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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

Una vita di ricerche per conoscere chi sono.

  

ABDUL HAMID 2° e la sua politica religiosa, ovvero l’ultima possibilità dell’Impero Ottomano.

L'ultimo Sultano tentò di utilizzare l'islam per imporre la propria autorità e proclamarsi protettore dei musulmani. Ma la sua politica, studiata per porre un argine ai nazionalismi interni, non diede i risultati sperati.

Allorché Abdul Hamid II sale al trono nel 1876, l'ascendente dell'Europa sul mondo musulmano si è fortemente accentuato: Caucaso, Asia Centrale, Indie orientali, India inglese. Agli occhi dei mussulmani l'Impero ottomano appare più che mai come la sola grande potenza islamica, l'unica speranza di salvezza. Delegazioni ed ambasciate vengono a sollecitare l'aiuto del Califfo contro gli Europei, contribuendo in tal modo a mettere l'accento sulla dimensione islamica del potere ottomano. Nello stesso Impero, in risposta alla crisi di identità creata dalla precedente politica di secolarizzazione dei Tanzimat (le riforme fatte fra il 1839 ed il 1876), si comincia a parlare di "unione dell'Islam". La Costituzione ottomana del 1876 - promulgata tre mesi dopo l'ascesa al trono di Abdul Hamid - riconosce nel Sultano la funzione di Califfo Supremo dell'Islam e di Protettore della religione mussulmana: essa recita infatti che la sovranità ottomana riunisce "nella persona del sovrano il Califfato Supremo dell'Islamismo" e che il Sultano è "a titolo di califfo Supremo" il "Protettore della religione mussulmana".

Durante la disastrosa guerra russo-turca del 1877-78 l'Impero Ottomano, privo dei suoi alleati tradizionali, cerca un sostegno nel mondo mussulmano, ma né i tentativi di sollevare i correligionari del Caucaso, né gli sforzi per far entrare l'Afghanistan nel conflitto ottengono alcun risultato apprezzabile. Tuttavia, fenomeno nuovo legato allo sviluppo dei mezzi di comunicazione e soprattutto allo sviluppo della stampa, la guerra provoca, un po' dappertutto nel mondo mussulmano, uno slancio di solidarietà senza precedenti a favore del califfato.
Il Governatore Generale delle Indie comunica chiaramente le sue inquietudini al Foreign Office: se la Gran Bretagna non sostiene l'Impero Ottomano, si potrebbe temere nella colonia lo scoppio di una "guerra santa", la Jihad. Paradossalmente, all'indomani di una terribile disfatta per l'Impero, il Califfo d'Istanbul gode di un prestigio mai registrato nel mondo islamico. Abdul Hamid in tale contesto farà del califfato uno dei fondamenti della sua politica interna. Convinto che la religione costituisca una potente forza generatrice di unità e di solidarietà, egli vede nell'Islam la base di tutto "l'edificio politico e sociale" dell'Impero. Cosa che porta il Sovrano a tener conto, in prima istanza, dell'opinione dei suoi soggetti mussulmani e di inaugurare sotto il suo regno una vera e propria "politica del Califfato".
Questa opzione offre al Sultano i mezzi per rinforzare il suo potere personale. Essendo riuscito, a seguito della guerra, ad affermare la sua autorità politica mettendo in riga il Governo della Sublime Porta, egli utilizza il Califfato per dare una dimensione nuova - quella religiosa - alla sua autorità. Durante il suo regno verrà spesso citato un versetto del Corano: "O Voi che credete ! Obbedite a Dio, obbedite al Profeta e a quelli fra di Voi che detengono l'autorità!". 

All'epoca delle riforme Tanzimat, i burocrati occidentalizzati di Istanbul costituivano l'ossatura del potere. Ma il loro insuccesso - o quello che viene percepito come tale - spinge il Sultano a cercare altri sostegni o punti di appoggio nella società. Il Califfo si rivolge verso le classi medie mussulmane delle province, più tradizionaliste, generalmente ostili a riforme che hanno avuto come effetto quello di promuovere gli interessi stranieri, la borghesia non mussulmana e le missioni cristiane nei loro territori.
Un altro motivo spinge Abdul Hamid a mettere l'accento sul Califfato: l'Impero, per effetto della perdita delle province a maggioranza cristiana e delle ondata di immigrati dal Caucaso e dai Balcani, è diventato più mussulmano (i mussulmani sono ormai il 75%, prima del 1876 erano il 66%). Egli vuole pertanto appoggiarsi su questa maggioranza e rinforzare la sua unità, avvicinando in una comune identità Turchi, Arabi, Albanesi e Curdi. All'indomani della guerra, si sono verificati dei disordini proprio nel Kurdistan, in Albania, in Siria e anche nell'Hegiaz. Abdul Hamid vede in questi eventi i segni premonitori di un fenomeno che ha già preso piede nei Balcani da circa mezzo secolo: la nascita del nazionalismo. E' pertanto urgente individuare dei provvedimenti che si oppongano a questi movimenti centrifughi, in modo da opporre loro un principio sociale universale, unificatore e integratore. Questo principio sarà appunto il Califfato, strumento principe per l'unificazione dei mussulmani dell'Impero.
Nel giro di quattro anni, fra il 1878 ed il 1882, l'Impero ha perduto il controllo effettivo su dei territori coma le Bulgaria, la Bosnia Erzegovina, l'isola di Cipro, la Tunisia e l'Egitto. Il Sultano non perde occasione per riaffermare la sua autorità spirituale sui mussulmani di queste regioni, conservando in particolare il diritto di vedere pronunciato il suo nome nella grande preghiera del venerdì. Attraverso il legame califfale, questi territori continuano a figurare sulle carte ottomane. Il Califfato rappresenta inoltre anche una risposta ideologica al riflusso territoriale dell'Impero.

Abdul Hamid mette in opera tutto un simbolismo politico destinato ad evidenziare e ad accentuare la dimensione religiosa del suo potere. Nell'elenco dei titoli a lui assegnati, quelli religiosi prendono progressivamente un rilievo maggiore; nelle cerimonie ufficiali lo stendardo verde del Califfo viene mostrato accanto alla bandiera ottomana rossa ornata con un crescente d'argento.
Si tratta di diffondere una nuova immagine del sovrano; non più l'immagine "occidentalizzata" dell'epoca dei Tanzimat, ma quella di un sovrano virtuoso, giusto, semplice, generoso, che ha scelto di vivere recluso nel suo palazzo di Yildiz piuttosto che dedicarsi alle frivolezze dei suoi predecessori (partite di caccia, villeggiature). Insomma, un Sultano che rispetta scrupolosamente la religione, la morale, i buoni costumi, le tradizioni e che conduce una vita esemplare.
Ma perché la politica del califfato possa penetrare ed agire nella società mussulmana, occorrono anche nuovi mediatori. Abdul Hamid si appoggia agli Sceicchi e alle Confraternite religiose più popolari, in modo da stabilire un contatto più stretto con le masse. Chiamati a risiedere a Palazzo, questi dignitari religiosi, in maggioranza di origine araba, sono incaricati di organizzare a livello locale la politica del Califfato. L'editoria, la stampa e la scuola vengono mobilitate in favore del califfato, mettendo l'accento sul tema dell'obbedienza al Califfo. Mentre con i Tanzimat si era sviluppata l'idea dell'obbedienza alla legge, con il nuovo corso lo stato viene identificato con il Sovrano ed è alla Sua persona che si deve obbedienza.
Abdul Hamid, per legittimare la sua funzione, mette l'Hegiaz - la provincia dove si trovano i Luoghi Santi - al primo rango fra le province dell'Impero. Il Sultano intrattiene buone relazioni con lo Sceicco della Mecca (della casa degli Hashemiti), che divide localmente il potere con il Governatore inviato da Istanbul. Questi da inizio nelle città sante a lavori pubblici (asili per i poveri, ospedali, acquedotti), dispone distribuzioni di denaro, assicura la protezione dei pellegrini dagli attacchi delle tribù beduine. 
Nel 1900 Abdul Hamid lancia un grande progetto: la costruzione della ferrovia dell'Hegiaz, allo scopo di collegare Damasco alle città sante. Questa ferrovia, alla cui costruzione hanno contribuito i mussulmani del mondo intero, raggiunge Medina nel 1908.
In questo modo Abdul Hamid riesce a consolidare la presenza ottomana nell'Hegiaz, a mettere i Luoghi Santi al riparo da un intervento straniero e a preservare la legittimità del Califfo presso i mussulmani del mondo intero.

Ma questa politica suscita una certa preoccupazione in Europa, dove si teme che i Luoghi Santi possano diventare focolai di idee sovversive. L'Impero in deliquio - dove potrebbe prepararsi un complotto contro l'Europa e l'Occidente cristiano - suscita la cupidigia delle potenze europee. In alcune capitali si osserva con apprensione il ruolo delle Confraternite religiose mussulmane, che hanno lottato e continuano a lottare contro la dominazione coloniale, come ad esempio la Naqsbandiyya o Naqsbandi nel Caucaso, o la Senussia nel Nordafrica. Queste Confraternite dispongono di ramificazioni internazionali che si teme possano essere manipolate dal Sultano.
Gli europei temono infine l'arma della Guerra Santa, la Jihad: infatti Abdul Hamid potrebbe incitare i mussulmani delle colonie a sollevarsi contro le potenze coloniali.
All'indomani dell'introduzione del protettorato francese in Tunisia (1881), i Francesi denunciano gli sforzi intrapresi da Istanbul per mobilitare i mussulmani contro di loro. Ormai l'ossessione del panislamismo occupa le menti degli amministratori coloniali.
Forse Abdul Hamid sta preparando dietro le spesse mura del Palazzo di Yildiz una rivolta islamica mondiale? In effetti, anche se a Yildiz c'è uno stuolo di dignitari mussulmani, essi non formano un insieme coerente, ne tantomeno concorde; si tratta infatti di consiglieri "specializzati", ciascuno in un settore determinato, che lavorano ognuno per conto proprio. Non esiste fra di loro alcuna concertazione e non costituiscono in alcun modo una lobby islamica al servizio del Califfato. In definitiva non esiste una internazionale islamica ispirata dal Sultano!
Abdul Hamid in effetti si astiene dall'impiegare la Jihad, che rimane per tutto il periodo allo stato di minaccia, in quanto nella sua politica, tale elemento risulta più che altro un mezzo di intimidazione e di dissuasione. In pratica la Jihad non rappresenta altro che un "bluff" nella partita a poker giocata contro le grandi potenze.
Abdul Hamid invia Ulema, impiega le reti di collegamenti delle confraternite, fa distribuire copie del Corano, stimola i consoli ottomani, distribuisce medaglie allo scopo di guadagnare influenza sull'opinione pubblica mussulmana colonizzata, ricordando che l'Impero Ottomano è un grande stato mussulmano, di cui il Califfo è anche il capo spirituale
Il potere del Califfo e la potenza ottomana vengono così sovrastimati dalle popolazioni arabe dei territori coloniali, ma questo è proprio il gioco di Abdul Hamid. Egli dispone in tal modo di una carta vincente che può impiegare nelle relazioni con le grandi potenze, facendo loro sentire, "come sono forti i legami che uniscono fra di loro tutti i mussulmani".

Durante la lunga stagione dell'imperialismo coloniale la politica del Califfato appare quindi come la Weltpolitik di un impero povero, senza "commessi viaggiatori", senza flotta commerciale e soprattutto senza capitali. Una politica che ha contribuito a ritardare la nascita del nazionalismo turco dell'Impero, ma solo per poco tempo. La rivoluzione dei "Giovani Turchi" avviene infatti nel 1908.
L'accento posto sull'Islam contribuirà invece a rinforzare gli antagonismi fra le diverse comunità dell'Impero. E gli Armeni saranno i primi a farne le spese.
Puntando tutto sul Califfato, Abdul Hamid non cercò di incoraggiare una riforma dell'Islam. Pur creando numerose scuole moderne, egli sostenne anche le confraternite più ortodosse e più conformiste. Sotto il suo regno, gli sforzi per adattare l'Islam al mondo moderno non trovarono diritto di cittadinanza. E la politica del Califfato contribuì a radicare negli occidentali l'idea di un Islam reazionario.

BIBLIOGRAFIA
  • L'Impero Ottomano, di A. Bombaci e J.S. Shaw - Utet, Torino 1981
  • Storia dell'Impero Ottomano, a cura di R. Mantran - Argo Editrice, Lecce 1999
  • Il tramonto della Mezzaluna, di A. Rosselli - Rizzoli, Milano 2003

ABDUL HAMID II: IL SULTANO OTTOMANO CHE VOLEVA SALVARE L'IMPERO CON LA RELIGIONE (di Massimo IACOPI)
(Pubblicato su Rivista mensile Storia in Network n. 148 - febbraio 2009 con lo pseudonimo di Max Trimurti)

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