi
hashemiti dell’Hedjaz, che gestiscono i pellegrinaggi ai Luoghi santi dell’Islam.
Ma se l’Ufficio Arabo del Cairo, emanazione del Foreign Office londinese,
prepara il terreno da questo lato, l’Indian Office, emanazione della Compagnia
delle Indie, sostiene, da parte sua, gli sforzi di Abd el Aziz ibn Saud (1875-
1953), il capo dei Wahabiti del Neged o Nedjd o Nagd. Questi veri “puritani del
deserto” che propugnano un Islam fondamentalista fino a quel momento
marginale, hanno dei seri conti da regolare con i loro rivali hashemiti, fatto che
provocherà ulteriormente a Londra svariati errori di calcolo.
Il Primo Conflitto mondiale inizia in Oriente nell’autunno del 1914, quando
l’Impero Ottomano si affianca agli Imperi Centrali ed entra in guerra contro la
Russia ed i suoi alleati dell’Intesa. Questa situazione contribuisce naturalmente
ad esacerbare le tensioni, le rivalità imperialiste ed i conflitti d’interesse latenti
da diversi anni. Il teatro d’operazioni del medio oriente appare immediatamente
come una posta fondamentale per i Britannici, Questi intendono garantire la
sicurezza della rotta delle indie, particolarmente quella del canale di Suez.
All’inizio del 1915, i Turchi lanciano su questo obiettivo, a partire dalla Siria, una
offensiva che potrebbe rivelarsi pericolosa. Ma i Turchi vengono bloccati e il
lancio dell’offensiva alleata nei Dardanelli li costringe a rinunciare. Gli Inglesi
saranno meno fortunati in Mesopotamia. Le truppe allestite dalla compagnia delle
Indie sbarcano a Fao, si impadroniscono facilmente di Bassora e progrediscono in
direzione di Bagdad, ma il generale Charles Townshend (1861-1924) si lascia
imbottigliare a Kut el Amara, dove è costretto a capitolare senza gloria
nell’aprile 1916. Bisognerà attendere il marzo 1917 perché gli Inglesi si prendano
la loro rivincita con l’entrata vittoriosa a Bagdad dal generale Frederick Stanley
Maude (1864-1917).
Spingendo a nord in direzione delle zone petrolifere di Kirkuk e di Mossul, gli
Inglesi arriveranno fin sulle rive del Mar Caspio e del Mar Nero, attirati dal
petrolio di Baku. Nello stesso momento la Russia sta per cadere nelle mani della
rivoluzione bolscevica.
Lo scacco subito nel corso del 1915 ai Dardanelli spinge le autorità britanniche
del Cairo a ricercare l’alleanza degli Arabi contro i Turchi. Il 30 gennaio 1916 Sir
Henry Mac Mahon (1862-1949), alto commissario inglese in Egitto, si impegna
con Hussein, sceriffo hashemita della Mecca, a favorire la creazione di un grande
regno arabo.
Ciò a condizione che le tribù dell’Hedjaz, poste sotto la sua autorità apportino il
loro sostegno agli Inglesi. Vengono promessi ad Hussein, armi, denaro e
consiglieri militari e questi, allettato dalla prospettiva di un regno che va dalla
Siria alla penisola araba e dal mediterraneo alla Mesopotamia, naturalmente
aderisce. E’ evidente che le promesse nascondono delle reticenze, perché per gli
Inglesi, ad esempio, non hanno alcuna intenzione di perdere il controllo della
Mesopotamia.
A partire dal mese di febbraio 1916 il francese François-Georges Picot (1870-
1951) ed il britannico Mark Sykes (1979-1919) firmano un accordo segreto
relativo alla spartizione, fra la Francia e la Gran Bretagna, dei territori arabi
dell’Impero Ottomano. I Francesi sembrano aver ben percepito il disegno inglese
in Mesopotamia. Una volta controllata la zona petrolifera di Abadan, già in
sfruttamento, essi intendono avanzare sino a Mossul dove tutti sanno che il sotto
suolo si annuncia molto ricco di oro nero (il primo giacimento sarà effettivamente
messo in funzione nel 1927). I Francesi non vogliono lasciare ai loro alleati il
monopolio petrolifero sulla regione. Gli Accordi Sykes-Picot, conclusi il 9 maggio,
riservano alla Francia la Siria, la Cilicia ed il Vilayet (provincia) di Mossul.
L’Inghilterra si vede garantire il controllo dell’Irak, della Palestina e della costa
del Golfo Persico. Questo accordo è in evidente contraddizione con le promesse
fatte allo sceriffo Hussein ma deve rimanere segreto (non lo sarà più alla fine
del 1917 quando Trotski, Commissario bolscevico agli Affari Esteri lo renderà
pubblico dopo la Rivoluzione d’ottobre). Nonostante questi oscuri equivoci la
rivolta araba, sostenuta dall’Inghilterra, ottiene dei successi significativi. I
Turchi perdono La Mecca ed il porto di Geddah, ma riescono a mantenere Medina,
punto di arrivo della ferrovia che unisce questa città a Damasco. Una ferrovia
che diventerà l’obbiettivo di numerosi attacchi e colpi di mano nel corso dei mesi
seguenti quando Thomas Edward Lawrence (1888-1935) condurrà con l’emiro
Faysal ibn Husayn (1883-1933) una “guerra del deserto” di tipo nuovo che
metterà in gravi difficoltà la guarnigione turca di Medina. Nel 1917 l’ufficiale
inglese arriva persino a conquistare il porto di Aqaba, attaccando da terra questo
porto ottomano del Mar Rosso. Si tratta di una svolta del conflitto che faciliterà
il compito delle truppe inglesi, riunite in Egitto agli ordini del generale Edmund
Allenby (1861-1936). Questi, alla fine di ottobre, attacca con delle forze
decisamente superiori la linea di Gaza - Bersheba e riesce a sfondare le posizioni
turche. Egli si apre in tal modo la strada per Gerusalemme dove entra da
vincitore il 9 dicembre 1917. Poco più di un mese prima, Lord Arthur James
Balfour (1848-1930), Ministro inglese degli Affari Esteri, si è impegnato, in una
lettera scritta a Lord Walter Rothschild (1868-1937), principale rappresentante
della comunità ebrea britannica, scrivendo che “Il governo di Sua Maestà
considera favorevolmente l’installazione in Palestina di un focolare nazionale per
il popolo ebreo ed impiegherà tutti i suoi sforzi per favorire la realizzazione di
questo obiettivo, essendo chiaro che nulla verrà fatto che possa nuocere ai
diritti civili e religiosi delle collettività non ebree esistenti in Palestina”. Al di là
della sua ambigua formulazione, questa dichiarazione risulta in evidente
contraddizione con le promesse fatte agli Hashemiti l’anno precedente.
La vittoria definitiva dell’Intesa nella 1^ Guerra Mondiale si delinea nel corso del
1918. Ma la situazione resta decisamente complessa in Oriente. Nei primi giorni
di ottobre dello stesso anno l’esercito arabo di Lawrence e Faysal effettua il suo
ingresso a Damasco, nello stesso momento in cui arrivano le forze di Allenby,
provenienti da Nablus, Haifa e S. Giovanni d’Acri. Dal 7 ottobre i Francesi
sbarcano delle truppe a Beyrut, prima che Allenby se ne impossessi. Gli accordi
Sykes-Picot prefiguravano il Libano e la Siria alla Francia, ma la schiacciante
superiorità inglese in Oriente non pare di buon auspicio per la buona volontà
dell’alleato britannico. Fatto confermato, già dal mese di dicembre 1918, dalla
rinuncia da parte di Georges Clemenceau (1841-1929) ad una parte degli stessi
accordi. Il Presidente del Consiglio francese rinuncia al Vilayet di Mossul in
cambio di garanzie sul petrolio attraverso l’acquisto della quota tedesca della
Turkish Petroleum Company. Nel frattempo gli Inglesi hanno negoziato da soli
con i Turchi l’Armistizio di Mudros, mettendo Francesi, Italiani e Greci davanti
al fatto compiuto. L’accordo privilegia evidentemente i loro interessi.
Il periodo immediatamente seguente la Grande Guerra apre pertanto un
periodo di preminenza incontestata dei britannici nella regione. Al contrario delle
promesse formulate da Wilson, a proposito dell’emancipazione dei popoli
colonizzati, gli Arabi risultano i grandi perdenti.
Invano i nazionalisti egiziani di Saad Zaghlul Pasha (1859-1927) e del partito
Wafd (Delegazione) reclameranno l’indipendenza. La Conferenza di Pace
conferma il mantenimento del protettorato inglese sull’Egitto. Su richiesta di
Wilson, una commissione, composta dal professore Henry Churchill King (1858-
1934) e dall’uomo d’affari Charles Richard Crane (1858-1939) viene incaricata
di valutare la situazione nel Vicino Oriente. Servirà a poco che le risultanze della
Commissione sconsiglino la divisione del Libano e della Siria, come anche
l’installazione di un focolare ebreo in Palestina, inaccettabile per la popolazione
locale e le sue conclusioni saranno sotterrate, grazie all’impegno congiunto di
Francia ed Inghilterra. Nel marzo 1920 quando l’emiro hashemita Faysal proclama
a Damasco un regno della Grande Siria, la Francia, dopo una serie di negoziati
apparentemente infruttuosi, reagisce con la proclamazione dell’indipendenza del
Libano. Nel luglio, a seguito delle reticenze di Faysal, la Francia spedisce a
Damasco, per ordine del generale Henri Gouraud (1867-1946) un piccolo corpo di
spedizione, posto agli ordini del generale Mariano Julio Goybet (1861-1943).
Questi sconfiggerà, senza soverchie difficoltà nel luglio seguente, i nazionalisti
arabi nel combattimento di Mayssalun
Dal 25 aprile 1920 la Conferenza di Sanremo aveva confermato, nelle sue linee
generali, gli accordi franco-inglesi del 1916 e del 1918. La Francia si vede
conferire un mandato di tipo A (cioè un mandato con l’obiettivo di preparare una
indipendenza in tempi rapidi) sulla Siria e sul Libano. Simultaneamente la Gran
Bretagna si vede accordare la Palestina e l’Irak (la parte orientale della
mezzaluna fertile). Nel corso dello stesso anno, la Francia, che ha riunito nella
zona di Alessandretta migliaia di Armeni che fuggono ai massacri turchi,
conclude un armistizio con le forze turche collegate al movimento nazionalista e
rivoluzionario lanciato da Mustafà Kemal. Nell’agosto il frazionamento della
Turchia, sanzionato dal Trattato di Sevres, accettato anche dal sultano
ottomano, non fa altro che radicalizzare l’insurrezione kemalista. Questa riuscirà
a realizzare una riconquista dell’insieme del territorio anatolico, dal quale
saranno definitivamente scacciati i Greci, sebbene sostenuti dall’Inghilterra.
L’annichilimento della Grande Armenia, ipotizzato a Sevres e lo schiacciamento
delle dissidenze curde contribuiranno ad assicurare rapidamente l’unità della
nuova Turchia, massicciamente collegata con una insurrezione nazionale, laica e
giacobina, esattamente agli antipodi di quello che era stato l’Impero multietnico e
multi confessionale dei millet ottomani.
Nel 1923, tre anni dopo il Trattato di Sevres, Mustafà Kemal otterrà, con il
Trattato di Losanna, il riconoscimento di questa nuova Turchia che egli intende
sbarazzare dal vecchiume delle tradizioni mussulmane, per farne un paese
moderno ispirato ai modelli occidentali.
Francesi ed Inglesi, mentre si verifica questa profonda mutazione, incontrano
serie difficoltà a stabilire la loro autorità sull’Oriente arabo. In Irak gli Inglesi
devono affrontare una insurrezione generalizzata particolarmente virulenta nel
sud sciita e nelle montagne del Kurdistan. I Francesi possono appoggiarsi sul
Grande Libano, creato nel settembre 1920 dal generale Gourand in un contesto
territoriale che garantisce la maggioranza ai cristiani. Ma questa manovra appare
ai nazionalisti arabi come una moderna riedizione del vecchio principio “divide et
impera”. La suddivisione della Siria mussulmana in diversi territori (Damasco,
Aleppo e Latakia) non farà che confortare questa analisi. Qualche anno più tardi,
la rivolta drusa confermerà le difficoltà della Francia sui suoi territori
mandatari. In Egitto gli Inglesi devono infine tener conto delle rivendicazioni
nazionali. Essi concedono nel febbraio 1922 una indipendenza per certi aspetti
formale, ma che permette di calmare le agitazioni. Nel frattempo, nel marzo
1921, Winston Churchill riunisce al Cairo, per usare le sue stesse parole, la
“Conferenza dei 40 ladroni”, ufficialmente “Conferenza britannica sul Medio
Oriente”. Nel corso di tale riunione vengono prese diverse decisioni, per calmare
l’agitazione irakena e per tenere conto delle sconfitte subite in Arabia dagli
Hashemiti, che sono stati battuti dai Wahabiti.
Viene creato un Regno d’Irak, affidato all’emiro Faysal ed un Emirato di
Trangiordania (territorio totalmente artificiale, tracciato sulla carta fra Siria,
Giordania e Deserto arabico) a vantaggio di suo fratello Abdallah ibn Husayn
(1882-1951) (bisnonno dell’attuale Re Abdallah di Giordania nato nel 1962). I
Britannici decidono ancora di esercitare il mandato sulla Palestina secondo il
metodo dell’amministrazione diretta, con tutti i problemi che rischiano di
scoppiare (dal marzo 1921 scoppiano a Jaffa degli scontri fra Ebrei e Arabi).
Faysal, sovrano straniero sunnita in un paese a maggioranza sciita, deve
appoggiarsi in Irak sulla minoranza sunnita che era stata già a suo tempo il
collegamento con il potere ottomano. Gli Inglesi devono a quel punto affrontare
nuovamente delle rivolte sciite e curde, represse sistematicamente con la stessa
brutalità che nel passato. Londra rifiuta di restituire il Kuweit all’Irak,
privandolo in tal modo di un adeguato sbocco marittimo sul Golfo Persico. Ma
Faysal non può assolutamente opporsi agli Inglesi nella misura in cui essi sono i
soli in condizioni di ottenere dalla Turchia di Mustafà Kemal la rinuncia a Mossul
ed al Kurdistan iracheno, ottenuta nel 1925.
Uscito dalla grande crisi mondiale, il Vicino Oriente post ottomano esce dalla
dominazione turca per cadere sotto quella dell’Inghilterra e secondariamente
della Francia. Il successo di un modello nazionale territoriale che viene a
sostituirsi al sistema mussulmano multietnico si rivela difficile. Le divisioni
suscitate o mantenute dalle potenze dominanti vengono aggravate dallo sviluppo
in Palestina del progetto sionista e dalle ambizioni petrolifere delle Grandi
Potenze. Queste ultime saranno sempre più spesso incapaci di anticipare le
evoluzioni di fondo, eppure prevedibili. Questo è il momento in cui si
cristallizzano, sia un potente nazionalismo arabo (che porterà più tardi alla
fondazione del partito Baath ed all’esperienza nasseriana), sia una reazione
islamista, a lungo sotto stimata. Il suo atto di nascita può essere fissato al marzo
1927 ad Ismailia, con la fondazione, da parte di Hassan al Banna (1906-1949),
della confraternita dei Fratelli Mussulmani.
BIBLIOGRAFIA
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