1919: VERSAILLES chiude la 1^ G.M., ma all’Est si giocano i tempi supplementari
Pubblicato sul n. 275, aprile 2020, della Rivista Informatica “Storia in
Network” (www.storiain.net), con il titolo: “1918: FINITA LA GUERRA, A EST
SI GIOCANO I TEMPI SUPPLEMENTARI”)
Se il mese di novembre 1918 segna la fine ufficiale della 1^ Guerra
mondiale, nell’est dell’Europa, la sconfitta degli Imperi Centrali apre nuovi
conflitti, che, per molti,porteranno i germi della 2^ Guerra Mondiale.
ella memoria collettiva occidentale, la Grande Guerra è terminata nel
novembre 1918 a seguito degli Armistizi di Villa Giusti (fra Italia ed
Impero austro-ungarico) e del vagone di Rethondes (fra gli Alleati ed il
Reich tedesco). In particolare l’armistizio sulla fronte francese rappresentava il
riconoscimento della sconfitta del Reich e costituiva la logica conclusione del
ritiro delle forze armate tedesche, iniziato tre mesi prima. Il processo era stato
accelerato dall’ondata rivoluzionaria che aveva guadagnato tutta la Germania nei
primi giorni del mese di novembre. Di fatto, il 9 novembre 1918 il kaiser
Guglielmo 2° di Hohenzollern (1859-1941) era stato costretto ad abdicare e nel
corso della stessa giornata era stata proclamata la repubblica.
Il bilancio umano della guerra era stato esorbitante: 18,6 milioni di morti, di cui
9,7 militari e 8,9 civili; 21,2 milioni di feriti, dei quali molti mutilati e sfigurati a
vita, a questo andavano aggiunte le numerose distruzioni di beni materiali e le
devastazioni subiti dai territori luogo degli scontri. Anche se altri fronti si erano
spenti qualche tempo prima, come quello est, con l’Armistizio di Brest Litowsky
del marzo (fra gli Imperi centrali ed nuovo governo bolscevico russo) o come
quello dei Balcani, con l’Armistizio di Salonicco, del settembre 1918
N
(capitolazione della Bulgaria) e con l’Armistizio di Mudros, dell’ottobre 1918
(capitolazione dell’Impero ottomano), nella memoria collettiva dei paesi
occidentali rimarrà indelebile la data del novembre 1918 come quella della fine
della 1^ Guerra Mondiale.
Il valzer dei Trattati
Caso della Russia a parte, questi armistizi saranno il preludio ai trattati di pace
che dovevano mettere un termine definitivo alla guerra. I negoziati della
conferenza di Pace di Parigi avranno il compito di dare una forma concreta ai
trattati con gli Stati vinti e di fondare un nuovo ordine europeo, ufficialmente
organizzato intorno al principio delle nazionalità. Nel giro di un anno e mezzo
vengono firmati 5 Trattati: quello di Versailles con la Germania (28 giugno 1919),
di Saint Germain en Laye con l’Austria (10 settembre 1919), di Neuilly sur
Seine con la Bulgaria (27 novembre 1919), del Trianon con l’Ungheria (4 giugno
1920) e di Sevres con l’Impero ottomano (19 agosto 1920). I predetti Trattati,
imposti ai vinti, vengono di fatto negoziati all’interno del circolo ristretto delle
grandi potenze, che ne fissano i termini relativi. Sempre in Occidente, si ha
ormai l’abitudine di parlare dell’Europa di Versailles per definire la
configurazione data al continente europeo dalla Conferenza di Pace. Una
formulazione, ad onor del vero, parziale ed inesatta, in quanto l’espressione
sottovaluta l’importanza degli altri trattati che hanno riconfigurato il volto
dell’Europa centrale e sud orientale. In ogni caso, per i popoli di questi spazi, sia
che essi ne siano stati beneficiari o vittime, i trattati sono stati perlomeno pieni
di pesanti conseguenze.
Comunque, per tutto il periodo di negoziato dei trattati ed anche oltre, le armi
non hanno taciuto, specialmente ad est, lungo una linea che andava dal Baltico al
Levante. Questi conflitti non hanno avuto tutti la stesa importanza né la stessa
durata. Tuttavia, tutti derivano dalla stessa causa: la scomparsa delle grandi
monarchie intorno alle quali la geografia politica dell’Europa era organizzata sia al
centro che ad est. Il fenomeno non ha avuto indubbiamente lo stesso significato.
L’Impero Austro ungarico e l’Impero ottomano, colpiti a morte, non
sopravvivranno al conflitto mondiale. Per contro, né la Germania, né la Russia
scompariranno dalla carta politica dell’Europa, anche se le dinastie regnanti erano
state rovesciate. Sia l’una che l’altra subiranno le conseguenze della sconfitta,
ma senza la rimessa in discussione della loro esistenza come Stato. La Germania
perde molti territori venendo sottoposta a severe condizioni, ma, tuttavia, essa
non viene colpita, né nella sua sostanza, né nelle opere vive, conservando i mezzi
che recuperare le sue forze e la sua potenza. Le stesse osservazioni vanno
applicate anche al caso della Russia. Anch’essa era stata amputata di notevoli
territori, ma la sua storia poteva continuare, anche sotto un’altra bandiera.
Ma, al di là di queste differenze, gravi sconvolgimenti politici faranno piombare
questi Stati, giovani o nuovi, in un lungi periodo di incertezze e di tensioni. La
scomparsa degli imperi determinerà un moltitudine di problemi, specialmente
quello del tracciato delle nuove frontiere, anch’esso strettamente collegato con
la ripartizione geografica delle nazionalità. Se tali problemi risultavano
preesistenti al disfacimento degli imperi, essi assumeranno comunque una nuova
dimensione. Le violenze interetniche, una volta liberate dai vincoli imposti dalle
strutture amministrative degli imperi, esploderanno, sfociando in scontri armati
che opporranno Tedeschi e Cechi in Boemia, Austriaci ed Ungheresi nel
Burgerland, Austriaci e Sloveni in Carinzia.
Rivolte rosse
Esiste peraltro un altro aspetto di questi scontri armati: le guerre civili che
scoppiano presso alcuni paesi vinti, sul solco della sconfitta. L’influenza delle
correnti ispirate dall’esempio della rivoluzione bolscevica, si inserisce nel
contesto dei traumi provocati dall’accelerazione degli eventi negli ultimi giorni
della guerra. In tale contesto la Germania e l’Ungheria diventeranno nel corso del
1919, i teatri di sanguinose lacerazioni.
In Germania, il regime monarchico, travolto dalla rivoluzione del novembre, aveva
ceduto il posto ad un Consiglio di Commissari del Popolo, che, diretto dal
socialdemocratico Friedrich Ebert (1871-1925), si fissa il compito di fondare una
repubblica democratica. Ma, quasi subito, questo viene sfidato dal movimento
degli Spartakisti, una alleanza fra l’estrema sinistra socialista ed i comunisti,
guidata da Rosa Luxemburg (1871-1919) e Karl Liebknecht (1871-1919), che si
rifiuta di riconoscere la sua autorità e si prepara a rovesciarlo con le armi per
installare un potere basato sul modello sovietico.. Il governo tedesco disponeva di
pochi mezzi per opporsi all’insurrezione spartakista lanciata il 6 gennaio 1919,
comunque inadeguati per battere i ribelli. Ma, già dal 10 novembre 1918, Ebert,
che alla guida del partito socialista aveva sostenuto lo sforzo bellico fino alla
fine, aveva concluso un accordo con il maresciallo Paul von Hindenburg (1847-
1934), il capo del Grande Stato Maggiore tedesco, sulla base del quale, l’esercito
tedesco, in caso di sommossa di ispirazione bolscevica, sarebbe intervenuto per
reprimerla. E’ proprio quello che avverrà nel caso degli Spartakisti. Certamente,
dal mese del novembre 1918, la situazione aveva subito una notevole evoluzione.
Una parte delle truppe era stata smobilitata dopo il rientro in Germania ed
inoltre molti reggimenti erano stati contaminati dalla propaganda rivoluzionaria.
In ogni caso, unità rimaste fedeli verranno messe a disposizione del Consiglio del
commissari del popolo, la cui figura centrale nel corso di queste giornate cruciali
diventerà Gustav Noske (1868-1946). Quest’ultimo può contare parimenti sul
concorso dei Corpi Franchi, formazioni di volontari costituiti al di fuori del
contesto ufficiale dell’esercito. Una ostilità radicale nei confronti dei “rossi”
come anche la difficoltà di reinserimento nella vita civile, dopo gli anni passati in
trincea, senza dimenticare la prospettiva di un salario in questi periodo di pesanti
incertezze economiche, costituiscono le motivazioni di questo nuovo tipo di
soldati, dei quali Ernst von Salomon (1902-1972) ha tracciato un ritratto nel suo
romanzo autobiografico i Reprouvé (I Proscritti). Dopo otto giorni di accaniti
combattimenti, le forze riunite del governo legale riescono a sconfiggere gli
insorti, una vittoria accompagnata da una terribile repressione, fra cui spicca
simbolicamente l’esecuzione di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht.
La settimana rossa di Berlino non costituisce un evento isolato, Lo stesso
scenario si ripete identicamente a Monaco di Baviera. In quest’ultima località, la
monarchia bavarese era stata travolta dalla rivoluzione agli inizi del mese di
novembre. Sulle rovine dello stato si era formato un governo, frutto dell’unione
di diverse fazioni socialiste, con a capo Kurt Eisner (1867-1919). L’assassinio di
Eisner, avvenuto il 21 febbraio 1919, lascia il campo libero agli elementi più
radicali, che insediano una Repubblica dei Consigli, mentre il governo legale si
stabilisce a Bamberga, mentre per tutto il paese, bande comuniste organizzano
“battute contro gli aristocratici”. Il governo per riconquistare Monaco riunisce
una forza di 50 mila uomini, composta da truppe regolari, da Corpi Franchi, fra i
quali quello del colonnello Franz Von Epp (1868-1946). Il contrattacco, lanciato il
1° marzo 1919 riconquista la città in un breve periodo di tempo. Ha inizio, a quel
punto, la caccia ai rivoluzionari e, come a Berlino, la repressione sarà terribile,
con un bilancio di almeno un migliaio di morti.
Dopo la scomparsa della monarchia, l’Ungheria cade in una situazione di estrema
confusione. Poco dopo le dimissioni del conte rosso Mihaly Karolyi di
Nagykarolyi (1875- 1955), eletto alla guida della Repubblica democratica
ungherese nel novembre 1918, una alleanza fra comunisti e social democratici
insedia il 21 marzo 1919 una repubblica dei Consigli, dominata dalla figura di Bela
Kun (1886-1938). Il nuovo potere di Budapest porta avanti una doppia politica di
recupero dell’Ungheria nelle sue frontiere storiche e di collettivizzazione. Se il
primo obiettivo gli apporta simpatie nell’opinione pubblica al di fuori dell’ambiente
operaio, il secondo obiettivo viene accolto con grandi riserve dal mondo
contadino, particolarmente deluso dalla mancata scelta sulla redistribuzione
delle terre.. La Repubblica dei Consigli, contestata, all’interno come anche
all’esterno, instaura a partire da quel momento un regime di terrore rosso che
provocherà dalle 500 alle 600 vittime. L’impresa della riconquista delle province
perdute ottiene qualche successo, specialmente in Slovacchia, ma servirà a
scatenare contro l’Ungheria una larga coalizione che riunisce, sotto il patronato
della Francia,, la Cecoslovacchia, la Serbia e la Romania. Punta di lancia di questa
reazione sarà l’esercito rumeno, che spingerà la sua offensiva fino a Budapest,
che conquista il 4 agosto 1919 e che occuperà fino alla metà di novembre dello
stesso anno. Bucarest potrà vantarsi di aver tenuto il ruolo di bastione contro il
bolscevismo, una tesi ancora oggi fortemente sostenuta dagli storici rumeni. Tre
giorni prima della caduta di Budapest, crolla la Repubblica dei Consigli, dopo una
vita di 133 giorni, un periodo sufficientemente lungo per imporre un regime di
terrore ai suoi oppositori, utilizzando a tal fine bande di giovani fanatici
conosciuti sotto il nome di “ragazzi di Lenin”. La partenza delle truppe rumene
lascia però lo spazio libero all’azione della contro rivoluzione. L’esercito nazionale,
riunito a Seghedino dall’ammiraglio Miklos Horthy di Nagyabanya (1868-1957),
l’ultimo comandante della flotta austro-ungarica, marcia su Budapest,
conquistandola. Al terrore rosso si sostituisce il “terrore bianco”, che
provocherà più di 5 mila vittime.
Guerra civile russa
L’offensiva rumena sarebbe stata seriamente contrastata se se i Sovietici
avessero potuto invadere la Romania, come in effetti ne avevano l’intenzione, per
poter soccorrere la rivoluzione ungherese. Ma l’Armata Rossa subisce nello
stesso momento un rovescio in Ukraina ed il progetto non trova pratica
esecuzione. Questo episodio si inscrive, in effetti nel contesto generale della
guerra civile russa che era scoppiata appena un mese dopo la presa di potere da
parte dei Bolscevichi e che durerà fino al 1922. Suddivisa in diversi fronti, la
guerra si estende ben presto sull’insieme del territorio del defunto impero
zarista, dalla Finlandia fino all’Estremo Oriente. In reazione alla pace di Brest
Litowsky, con la quale si mobilita il senso patriottico russo, si organizza la
resistenza al nuovo potere russo. Le diverse opposizioni (socialisti rivoluzionari,
menscevichi, monarchici) entrano nella lotta armata contro il regime bolscevico.
Questa, a sua volta, organizza ugualmente contro di lui numerose minoranze
nazionali nei Paesi Bakraina, nel Caucaso ed alcune potenze straniere (Tedeschi,
Americani, Inglesi, Francesi, Giapponesi) intervengono nel conflitto.
Fra tutte le forze impegnate sul terreno, le più temibili sono le Armate Bianche
dei monarchici. Agli inizi dell’autunno del 1918, il territorio controllato dai
Bolscevichi, assaliti da diversi lati, si è ristretto ed assomiglia piuttosto ad una
fortezza assediata. Dal punto di vista del rapporto di forze, la logica avrebbe
detto che la bilancia si sarebbe piegata dalla parte dei nemici della rivoluzione. E,
tuttavia, al termine del conflitto, sarà proprio la rivoluzione che ne uscirà
vincitrice e consoliderà il suo potere. Essa aveva dovuto affrontare tre Armate
Bianche: a sud, l’esercito dei volontari comandato dal generale Anton Ivanovic
Denikin (1872-1947); a nord ovest, l’esercito del generale Nikolai Judenich
(1862-1933); nella Siberia occidentale, l’esercito dell’ammiraglio Alexander
Vasilievic Koltchak (1874-1920), rinforzata da circa 40 mila uomini di una legione
di volontari cechi e slovacchi. Ciascuna di queste armate riporta alcuni successi
iniziali, ma nessuna riesce a trasformare il proprio vantaggio ed tutte alla fine
verranno sconfitte.
Questo sviluppo degli eventi si spiega in parte con la mancanza di coordinamento
fra le forze bianche, riflesso delle divisioni e delle gelosie fra i diversi capi.
Inoltre, l’intervento delle potenze delle potenze straniere, che avrebbe potuto
costituire una vera minaccia per i Bolscevichi, rimarrà limitato ed in ogni caso
insufficiente per far pendere la bilancia dalla parte dei contro rivoluzionari.
Gli alleati dell’Intesa avevano certamente percepito il Trattato di Brest Litowski
come un colpo di pugnale alle spalle: questo “tradimento” dell’antico alleato aveva
consentito di accrescere la forza di percussione dell’offensiva lanciata ad ovest
dal generale Eric Ludendorff (1865-1937), che avrebbe portato le truppe
tedesche a qualche decina di chilometri da Parigi ed era stata molto vicina ad
assicurare al Reich la vittoria finale. A tutto questo si aggiungeva il timore di un
contagio rivoluzionario fuori delle frontiere della Russia.. Ma per minacciare la
rivoluzione bolscevica, sarebbe stato necessario che questo intervento fosse
stato di massicce dimensioni. Inglesi e Francesi riforniscono di armi il generale
Denikin, l’aviazione inglese interviene nell’estremo nord. George Clemenceau
(1841-1929) ipotizza una operazione in grande stile in Ukraina con l’impiego delle
truppe dell’Esercito d’Oriente, ma successivamente ci rinuncia. Dopo più di
quattro anni di una guerra terribile, l’opinione pubblica francese non era più
disposta a seguirlo. In definitiva, questi interventi stranieri, marginali, avranno
poco impatto sullo svolgimento generale della guerra.
Infine e forse soprattutto, i Bolscevichi debbono la loro vittoria ad una disciplina
e ad una organizzazione chiaramente superiori, esse stesse basate su strutture
repressive di estrema efficacia, come la Ceca. La determinazione dei capi
nazionali e locali risulta alimentata anche dalla certezza che essi probabilmente
non sopravvivranno ad una sconfitta. Al di là di queste considerazioni, la guerra
civile russa risulta essere la matrice dei crimini di massa del 20° secolo. La
presenza di numerosi Ebrei nel Komintern, porta al suo parossismo
l’antisemitismo, già tradizionale dei “Bianchi”. I progrom perpetrati dalle loro
armate causeranno diverse centinaia di migliaia di vittime, ovvero il bilancio più
elevati prima della Shoah. Ma il terrore rosso non rimane con le mani in mano.
Oltre ai numerosi crimini della Ceca, vale la pena ricordare l’assassinio della
famiglia imperiale nella notte fra il 16 ed il 17 luglio 1918; la messa fuori legge
della Chiesa ortodossa con l’esecuzione di più di mille pope e 25 vescovi: la messa
in opera di un sistema di campi di concentramento (più di 100 campi nel 1920) che
sopravvivrà alla guerra civile; i primi processi politici truccati, come quello dei
capi socialisti rivoluzionari nel 1922; la repressione nel sangue delle rivolte
contadine, come quella di Tambow nel 1921.
Linee di spartizione
Se i Bolscevichi riescono a ristabilire il loro controllo nel cuore del vecchio
impero, Mosca deve registrare almeno tre rovesci sui suoi margini. Questa seria
ha inizio con la perdita della Finlandia nei primi mesi del 1918. Appoggiati dalla
divisione tedesca del generale tedesco di origine estone Rudiger von der Goltz
(1865-1946), i “Bianchi” ottengono il sopravvento e lo conservano al prezzo di una
repressione spietata, con non meno di 35 mila vittime (uno dei primi massacri di
massa). Il potere bolscevico subisce un’altra sconfitta nei Paesi baltici. La Russia
era stata spossessata della sua sovranità su questi territori dal trattato di Brest
Litowsky. Secondo i termini dell’Armistizio di Rethondes, le truppe tedesche che
vi erano ancora schierate avrebbero dovuto evacuare la regione. Purtroppo, di
fronte alla minaccia di una invasione da parte dell’Armata Rossa, gli Alleati
rivedono la loro posizione ed in tale contesto, mentre vengono costituiti governi
indipendenti, i corpi franchi tedeschi riuniti in una divisione, hanno il compito di
costituire il bastione di difesa contro l’Armata Rossa, specialmente in Estonia ed
in Lettonia. In tal modo, il Baltikum (altro nome attribuito ai Corpi Franchi) con il
concorso di unità delle giovani repubbliche, riesce a respingere i tentativi russi.
Ma dopo la conquista di Riga a danno dei Russi, del 22 maggio 1919, la guerra
cambia di fisionomia. I Corpi Franchi si rivolgono contro gli alleati di ieri, con
l’obiettivo di far rientrare questi paesi nel campo della Germania, ma l’impresa
non sarà coronata da successo. Alle prese con gli eserciti della Lettonia e
dell’Estonia più coriacei del previsto, sotto la pressione degli Alleati, i Corpi
Franchi del Baltikum vengono richiamati in Germania, mentre una parte di questi
aderirà alle forze dei “Bianchi”.
La Polonia é il terzo fronte, dove i Bolscevichi subiscono uno scacco e dove si si
oppongono due ambizioni nettamente contrarie. Per i Russi, la Polonia costituisce
il punto di passaggio indispensabile per l’estensione della rivoluzione ad ovest e
più in particolare in Germania.. Dal lato polacco, avendo il Trattato di Versailles
lasciato nel vago la questione delle frontiere ad est, si trattava di ricostituire la
Grande Polonia di prima della spartizione del 1772. Il 6 maggio 1920 una
fulminate offensiva porta i Polacchi fino a Kiev. Ma questa vittoria risulta di
corta durata. L’altrettanto fulminante controffensiva dell’Armata Rossa
comandata dal generale Mikail Nicolaevic Tuchacewski (1893-1937), si spinge
fino alle porte di Varsavia. Per evitare alla Polonia un disastro lordo di
conseguenze per sé e per l’Europa la Francia, in particolare provvede a rifornire
di armi l’esercito polacco, affiancando anche una missione militare, guidata dal
generale Maxime Weygand (1867-1965). Recuperate le forze l’esercito polacco,
sotto la guida di Josef Pilsudski (1867-1935), vince verso la metà dell’agosto
1920 la battaglia di Varsavia e quindi lancia un contrattacco che respinge il
nemico a più di 400 chilometri. Il Trattato di Riga, del 18 marzo 1921, mette fine
alla guerra. Esso sanziona il fallimento da parte dei Bolscevichi di aprirsi la
strada verso la Germania. Da parte polacca, le frontiere orientali vengono
portate a più di 150 chilometri ad est della ipotizzata linea Curzon, inizialmente
tracciata dagli Alleati durante i negoziati di pace di Parigi ed includendo
popolazioni bielorusse ed ukraine.
Sul suo fianco sud ovest, la Polonia viene impegnata in un altro conflitto. Si
tratta dell’alta Slesia, disputata fra Germania e Polonia. Il Trattato di Versailles
aveva previsto un plebiscito per risolvere la questione. Il voto del 20 marzo 1921
attribuisce la maggioranza ai Tedeschi, ma in condizioni di forte dubbio. L’Alta
Slesia diventa, a quel punto, il teatro di uno scontro armato fra i Polacchi di
Wojciek Korfanty (1873-1939) ed i Corpi Franchi tedeschi. Il conflitto viene alla
fine risolto con un arbitrato internazionale che decide la spartizione della
provincia.
Ci si batte anche in Estremo Oriente. Prima ancora della firma del Trattato di
Sevres, Francesi, Italiani e Greci avevano iniziato a ritagliarsi alcuni lembi
dell’Anatolia. A questo quasi palese attentato all’integrità della Turchia, si oppone
una violenta reazione patriottica. L’esercito di Mustafà Kemal (1881-1938), si
oppone apertamente all’applicazione di queste disposizioni e si impegna in accaniti
combattimenti contro i Greci. La fortuna delle armi conosce anche dei rovesci.
Dopo aver subito una cocente sconfitta ad Inonu, i Greci avanzano sino alle
vicinanze di Ankara, ma nell’agosto 1922, dopo tre anni di scontri, Mustafà Kemal
riporta la vittoria decisiva, che ributta un milione e mezzo di Greci verso il mare,
dopo che le sue truppe ne hanno massacrato sul campo diverse decine di migliaia.
Il Trattato di Losanna, firmato il 24 luglio 1923, cancellando per gran parte
quello di Sevres, sanziona la fine di 25 secoli di presenza greca in Asia minore,
mentre i Turchi riprendono il controllo di Constantinopoli, della Tracia orientale e
dell’Anatolia.
I tempi supplementari si avviano ormai al loro termine. Uno dopo l’altro, i diversi
fronti si sono stabilizzati. Il fuoco cova ancora sotto la brace. Le soluzione
escogitate, spesso imposte hanno lasciato frustrazioni e risentimenti. 15 anni più
tardi, a partire dal 1938, essi si ritroveranno nuovamente sotto i proiettori
dell’attualità europea, fino allo scoppio della seconda Guerra Mondiale.
BIBLIOGRAFIA
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Grey Marina, Bordier Jean, Le armate bianche: Russia 1919-1921, Mondadori,
1971;
Le Breton Jean-Marie, Una storia infausta: l’Europa centrale e orientale dal
1917 al 1990, il Mulino, 1999;
von Salomon Ernst, I proscritti, Baldini & Castoldi, Milano, 2001