SIRIA E LIBANO sotto mandato francese
Pubblicato su Rivista Informatica "GRAFFITI on line" (www.graffitionline.com),
del mese di febbraio 2020 con il titolo “SIRIA E LIBANO – UN MANDATO
DI PURA REALPOLITIK”
http://www.graffiti-on-line.com/home/opera.asp?srvCodiceOpera=1923
A seguito del Trattato di Sevres, la Francia si trova ad affrontare, sul
territorio di cui ha ricevuto l’amministrazione, l’ostilità delle popolazioni. La
sua strategia è quella di evitare qualsiasi unità nazionale e conseguentemente
adotta una politica di divisioni e di attivazione di antagonismi.
Dopo la 1^ Guerra Mondiale, la Francia si vede attribuire, nel 1920, un
mandato sulla Siria ed il Libano dalla Società delle Nazioni. Fra gli
argomenti a giustificazione della tutela francese - al di là della vittoria
sugli Ottomani e della logica coloniale che suggerisce la necessità e
l’opportunità per le giovani nazioni che siano “guidate verso l’autonomia” -
troviamo in primo piano una missione specifica rivendicata dalla Francia, quella
della protezione dei Cristiani d’Oriente. In tal modo, l’instaurazione di questi
Mandati sono la conseguenza delle Capitolazioni di Francesco I (accordi che
proteggevano gli Occidentali nell’Impero Ottomano) e gli interventi iniziati dopo
la guerra di Crimea e susseguenti agli episodi di violenze interconfessionali,
specie nel Monte Libano ed a Damasco nel 1860. Questa politica, seguita dalla
Francia laica e repubblicana, viene difesa con molto vigore dai gruppi di pressione
in territorio francese, che riuniva commercianti, universitari e cristiani cattolici,
molto spesso legati ai maroniti libanesi.
Per capire la posizione francese occorre fare un passo indietro nel tempo. Nel
1913, quelli che vengono chiamati ancora oggi “nazionalisti arabi” si riuniscono nel
loro 1° Congresso, proprio a Parigi. Tutti questi, che vedono confluire fautori
dell’indipendenza delle province arabe dell’Impero o sostenitori della
decentralizzazione amministrativa, vogliono lanciare un avvertimento alla Sublime
Porta di Istanbul ed appoggiarsi sul sostegno francese per conseguire la loro
desiderata emancipazione.
E’ proprio nel filone dello stesso slancio autonomista, ma anche esasperati dalla
politica condotta dai “Giovani Turchi” nelle province durante la 1^ Guerra
Mondiale, che una frangia di questi nazionalisti si associa, nel 1916, all’appello di
Feysal Ibn Husayn o Hussein, l’Hashemita (1855-1933), alla rivolta contro gli
Ottomani, anche nella speranza fatta loro intravvedere da Londra sulla
possibilità di creare un regno arabo. I combattenti dell’esercito arabo, si
insediano a Damasco. Nel marzo 1920, il Congresso Nazionale siriano proclama
l’indipendenza della Siria, comprendendo anche la Palestina e la Transgiordania e
sceglie l’emiro Feysal Ibn Hussein, come sovrano del regno arabo. Nel frattempo,
le forze armate francesi si insediano nel Libano, a partire dal mare che esse
controllano. La costa e l’interno della “Grande Siria” vengono de facto a ritrovarsi
divise.
Gli Arabi presi in un doppiogioco
Parallelamente, in Europa vengono condotti negoziati per i trattati di pace. Le
popolazioni delle province arabe dell’Impero ottomano vengono consultate nel
1919, attraverso la Commissione King-Crane, i cui risultati verranno pubblicati
solo nel 1922, ma il cui tenore generale viene immediatamente compreso: essi si
oppongono in larga maggioranza a qualsiasi presenza europea e contestano la
Dichiarazione Balfour (mirante a stabilire un focolare ebreo in Palestina).
Eppure, i mandati francese sulla Siria ed il Libano e britannico sulla Palestina e
l’Irak, stabiliti durante la Conferenza di Sanremo del 25 aprile 1920, vengono
sovente presentati come il risultato di “soluzioni concertate”. Indubbiamente,
durante le conferenze, sono state ascoltate numerose delegazioni in
rappresentanza delle forze locali ed è incontestabile che l’emiro Feysal, come il
patriarca maronita, siano stati personaggi, che hanno rappresentato
rivendicazioni molto diverse. Ma l’Accordo Feysal- Clemenceau - che riconosce il
mandato sulla Siria, in cambio di una protezione dell’indipendenza del paese nelle
frontiere riconosciute dalle conferenze di pace - viene percepito dalle
popolazioni locali come un tradimento e fortemente contestato, specialmente
dall’esercito arabo. La Francia è, quindi, costretta ad imporsi in Siria con la forza
ed a Maysalun, nel luglio 1920, le truppe del generale Henri Joseph Gouraud
(1867-1946) infliggeranno una pesante sconfitta agli irredentisti siriani,
abbandonati dai loro sostenitori britannici. Il re Faysal, da parte sua, viene
costretto a ripiegare in Irak.
Nella regione sotto tutela francese, l’instaurazione dei mandati passa
preliminarmente con la frammentazione del territorio (divide et impera). Fra il
1920 ed il 1922 vengono definite 5 province: lo Stato di Damasco, lo Stato
d’Aleppo, lo Stato dei Drusi, il territorio degli Alawiti ed il Grande Libano. Una
parte del territorio sotto mandato viene reso autonomo, il Sangiaccato di
Alessandretta/ Iskenderun, rivendicato dai Turchi ed ai quali verrà restituito nel
1937. Molto rapidamente, la Francia accorda al Grande Libano la sua autonomia,
fedele alla sua alleanza con quelli che allora venivano chiamati i “vecchi libanesi”,
cristiani della montagna, protetti dalla Francia da lunga data ed abitanti della
vecchia mutassarrifyya autonoma dell’Impero ottomano. Questo Grande Libano
comprende la montagna, Beyrut e la fascia costiera, oltre al Djebel Amil a sud,
popolato in gran parte da Sciiti e da Drusi e la città sunnita di Tripoli al nord.
Così articolato, questo territorio costituisce uno Stato affidabile, che si
emancipa progressivamente dal suo vicino federale, la Siria. Le altre entità
costituiscono delle suddivisioni semi autonome, regione nelle quali la Francia
cerca di sviluppare una vita politica e sociale locale, appoggiandosi, in particolar
modo, sui notabili e sui proprietari terrieri. Questa politica mira esplicitamente a
contrastare le solidarietà che si erano espresse contro l’Impero ottomano ed a
mettere la parola fine alla politica araba condotta sin dal 1916, sotto l’egida
britannica.
Alla visione cartografica delle frontiere e delle entità regionali si associa una
riunione della società per confessioni religiose. Il caso degli Alawiti risulta
particolarmente evidente. Le autorità francesi creano nel 1922, il “Territorio
degli Alawiti”, sul modello del Grande Libano, annettendo le città costiere,
storicamente separate dalla montagna alawita strictu senso, oltre a due città
dell’interno, a maggioranza sunnita, Homs ed Hama (alle quali occorre associare la
città di Tripoli sulla costa, inserita nel Grande Libano). Il territorio si incentra su
Latakia e finirà anche per denominarsi, nel 1930, “Territorio di Latakia”.
Divide et impera
Questa divisione confessionale dello spazio e delle clientele non si preoccupa di
tracciare frontiere esatte di una comunità, ma ha lo scopo di consolidare una
dominazione ed anche, nel caso degli Alawiti, a consolidarlo, senza che ci siano
state rivendicazioni in tal senso. Questi ultimi non hanno un atteggiamento
omogeneo di fronte all’insediamento dei Francesi in Siria. Uno di essi, Saleh al-
Alì (1884-1950), risulta uno dei più vigorosi oppositori del mandato, prima di
essere vinto nel 1921. Altri, come il profeta-pastore Suleyman al-Murshid
(1907-1946), colgono l’occasione per proclamare la loro autonomia e per costruire
una identità specifica basata specialmente sulla religione. Questo processo di
affermazione identitaria trova il suo sbocco provvisorio nel riconoscimento, nel
1936, della setta alawita, come mussulmana, da parte del Gran Muftì di
Gerusalemme, Amin al Husseini (Husayni) (1897-1974). Gli Alawiti, spesso poveri
e protetti dalla Francia, forniscono, tra l’altro, molti arruolati nell’esercito
francese del Levante, prima di assumere il ruolo che oggi tutti conoscono
nell’ambito dell’esercito siriano. In questo modo, il mandato francese cerca di
riprodurre in Siria il sistema dell’organizzazione libanese, risultato di una
costruzione concertata fra le comunità confessionali locali organizzate ed i loro
collegamenti in Francia.
La conquista del territorio da parte dei Francesi risulta rapida e si appoggia sulle
alleanze e le divisioni esistenti e di cui Parigi è abile ad utilizzare. In effetti, il
regno arabo è sostanzialmente sostenuto dalle aristocrazie urbane e da ufficiali
che hanno alle dipendenze una truppa di origine popolare. Le tradizionali
aristocrazie ottomane, appoggiandosi sulla loro clientela contadina e su
collegamenti e legami realizzati sotto l’Impero, diventano alleati preziosi della
Francia, che consente loro di restaurare il loro prestigio locale in un nuovo
contesto e con pochi sacrifici. In seno agli stessi nazionalisti, la questione della
forma dello Stato arabo e delle sue frontiere costituisce un argomento di
discordia. Ciò nondimeno, alcune figure importanti incarnano la resistenza al
sistema dei mandati: i damasceni Jamil Mardam Bey (1894-1960) o Shukri al-
Quwwatli (1891-1967), il notabile di Homs e presidente del Congresso Nazionale
siriano, Hashem al-Atassi (1875-1960), l’aleppino, Ibrahim Hananu (1869-1935)
o Riadh al-Sulh (1894-1951), originari del sud del Libano. Nel 1920, dopo la
sconfitta araba di Maylasun, i loro cammini si separano e le autorità mandatarie
cercano di sottolineare e sfruttare le divisioni che si moltiplicano nel loro
interno. Quando iniziano a diffondersi le voci relative all’accordo Clemenceau-
Feysal, scoppiano rivolte un po’ ovunque sul territorio. Gli incidenti si moltiplicano
nelle zone che si considerano abbandonate, specie quelle che sono state
aggregate al Grande Libano senza consultazione: a Tripoli, nella Valle della Bekaa
e nel Djebel Amil.
Un ordine coloniale molto contestato
Quando nel 1925 scoppia la più grande rivolta siriana contro il mandato, essa
sembra contraddire tutta la politica di gestione del territorio introdotto dalle
autorità francesi. E’ una comunità autonoma, quella dei Drusi, basandosi proprio
sulla sua indipendenza, a lanciare una parola d’ordine di ribellione dagli accenti
arabisti e pan siriani. Appare evidente, in quel momento, che l’appartenenza
comunitaria, religiosa o regionale, non escludeva l’aspirazione ad una unità
nazionale più vasta, né la contestazione di un ordine coloniale. Da quel momento, i
Francesi inizieranno ad appoggiarsi ad una frangia di notabili nazionalisti ed a far
emergere una concezione più repubblicana della politica in Oriente, lasciando il
posto ai parlamenti ed assistendo all’elaborazione di contesti costituzionali e di
sistemi politici molto differenziati nel Libano ed in quella che diventerà la
Repubblica siriana unificata (1936). Nell’elaborazione di questa politica
giocheranno un ruolo cruciale alcuni orientalisti. Fra questi, l’orientalista e
teologo Louis Massignon (1883-1962) che, inviato nella regione nel 1927, giudica
severamente la politica confessionale adottata e propone di allearsi con i notabili
arabi, specialmente sunniti, per incamminarsi verso una progressiva autonomia
della Siria e del Libano
A partire dal 1936, la politica di divisione confessionale perde la sua importanza
nella gestione del territorio siriano. La Francia gestisce il suo mandato,
alternando periodi di negoziati con le aristocrazie locali e periodi di decisioni
senza alcuna mediazione. In un paese dove comincia ad operare una vita politica
organizzata intorno ai partiti, alle clientele ed una vita parlamentare dinamica, la
potenza mandataria assume un atteggiamento ed una gestione paternalista,
intervenendo, il più delle volte, con brutalità, non appena iniziano a formarsi
alleanze che mettano in discussione la sua tutela.
L’entrata in guerra contro la Germania, ma soprattutto la divisione dei Francesi
fra i fautori di Vichy e la resistenza, costituisce, per i Siriani, l’occasione per
aprirsi una strada verso l’indipendenza, che otterranno finalmente nel 1946. Nel
frattempo, il generale Charles De Gaulle (1890-1970), nel maggio 1945, aveva
fatto intervenire l’aviazione per reprimere il movimento indipendentista entrato
in insurrezione. Di fatto, senza il pronto intervento dei Britannici a sostegno dei
Francesi, in quella specifica circostanza, avrebbe potuto già avere inizio un’altra
guerra coloniale.