1959, il subcontinente sudamericano prende fuoco
(Pubblicato sul n. 278, luglio 2020, della Rivista Informatica “Storia in
Network” - www.storiain.net con il titolo “1959: GUERRIGLIERI,
STUDENTI E PRETI INFIAMMANO IL SUDAMERICA”)
La conquista del potere di Castro nel 1959 a Cuba, provoca un rialzo di
temperatura rivoluzionaria. Il sub continente sudamericano passa in primo
piano sulla scena internazionale. Ma nel contesto bloccato della Guerra
Fredda e con gli Stati Uniti in contro manovra, gli antidoti non tardano ad
arrivare.
l 19 gennaio 1959, quasi tre settimane dopo la caduta del governo
autoritario cubano di Fulgenzio Batista (1901-1973) e l’irruzione dei primi
ribelli della Sierra Maestra nel palazzo presidenziale dell’Avana, la rivista
newyorkese Life, propone ai suoi 6 milioni di lettori un articolo intitolato: “La
marcia trionfale del liberatore attraverso un isola estatica”. Ritracciando il
periplo che porta Fidel Castro (1926-2016) dall’est del paese fino alla capitale
cubana, che egli raggiunge l’8 gennaio, l’autore del reportage annota che “quando
egli è finalmente entrato all’Havana, il mondo intero ormai parlava di lui”.
La stampa internazionale, pronta a mettere in scena la vittoria dei Barbudos
sotto il punto di vista dell’epopea e del romanticismo rivoluzionario e per
opposizione all’American Way of Life o al materialismo dei gloriosi anni 1930,
conferisce, nel giro di qualche settimana, una inedita centralità a Cuba. Un’isola
che era certamente stata uno dei gioielli dell’impero spagnolo nel Nuovo Mondo,
ma che per effetto di uno statuto di semi protettorato degli Stati Uniti,
instaurato dall’interruzione del legame coloniale con Madrid nel 1898, aveva in
qualche modo relegato Cuba nell’oblio della geopolitica. ! Persino un tenace e
storico oppositore del castrismo scriverà recentemente in un suo libro (1): “Nel
I
mese di gennaio 1959 Cuba è entrata nella storia universale”. Ma, nei fatti, dopo
il 1959, è l’intera America latina che entra nuovamente nella storia universale,
proprio perché gli avvenimenti cubani inaugurano un vero momento rivoluzionario
che non risparmierà alcun paese, né alcun settore sociale della regione e che
marcherà profondamente con la sua impronta un quarto di secolo della vita
politica fra il Rio Bravo e la Terra del Fuoco. Un momento storico che, sebbene
ancorato nel periodo della guerra fredda, trasforma radicalmente il destino del
sub continente, nonché questa presunta periferia, come anche gli immaginari
collettivi che gli sono stati sempre associati.
Cuba, il socialismo incanta di nuovo
Eppure, tutto non è cominciato a Cuba. Senza risalire ancora più lontano nel
tempo alla rivoluzione messicana del 1910, che anch’essa ha avuto una vasta eco
fino alle rive del Rio della Plata, né alle sollevazioni agrarie della Colombia degli
anni 1930 che costituiscono un territorio fertile per la guerriglia della 2^ parte
del 20° secolo, l’inizio degli anni 1950 marca indubbiamente l’inizio di questo
momento rivoluzionario. In Bolivia, l’ascesa al governo, attraverso elezioni, del
Movimento Nazionalista Rivoluzionario (MNR) di Victor Paz Estenssoro (1907-
2001) nel 1952, a seguito di una sommossa che aveva unificato il mondo delle
miniere con quello delle campagne del meticciato o indigeno, viene seguito da un
processo di ridistribuzione delle terre senza precedenti, di nazionalizzazione dei
beni di produzione e da dispositivi di inclusione sociale, sebbene il governo perda
rapidamente il consenso della maggior parte dei gruppi sociali che l’avevano
portato al potere. Alla fine, la rivoluzione boliviana si conclude nel 1964 con un
colpo di stato militare.
Nello stesso momento, nel Guatemala, il presidente eletto nel 1951 Jacobo
Arbenz Guzman (1913-1971), dà inizio ad una ambiziosa riforma agraria che viene
a toccare gli interessi delle compagnie americane della frutta, insediatesi nello
stato sin dalla fine del 19° secolo. Ma Arbenz viene rovesciato nel giugno 1954 da
una operazione pilotata dalla CIA – con la benedizione dell’Organizzazione degli
Stati Americani ed il silenzio, imbarazzato, della Comunità Internazionale.
Sebbene la maggior parte dei paesi dell’America latina appaia come un archetipo
di un terzo mondo che scopre, proprio in quel momento (2), di trovarsi di fronte
ad una crescita demografica galoppante (con un tasso di crescita annuale della
popolazione del 2,8% fra il 1961 ed il 1970) e di battere tutti i suoi record in
materia di povertà e di ineguaglianza, gli interventi americani e l’estremo
conservatorismo delle oligarchie locali sembrano escludere, nel breve periodo,
qualsiasi trasformazione sociale di natura riformista. Da quel momento, si impone
naturalmente ad una parte delle sinistre latino americane, la scelta dell’opzione
della rivoluzione e della lotta armata. L’argentino Ernesto Che Guevara (1928-
1967) presente a La Paz nel 1952 ed a Città del Guatemala nel 1954, incarna,
abbastanza significativamente, questo momento di radicalizzazione anteriore al
1959, sebbene il suo incontro con i fratelli Castro, a Mexico City nel luglio 1955,
sia altrettanto decisivo nella costruzione del mito rivoluzionario che si affermerà
successivamente.
In questo contesto, la potenza di seduzione, esercitata dalla rivoluzione cubana
in America latina per almeno dieci anni, si è basata essenzialmente su tre fattori:
In primo luogo, l’eccezionalità del processo che porta Castro al potere (82
guerriglieri sbarcati dallo yacht Granma nel dicembre 1956 sulla spiaggia di Las
Coloradas a Niquero, che riescono a vincere un esercito sostenuto, fino quasi alla
fine, da Washington) o quanto meno la messa in scena di questa eccezionalità - in
particolare da parte di Regis Debray (1940 - ) nel suo best seller Rivoluzione
nella Rivoluzione ? del 1967 – in quanto l’opposizione al regime dittatoriale di
Batista risultava molto ampia e non si è mai ridotta, in realtà, ai soli Barbudos.
In secondo luogo, la sua autentica capacità di trasformazione sociale nei primi
anni, estrinsecata dalla riforma agraria, alla campagna di alfabetizzazione,
passando attraverso politiche pubbliche decisamente progressiste per quanto
riguarda le donne, nonché dall’accesso alla sanità o dalla democratizzazione
culturale.
In terzo luogo, l’ardore che ha posto il regime nel difendersi dai diversi tentativi
di destabilizzazione e nel mantenersi al potere, sia durante l’embargo, decretato
dagli USA a partire dal 1960 (con la contropartita di rinunciare ai sogni originali
di non allineamento per gettarsi nelle braccia di Mosca) od anche nel tentativo di
sbarco contro rivoluzionario della Baia dei Porci nell’aprile 1961.
La Conferenza tricontinentale, organizzata a L’Avana nel gennaio 1966, che
riunisce 512 delegati provenienti da 82 paesi appartenenti, in maggioranza, al
“terzo mondo”, costituisce l’acme della rivoluzione cubana, non solo in America
latina, ma anche in Africa ed in Asia. La fondazione, in questo contesto,
dell’Organizzazione di Solidarietà dei Popoli d’Asia, Africa ed America latina
(OSPAAAL) dota la politica straniera castrista di un nuovo organo ufficioso,
mondialmente conosciuto anche per la qualità grafica dei manifesti di
propaganda, che verranno prodotti e diffusi sotto la sua direzione.
Ovunque a sud del Rio Bravo si sono costituiti gruppi di guerriglieri che hanno
adottato una organizzazione propria oppure estrapolandola dal modello
rivoluzionario dei focos guevaristi: nel caso specifico, il Movimento della Sinistra
Rivoluzionaria di Domingo Alberto Rangel Bourgoin (1923-2012) nel Venezuela
(MIR, 1960), scissione del Partito Socialdemocratico Azione democratica (AD),
allora al potere; le Forze Armate Ribelli nel Guatemala (FAR, 1962); o ancora
l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) e le Forze Armate Rivoluzionarie
(FARC) in Colombia, entrambi costituite nel 1964. Nella seconda metà degli anni
1960 verranno ad aggiungersi guerriglie urbane, sull’esempio dei Tupamaros
uruguaiani (1965) o dell’Esercito Rivoluzionario del Popolo, in Argentina (ERP,
1970). Molti di questi guerriglieri risultano transitati da Cuba, vera Mecca
rivoluzionaria degli anni 1960 e spesso vi sono stati formati militarmente, poiché
L’Avana cerca in tutti i modi di esportare la sua rivoluzione, per meglio
consolidarla di fronte al nemico imperialista, incarnato, dalla fine del 19° secolo,
dagli USA.
Il movimento del 1968, al quale, evidentemente, non sfugge anche l’America
latina, consente di misurare l’ampiezza dell’onda d’urto cubana, poiché anche gli
studenti in rivolta del Cile (1967), del Brasile e del Messico (1968) o della
Colombia (1971), o gli operai del Cordobazo argentino (1969) rivendicano - in
maniera più o meno esclusiva, a seconda dei casi - l’eredità del castrismo o del
guevarismo.
Fuori dall’America latina e nonostante la cocente sconfitta dell’esperienza di Che
Guevara, partito per il Congo, nel 1965, presso Laurent Desirée Kabila (1939-
2001) e di Pierre Mulele (1929-1968), Cuba lancia, a quel punto, una nuova fase
del suo internazionalismo rivoluzionario e di espansione del socialismo, inviando al
massacro circa 300 mila uomini in Angola, fra la metà degli anni 1970 e la fine
degli anni 1980. Tutto questo in nome della lotta contro il colonialismo e
dell’espansione del socialismo, senza, tuttavia, riuscire a sviluppare un suo proprio
programma di fronte alle pressioni dell’Unione Sovietica.
Peraltro, nello stesso periodo, la rivoluzione cubana riceve anche il sostegno di
numerosi intellettuali del mondo intero, specie occidentale, che, appena tre anni
dopo il 20° Congresso del Partito Comunista Sovietico (che ha reso pubblici i
crimini dello stalinismo e considerevolmente “offuscato” “la grande luce nata
all’Est” ), pensa di potervi intravvedere i segni di una rinascita e di un rilancio
dell’orizzonte socialista al di sotto dei tropici. La Cuba di Castro attira
importanti flussi di militanti europei, provenienti dal “Baby boom”, nutriti di idee
del terzomondismo nascente, di critiche della società dei consumi e desiderosi di
mettere mano alla rivoluzione.
Il viaggio a Santiago
I movimenti di guerriglia non sono le sole espressioni di questo momento
rivoluzionario, che si concretizza anche in diverse esperienze di governo. La
rivoluzione militare peruviana del 1968, sotto la guida del generale Juan Velasco
Alvarado (1910-1977), si traduce, in tale contesto, in una riforma agraria di
notevole ampiezza ed in un tentativo di politica indiana - fatto eccezionale per
l’epoca - mentre Lima e l’Avana ristabiliscono le loro relazioni diplomatiche. Nel
settembre 1970, la vittoria elettorale dell’Unione Popolare (UP, coalizione di
forze politiche di sinistra) nel Cile viene percepita da numerosi osservatori, con
accentuato strabismo a sinistra, come una possibile “seconda Cuba”, sebbene
l’ostinazione del socialista Salvador Allende Gossens (1908-1973; vittorioso al
suo quarto tentativo alle elezioni presidenziali) e la “via cilena al socialismo”,
risolutamente democratica, abbiano ben poco a che vedere con la teoria dei focos
rivoluzionari e con il regime del partito unico instaurato a Cuba nel 1965.
Di fatto, mentre le sinistre europee guardano a Cuba come un simbolo anti
imperialista, carico di esotismo e di una sorta di folklore rivoluzionario,
l’esperienza cilena si costituisce come un autentico nuovo modello, che incarna le
possibilità di vittoria elettorale di una unione delle sinistre. François Mitterand
(1916-1996), Gaston Defferre (1910-1986), per il Partito Socialista francese,
cinque mesi dopo il Congresso d’Epinay, che ha visto nascere il PS sulle ceneri
della SFIO, Jacques Duclos (1896-1975) ed Etienne Fajon (1906-1991) per il
Partito Comunista francese sono appena alcuni dei soggetti politici europei della
sinistra, che effettuano il viaggio a Santiago del Cile fra il 1970 ed il 1973 per
osservare da vicino o in situ la trasformazione radicale della società che ha
scelto, con i suoi voti, il governo di coalizione. Questa sequela di visite in Cile
contribuirà a rendere alquanto tese le relazioni fra Castro ed Allende, mal
sopportando il primo l’ombra che gli getta la fama internazionale acquisita dal
secondo.
L’immensa emozione internazionale provocata dal colpo di stato dell’11 settembre
1973 e la morte di Allende è, d’altronde, all’altezza delle passioni politiche che
aveva suscitato l’Unione Popolare cilena per tre anni, spesso percepita come un
nuovo tentativo di riconciliazione fra il marxismo e la democrazia, allo stesso
modo in cui lo era stato il socialismo dal volto umano di Alexander Dubcek (1921-
1992) in Cecoslovacchia. Inoltre, l’analisi della caduta dell’UP, compilata allora da
Enrico Berlinguer (1922-1984), Segretario Generale del Partito Comunista
Italiano, costituirà una matrice decisiva per il “compromesso storico” con la
Democrazia Cristiana e dimostra fino a che punto la vita politica latino americana
è ormai suscettibile di pesare al di là delle frontiere del sub continente
americano.
Con la più grande delusione degli ambienti conservatori, la febbre rivoluzionaria
guadagna ugualmente dei settori tradizionalmente poco inclini al filo comunismo,
come la Chiesa Cattolica. Dal 24 agosto al 6 settembre 1968 si riunisce a
Medellin, nel Dipartimento colombiano di Antiochia, la 2^ Conferenza
dell’episcopato latino americano. Due settimane di lavori portano alla
pubblicazione di un documento che sollecita le Chiese d’America latina a prendere
coscienza della misura delle sofferenze sopportate dall’immensa maggioranza
delle popolazioni della regione, facendo appello alla liberazione degli oppressi. Il
documento dei vescovi denuncia le strutture di dominio politico ed economico
ereditate dal periodo coloniale, condanna il capitalismo liberale e le ineguaglianze
che non cessano di aumentare, esprimendo una opzione preferenziale per i poveri.
Questi sono i grandi orientamenti delle conclusioni della Conferenza, che esigono
la messa in opera di una pastorale impegnata – anche sovversiva, se le circostanze
lo esigono - al fine dell’affermazione della fede cristiana come matrice della
trasformazione sociale, conformemente con il messaggio dei Vangeli e non come
un pilastro dell’ordine stabilito, nefasto effetto della eccessiva
istituzionalizzazione della struttura della Chiesa.
Conseguenza diretta dell’aggiornamento proveniente dal Concilio Vaticano 2°, la
Conferenza di Medellin cristallizza anche alcune mutazioni del cattolicesimo
latino americano dalla fine degli anni 1950. Nel Cile, Monsignor Manuel Larrain
Errazuriz (1900-1966) prende l’iniziativa della ridistribuzione delle terre
ecclesiastiche nel suo vescovado di Talca, al fine di lottare contro il precariato
contadino. Nel Brasile, dal suo arcivescovado di Olinda Recife, nel Pernambuco,
Monsignor Helder Pessoa Camara (1909-1999) prende una posizione a favore dei
contadini e reclama una riforma agraria. In Argentina, il Movimento dei Preti per
il Terzo Mondo (Sacerdotes para el Tercer Mundo) mette al centro del suo
discorso la questione del sotto sviluppo e dialoga con il marxismo e la teoria della
dipendenza nella seconda metà degli anni 1960. E’ da questa effervescenza
intellettuale che deriva la Teologia della Liberazione nel 1971, con la
pubblicazione concomitante della Teologia della Liberazione, Prospettive, del
teologo peruviano Gustavo Gutierrez (1928) e di Gesù Cristo liberatore, saggio di
cristologia critica, del brasiliano Leonardo Boff (1938 - ) Alcuni preti passano
persino all’azione, come il colombiano Camilo Torres Restrepo (1929-1966), che
prende le armi nell’ambito dell’ELN nel 1966 e muore in combattimento qualche
settimana più tardi.
Se questo Cristianesimo della Liberazione va incontro ad una certa eco in Europa,
esso ispira anche il più grande sospetto a Roma e non è un fatto di poco conto la
prima visita di un papa in America latina, quella di Paolo 6° (1897-1978), in
occasione della Conferenza di Medellin nel 1968. L’elezione di papa Giovanni Paolo
2° (1920-2005) segna la fine della teologia della liberazione che diventa oggetto
di una sistematica politica di repressione da parte di Roma.
Contro rivoluzione
La paura di una contaminazione di tutta l’America latina da parte dell’idea
rivoluzionaria diventa anche una potente molla nella politica estera degli USA. Il
13 marzo 1961, appena due mesi dopo l’arrivo alla Casa Bianca, John Fitzgerald
Kennedy (1917-1963) formula all’indirizzo del sub continente latino americano un
programma di una Alleanza per il Progresso, non privandosi di ricorrere al
paradigma rivoluzionario, come lo fanno a quel tempo quasi tutti gli attori politici
latino americani: “Noi proponiamo di portare a buon fine la rivoluzione delle
Americhe al fine di costruire un emisfero in cui tutti gli uomini possano sperare
un livello di vita decente nella dignità e nella libertà”. Nella speranza di minare i
fondamenti sociologici della sovversione, Washington si impegna a fornire un
aiuto allo sviluppo a tutti i governi che si dimostrino nello stesso tempo
anticomunisti e preoccupati di lottare contro la povertà e le disuguaglianze.
Il paese che beneficia maggiormente del dispositivo americano lungo gli anni 1960
è il Cile, soprattutto dopo la vittoria presidenziale del democratico Eduardo Frei
Moltalva (1911-1982) nel 1964, poiché Santiago riceve più di 1,5 miliardi di dollari
da parte del governo americano o da parte di istituzioni finanziarie multilaterali.
Invano, poiché questo non impedisce ad Allende di vincere le elezioni del 1970,
fornendo in tal modo alla Casa Bianca la sensazione che l’America latina risulti
presa in “un Sandwich fra Cuba ed il Cile”. Richard Nixon (1913-1994), che nel
1967 aveva stimato che l’America latina sarebbe diventata una polveriera se non
si fosse risolta la questione del sotto sviluppo, si orienta prioritariamente,
pressato dalle circostanze, sulla necessità di schiacciare “questo figlio di puttana
di Allende”. Nixon può essere considerato come uno dei principali ispiratori
intellettuali della tragedia cilena dell’11 settembre 1973 (3).
Se la responsabilità di Washington nell’ondata contro rivoluzionaria, che comincia
agli inizi degli anni 1960 è ormai dimostrata, sarebbe semplicistico e, comunque,
fare torto alla politica estera degli USA attribuire solo ad essi la
militarizzazione delle società latino americane. In seno a quest’ultime, in effetti,
una parte della gerarchia cattolica, le forze armate, i grandi proprietari terrieri,
le oligarchie economiche, come anche larghi settori dell’opinione pubblica, sono
favorevoli ed accolgono con entusiasmo l’instaurazione di regimi autoritari,
accordando loro un sostengo spesso duraturo. Questo atteggiamento è
testimoniato anche dall’esempio dell’entusiasmo di milioni di argentini per il
Mundial di calcio del 1978, nel momento in cui elementi della dittatura di Jorge
Videla (1925-2013) torturano oppositori spesso neanche a non molta distanza
dagli stessi stadi di calcio.
La diffusione della dottrina di sicurezza nazionale fra le gerarchie militari di
quasi tutti i paesi latino americani costituisce un elemento decisivo per
comprendere la natura di questi nuovi regimi autoritari. Basando i suoi principi
sulle riflessioni strategiche condotte negli USA, all’indomani della seconda
guerra mondiale, ma anche in seno alla Scuola Superiore di Guerra, fondata a Rio
de Janeiro nel 1949 ed alimentata dagli apporti tecnico-tattici della guerra
contro rivoluzionaria teorizzata dell’esercito francese (nel contesto delle sue
guerre coloniali a partire dalla fine degli anni 1950), questa dottrina mette
l’accento sul pericolo interno per i paesi occidentali rappresentato dal
comunismo, dando così la priorità allo “sradicamento del cancro marxista”.
Da queste considerazioni deriva la messa in opera di un sistema di controllo di
sicurezza da parte dello stato, spesso poco incline al rispetto delle regole e
tendente all’uso di metodi non di stretta ortodossia “democratica”, per
conseguire i suoi fini di sicurezza sociale e dando vita anche ad una
collaborazione internazionale fra i vari regimi nel contesto dell’Operazione
Condor ai fini della sicurezza interna. (4). In tale contesto. sono frequenti il
ricorso alla tortura, alle esecuzioni sommarie, alle sparizioni (spesso solo
fittizie); le vittime degli “anni di piombo” possono essere valutate a diverse
migliaia, spesso anonime e tale situazione ha determinato anche l’esilio e
l’emigrazione di molti latino americani nel corso degli anni 1970. I regimi di
sicurezza nazionale, però, non hanno il monopolio esclusivo della repressione dei
tentativi rivoluzionari. Nel Venezuela, dove la democrazia è stata ristabilita nel
corso del 1958, i governi social democratici di Romulo Betancourt Bello (1908-
1981) e di Raul Leoni (1905-1972, detto El Manteco) come anche quello del
democratico cristiano Rafael Caldera Rodriguez (1916-2009), conducono una
lotta senza quartiere contro i numerosi focos (focolari) rivoluzionari che sono
sorti, nel frattempo, nel paese. Nel Messico, dove il Partito Rivoluzionario
Istituzionale controlla senza opposizione lo spazio politico dalla fine degli anni
1920, la ribellione studentesca del 1968 viene schiacciata nel sangue proprio
qualche giorno prima dell’apertura dei Giochi Olimpici d’estate.
Autopsia di un fallimento
Nel luglio 1979, si apre in America centrale un ultimo capitolo governativo del
momento rivoluzionario con la vittoria del Fronte Sandinista di Liberazione
Nazionale (FSLN), che rovescia nel Nicaragua l’ultimo governo della dinastia dei
Somoza (Anastasio Somoza Debayle, 1925-1980). Il nuovo tentativo
rivoluzionario darà vita ad un’esperienza fallimentare, che rimarrà al potere fino
al 1990. Un anno più tardi, nel 1980, la costituzione del Fronte Farabundo Martì
di Liberazione Nazionale, nel Salvador (FMLN), costituisce una tappa decisiva
nello spostamento della febbre rivoluzionaria verso l’istmo centroamericano,
mentre il mito cubano subisce un progressivo appannamento al ritmo della
crescita dell’allineamento di Cuba su Mosca e della sovietizzazione del regime
dell’Avana.
Tuttavia, i tempi sono ormai molto cambiati dall’epoca dell’entrata trionfale dei
barbudos a l’Avana: all’orizzonte messianico della lotta armata, brutalmente
offuscata dai precedenti fallimenti e dalla morte del Che Guevara in Bolivia nel
1967, poi dalle lotte intestine fra guerriglieri, si è progressivamente sostituito
quello dei diritti dell’uomo, mentre il marxismo resiste sempre di meno alle
plurime delusioni derivate dall’applicazione del socialismo reale.
Nel 1964 un colpo di stato porta al potere in Brasile una giunta mista militari e
civili che terranno il potere fino al 1985. In particolare, i militari brasiliani
saranno quelli che metteranno a punto il modello dei governi di sicurezza
nazionale e che, a partire dal 1968 al 1974, condurranno una lotta senza
quartiere contro la guerriglia urbana e rurale della sinistra nel Paese.
Negli Stati Uniti, la determinazione del nuovo presidente Ronald Reagan (1911-
2004) nell’azione per lo sradicamento dei Sandinisti si traduce, nei fatti, con un
sostegno finanziario e militare massiccio ai contra anti sandinisti, come anche
nella violenza scatenata dagli squadroni della morte nel Salvador, responsabili, in
particolar modo dell’assassinio dell’arcivescovo Monsignor Oscar Romero (1917-
1980). Le ultime febbri rivoluzionarie vengono soffocate nel corso degli anni
1980, fatto che tende a riportare nuovamente l’America latina, piombata allora
nel “decennio perduto dei debiti”, in una posizione di secondo piano nelle relazioni
internazionali.
60 anni dopo la fiammata del 1959, che cosa rimane di questi due decenni
durante i quali le sinistre latino americane hanno tentato di trasformare con la
violenza le società ? Un regime cubano, con fiatone, che è sopravvissuto alla
caduta dell’Unione Sovietica alla fine degli anni 1980 ed inizi del 1990 ed alla
morte di Fidel Castro, ma che ha ormai rinunciato a propagazione dell’ideologia,
aprendosi gradualmente al capitalismo, ma persistendo nel confinare la sua
popolazione ai margini del mondo. Sebbene la memoria dei militanti caduti sotto i
colpi della repressione rimanga ancora viva, non vanno comunque sottovalutate le
cocenti sconfitte subite ed, in particolar modo, le numerose illusioni perdute.
L’America latina rimane ancora oggi una regione del mondo che presenta grandi
diseguaglianze sociali e che risulta, statisticamente, la più violenta del mondo.
Tutto questo, nonostante che, a partire dal 1973 (dal colpo di stato in Cile) sia
diventata il laboratorio della mutazione neo liberale, che ha caratterizzato la
storia globale degli ultimi 40 anni, ma, anche e soprattutto, per il fatto che il
succedersi di numerosi governi di sinistra, giunti legalmente al potere dopo il
1985 attraverso regolari elezioni, siano stati capaci solo di aggiungere ulteriori
delusioni alle precedenti già frustranti delusioni.
NOTA
(1) Machover Jacobo, “Cuba da Batista a Castro, Una contro storia”, Buchet
Chastel, 2018;
(2) Il demografo Alfred Sauvy ha lanciato l’espressione nel 1952 come
riferimento a terzo stato dell’Ancien Regime;
(3) Coppolani A., Richard Nixon, Fayard, 2013;
(4) Piano Condor. Alla fine del 1975, il capo della polizia politica cilena Manuel
Contreras, invita a Santiago i capi dei servizi di informazione militare
dell’Argentina, della Bolivia, del Brasile, del Paraguai e dell’Uruguai per una
riunione segreta, con l’obiettivo di sistematizzare, modernizzare e rendere
multilaterale la collaborazione dei 6 paesi nel campo della sicurezza interna.
Nella stessa riunione vengono messe a punto le teorie contro insurrezionali, con
l’applicazione sul campo di metodi di guerra rivoluzionaria e soprattutto di
operazioni di propaganda e di disinformazione oltre ad un’azione coordinata degli
stati contro la sovversione. La predetta riunione decreta la nascita di una
centrale comune informativa, alimentata dagli schedari dei paesi membri, la
realizzazione di azioni di sicurezza congiunte all’interno dei 6 paesi e la
sorveglianza, la detenzione di oppositori, la loro estradizione clandestina ed in
alcuni casi alche la loro eliminazione.. Queste decisioni daranno origine a quella
che viene comunemente definita come Piano Condor. La scelta del rapace andino
deriva dal fatto che lo stesso fa parte del blasone di numerose nazioni andine e
perché, vigila per poi piombare silenziosamente sulle sue prede.
CRONOLOGIA
1959, 1° gennaio. Gli insorti della Sierra Morena prendono il potere a Cuba;
1961, aprile. Fallimento dello sbarco dei contra appoggiati dagli USA nella Baia
dei Porci;
1962. Crisi dei missili cubani fra Mosca e Washington. L’URSS è costretta a
fare marcia indietro;
1963-1966. Quattro colpi di stato danno la nascita a Giunte militari Ecuador nel
1963, Bolivia e Brasile nel 1964, Argentina nel 1966 ed inaugurano una
militarizzazione delle società latino americane;
1964. Vengono create le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC);
1966. Conferenza tricontinentale all’Avana che riunisce 512 delegati di 82 paesi.
Si tratta dell’acme del modello cubano. L’argentino Ernesto Che Guevara assume
la guida di una guerriglia in Bolivia, dopo le fallimentari esperienze in Africa
centrale;
1967, 9 ottobre. Il Che, fatto prigioniero in Bolivia, viene giustiziato. La sua
morte simbolizza ed annuncia il fallimento delle varie guerriglie;
1968. Un colpo di stato nel Perù dà la nascita alla dittatura riformista del
generale Velasco Alvarado;
1970. Il socialista Salvador Allende, sostenuto dall’Unione Popolare (coalizione
dei partiti della sinistra) viene eletto presidente del Cile;
1973, giugno. Un colpo di stato in Uruguai instaura una giunta militare;
1973, 11 settembre. Pinochet, sostenuto dalle forze armate conduce
vittoriosamente un colpo di stato in Cile, nel quale viene ucciso Allende;
1975. Nel Perù un nuovo colpo di stato mette fine al governo dittatoriale
riformista di Alvarado;
1975, novembre. Riunione fondatrice a Santiago del Piano Condor, che
raggruppa Cile, Argentina, Brasile Bolivia, Paraguai ed Uruguai;
1976, 24 marzo. Colpo di Stato in Argentina con assunzione dei poteri da parte
di una giunta militare formata delle tre Forze Armate (Jorge Videla);
1979, 19 luglio, Il fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN) prende il
potere in Nicaragua;
1979, 10 agosto. Nell’Ecuador, l’elezione del presidente Roldos Aguilera segna
l’inizio della fine dei regimi militari. Ha inizio nell’America latina l’epoca delle
transizioni democratiche.