Bizantine al potere

BIZANTINE AL POTERE

(Pubblicato su Impero Romano d’Oriente - giugno 2007)

L’Impero bizantino offre un curioso terreno di osservazione sulla gestione potere al femminile. Ritratto di Imperatrici senza dolcezza.

Nell’Impero bizantino, erede dell’Impero romano, le donne hanno occupato spesso il primo posto. Esse venivano riconosciute come “Imperatore dei Romani”, in quanto, all’epoca, il potere si declinava al maschile, a prescindere dalla natura di colui che l‘esercitava.

In tale contesto la questione di verificare se la pratica del potere esercitato dalle donne nell’Impero si sia tradotta in un approccio differente, marcato da maggiore umanità, più sensibilità, più di indulgenza non ha ragione di essere. In effetti la donna al potere di Bizanzio è riconosciuta ed accettata nella misura in cui mostra gli … attributi, ovvero delle qualità virili !

Con questo lavoro ci ripromettiamo di esaminare la pratica del potere attraverso tre figure femminili che hanno profondamente marcato il loro tempo ed hanno richiamato l’attenzione dei cronisti: la prima Teodora, sposa dell’Imperatore Giustiniano 1° nel 523, Irene, l’autocrate dal 797 all’802 ed infine la seconda Teodora, Imperatore dall’842 all’856.

Queste tre donne presentano certamente dei punti in comune, ma hanno esercitato il potere in maniera differente: la prima in qualità di sposa, mentre le altre due in qualità di imperatore e d’autocrate.

La prima Teodora ha richiamato l’attenzione del cronista Procopio, un suo contemporaneo, che ne redige un curioso antipanegirico nella sua celebre “Storia Segreta” (1), a sua volta in forte contrasto con le “Guerre”, panegirico scritto in gloria dell’Imperatore Giustiniano.

Teodora nasce per alcuni in Siria, per altri a Creta. La sua famiglia si trasferisce in seguito a Costantinopoli, dove suo padre, un certo Akakios, ricopre la carica di Maestro degli Orsi. Alla sua morte egli lascia la moglie e tre figlie, fra le quali Teodora, nella più grande indigenza. Non appena Teodora raggiunge l’adolescenza, viene spinta dalla madre sulla scena della vita. Essa diventa una cortigiana, vendendo la sua bellezza e mostrandosi nuda senza alcun pudore. In tal modo essa ha l’opportunità di incontrare il nipote dell’Imperatore Giustino, Giustiniano, che aveva circa 38 anni. Teodora si trovava nella pienezza della sua bellezza. Disponeva di una grazia naturale eccezionale, di un bel volto equilibrato e degli occhi molto espressivi ed inoltre mostrava una grande finezza di spirito ed un umore decisamente allegro. Tutti questi tratti del personaggio sono ancora visibili nel celebre mosaico della Chiesa di S. Vitale a Ravenna.

Il nipote dell’Imperatore, colpito dal suo fascino, la prende per amante. Non volendola però mantenere in questa condizione, Giustiniano ottiene dall’Imperatore Giustino, suo zio, l’autorizzazione a sposarsi con l’antica cortigiana nel 523. Dopo la morte di Giustino, avvenuta nel 527, Teodora e suo marito, l’Imperatore Giustiniano 1°, vengono solennemente incoronati e la donna riceve il diadema imperiale e le acclamazioni della folla nell’ippodromo. La nuova basilissa, disponendo di uno spirito limpido ed acuto e di una grande fermezza di carattere, occuperà per circa 22 anni un ruolo particolarmente importante nel governo dell’Impero. Teodora arriverà a scrivere che “L’Imperatore non decide nulla senza aver sentito prima il mio consiglio” (2). Senza essersi particolarmente distinta per la sua ferocia, Teodora ha mostrato durante il suo potere una certa propensione alla durezza ed un vivo spirito di vendetta nei confronti dei propri nemici. Essa sapeva perfettamente che il potere si esprime prima di tutto con la fermezza. L’autocrazia di Teodora non conosce limiti, manifestandosi in particolar modo con una attenzione morbosa al rispetto dell’etichetta. Nei suoi spostamenti si fa accompagnare da un numeroso seguito, formato da membri dell’aristocrazia, da una guardia e da uno stuolo di servitori per più di 4 mila persone !!.

Nei momenti difficili Giustiniano può sempre contare sul fermo sostegno di Teodora, specialmente in occasione della Sommossa della Nika nel gennaio 532. “Se anche non ci sono speranze di salvezza al di fuori della fuga, io no fuggirò !” - queste sono le parole che Teodora rivolge al marito, che ipotizzava la possibilità di abbandonare la sua Capitale - “Colui che è stato incoronato con il diadema imperiale non deve temere la sua sconfitta. Se tu vuoi fuggire, parti ! Tu ne hai i mezzi, le navi sono pronte. Ma io rimango, io amo questo vecchio detto: la porpora è il miglior sudario  !!” (3).

Sul piano religioso Teodora era segretamente la protettrice del Monofisismo contro il Patriarcato (4). Giustiniano e Teodora non avranno prole, ma nessuno dei cronisti, molto attenti alle vicende prematrimoniali di Teodora, specialmente Procopio, non potranno citare neanche un esempio di condotta dubbiosa dopo il suo matrimonio. Per contro Teodora manifesta spesso il suo sostegno alle donne colpite dalla disgrazia. Grazie a lei, Bisanzio si mostrerà molto più clemente dell’Occidente nella sua legislazione femminile. Le legge bizantina permette alle donne di ereditare beni, autorizza il divorzio e punisce i seduttori, assimilati a dei criminali. Le case di piacere della Capitale vengono chiuse, i loro tenutari e prosseneti esiliati e per quanto concerne le prostitute viene assicurata la loro protezione e la loro rieducazione in un monastero specificamente concepito per tale esigenza.

L’influenza di Teodora rimane rilevante fino alla sua morte il 28 luglio 584 e Giustiniano rimane profondamente colpito dalla perdita di quella che considerava come “un dono di Dio”, parafrasi del suo nome.

Questa donna eccezionale ha profondamente marcato il regno di Giustiniano. L’esperienza acquisita nei bassi fondi di Costantinopoli le avevano dato il senso della realtà del potere e la facevano riflettere e valutare il destino unico che le era stato riservato. La donna sapeva che la pace dell’Impero dipendeva dalla capacità della coppia imperiale di federare in sé stessa le diversità delle Chiese. Fino a quando Teodora rimane in vita la pace religiosa dell’Impero rimane assicurata. La coppia imperiale riusciva con la sua azione a mantenere unita la Cristianità, allo stesso modo che Giano, per i Romani, impersonava nello stesso individuo la diversità e la contraddizione.

Molto differente da Teodora è il percorso dell’imperatrice Irene, che ha esercitato da sola la pienezza del potere imperiale, poco più di due secoli dopo di lei.

Agli inizi del 769, quando l’Imperatore Costantino 5° è alla ricerca di una fidanzata per suo figlio Leone, egli opera la sua scelta su una bellissima giovane ateniese, di nome Irene. Il 17 dicembre 769 Leone il Kazaro la sposa a Costantinopoli ed il 14 dicembre 771 Irene da alla luce un figlio, il futuro Costantino 6°. Qualche anno più tardi, il 14 settembre 775, alla morte di Costantino 5°, Leone 4° il Kazaro sale al trono e sua moglie Irene diviene imperatrice.

Il regno di Irene è segnato dalla disputa religiosa delle immagini sante, l’iconoclastia. Questo movimento considerava come idolatria la venerazioni delle immagini (icone) del Cristo, della Vergine e dei santi. L’influenza del monofisismo, che minimizzava l’aspetto umano dell’Incarnazione, spinge, specialmente gli imperatori dell’8° secolo a prendere dei provvedimenti contro il culto delle immagini. Ne segue un periodo di violenta persecuzione in nome della quale muoiono numerosi monaci rimasti fedeli alle icone. Questa situazione scatena una reazione che trova sostegno nell’imperatrice Irene, nata in Grecia, regione ostile all’iconoclastia, che, tra l’altro, era passionalmente iconofila, ovvero profondamente attaccata alle immagini sacre.

Nell’estate del 780 Leone 4°, suo marito, scopre nella camera della sua sposa due icone alle quali la donna era particolarmente devota e sulla base di questa scoperta decide di rompere con Irene. Ma neanche un mese e mezzo dopo, l’8 settembre 780, Leone 4° muore, lasciando il potere al suo giovanissimo (10 anni) figlio Costantino 6°, in nome del quale la madre, Irene, esercita la reggenza.

Il palazzo imperiale diviene il centro delle lotte di potere col pretesto dell’iconoclastia e del suo contrario. Viene ordite una congiura da parte di Gregorio, Luogoteta del Dromos (flotta), ma l’imperatrice reagisce con estremo vigore e Gregorio ed i suoi fautori vengono arrestati ed accecati per estrazione degli occhi, mentre i cinque fratelli di Costantino 5° sono invitati a prendere … abiti religiosi.

Irene, dopo una serie di epiche lotte e facendo anche fronte ai pericoli esterni rappresentati dalle incursioni arabe e bulgare, riesce a far condannare l’iconoclastia attraverso le decisioni (canoni) del 7° Concilio di Nicea, nel 787.

Nello stesso momento le dispute religiose bizantine vengono messo a profitto da Carlo Magno, che sarà a breve il restauratore dell’Impero d’Occidente. Nel 794, quello che è ancora il Re dei Franchi, riesce a far rigettare i canoni del 7° Concilio di Nicea da parte del Concilio di Francoforte (5). Questa disputa teologica non era in effetti che un semplice pretesto per preparare l’ascesa di Carlo Magno al trono imperiale.

Nel primavera del 790 Irene decide di allontanare il proprio figlio dal potere, nominandosi “Autocrate dei Romani” ed esigendo dalle forze armate il giuramento

di non appoggiare Costantino 6° fino a quando rimarrà in vita. In risposta a questa decisione Alessio Muzalon, il potente Stratega degli Armeniaci pone l’assedio alla capitale ed esige il ritorno al potere di Costantino. Irene, avendo sopravvalutato le proprie possibilità di successo in una guerra civile, viene abbattuta dalla reazione dell’esercito ed è costretta a cessare la lotta.

Tuttavia Costantino 6°, acclamato dalla truppa come unico imperatore nell’ottobre 790, riesce a deludere rapidamente i propri fautori ed in tale contesto nel gennaio 792, Irene riesce a farsi ristabilire al potere con il titolo di Augusta, coltivando segretamente anche la speranza di imporsi nuovamente in solitario al potere.

Tutti i mezzi a questo punto risultano buoni per conseguire lo scopo: alternando dimostrazioni pubbliche di pietà e di indifferenza, dolcezza e brutalità e sfruttando abilmente uno scisma provocato da proprio figlio, Irene riesce a coronare i suoi sforzi nell’estate del 797. Infatti il 15 agosto 797, all’età di 27 anni, Costantino 6° viene definitivamente detronizzato e accecato, secondo il barbaro costume dell’epoca, nella camera di porpora, la Porphyra, del palazzo imperiale. Irene diviene in tal modo la prima donna imperatore dell’impero Romano d’Oriente, ma il suo regno sarà molto sfortunato.

L’imperatrice, per mantenere e consolidare il suo ancora fragile potere, si lancia in una politica di concessioni fiscali a vantaggio della chiesa e del popolo, rovinando in tal modo le finanze pubbliche e proprio nel momento in cui si sviluppa una rivolta degli Slavi di Grecia, molto difficile da domare e si produce a Roma il 25 dicembre 800 un evento di particolare rilevanza: l’incoronazione di Carlo Magno da parte di Papa Leone 3° e la creazione del Sacro Romano Impero d’Occidente. Irene non riconoscerà il nuovo impero ma non potrà disporre di alcun mezzo per opporvisi.

Nell’autunno 802, il Luogoteta Niceforo, l’uomo più potente della corte, appoggiato da una congiura che riunisce alti funzionari di palazzo ed ufficiali superiori, rovescia la prima donna imperatore, esiliando Irene nell’isola di Lesbos, dove muore il 9 agosto 803. La caduta di Irene non provoca grandi lacrime neanche fra gli stessi monaci e la stessa chiesa, che pure erano stati profondamente gratificati dalla politica della basilissa.

L’ascesa al potere e la caduta di Irene, sottolineano la difficoltà dell’esercizio del potere da parte di una donna. Imperatore donna, la sovrana ha dovuto costantemente negoziare degli appoggi per garantire la continuità del suo potere. La sua perniciosa politica clientelare avrà come effetto la rovina dello stato che non sarà più in condizioni di affrontare le minacce esterne che pesavano sul destino dell’Impero.

Nel corso del 9° secolo, l’iconoclastia fa nuovamente la sua apparizione sotto l’imperatore Leone Bardas e sotto suo figlio Teofilo, ma ancora una volta l’ortodossia viene salvata da una donna la seconda imperatrice Teodora, vedova di Teofilo, divenuta Reggente nell’842. Nell’843 la sovrana fa eleggere Patriarca di Costantinopoli Metodio, partigiano delle immagini e farà persino istituire una festa solenne in onore delle immagini (6).

Nello stesso periodo l’imperatrice dà inizio ad una crudele repressione contro la Setta manichea dei Pauliciani, fiorente in Asia Minore (7) e molti Pauliciani vengono bruciati, affogati o crocifissi. Il ristabilimento dell’ortodossia in tale regione costerà più di 5 mila vittime ed il risultato negativo della ferocia di tali azioni viene attribuita anche al Luogoteta del Dromos, Theoktistos, un personaggio della corte che esercitava un grande ascendente sull’imperatrice vedova, di cui risultava il favorito. Si trattava, in effetti, di un uomo grossolano, violento, arrogante, autoritario ed un capo militare mediocre che era anche riuscito a perdere molte battaglie contro gli Arabi. Il potere di Theoktistos, provocando un grande malcontento in una larga parte dell’aristocrazia, contribuisce a scatenare, agli inizi dell’856, un sommossa orchestrata dal fratello dell’imperatrice, Bardas. Nella rivolta il luogoteta perde la vita, mentre Teodora è più semplicemente costretta a rinunciare alla reggenza.

Ad eccezione della prima Teodora, l’esame delle esperienze delle donne imperatrici, nell’esercizio del potere di Basilissa (Basileia), lascia una impressione di fallimento. La ragione è senza dubbio attribuibile all’organizzazione del governo che obbligava le donne-imperatori ad utilizzare, per sopravvivere, intrighi fra l’alta aristocrazia, gli eunuchi e gli alti funzionari al loro servizio.

Un secondo aspetto che emerge dalla loro azione è l’estrema crudeltà di cui queste donne si sono mostrate capaci: l’accecamento del proprio figlio per una e una ferocia senza limite per la seconda. Certamente in quel tempo la violenza rappresentava un tratto costante della società bizantina, tuttavia queste pratiche appaiono una metodologia inusuale presso donne, che evidenziavano un attaccamento del tutto particolare all’ortodossia.

Infine un ulteriore aspetto può essere evidenziato, la scomparsa di qualsiasi sentimento materno nel momento in cui è in gioco il potere.

Queste tradizioni bizantine sono durate nel tempo e si sono trasferite dopo il 1453, dalla seconda (Costantinopoli) alla terza Roma (Mosca), nell’eredità bizantina, di cui i Russi sono i depositari. Il 18° secolo russo è stato il secolo delle imperatrici, delle quali la più conosciuta è la zarina Caterina 2^. Di quest’ultima in particolare, “mutatis mutandis”, si sa per certo che ha complottato con il suo amante, il bel Principe Orlov, per eliminare il marito lo Zar (Cesare, imperatore) Pietro 3°.

Tanto a Bisanzio quanto a Mosca le donne al potere non hanno certamente portato più umanità degli uomini. Nessuna delle grandi riforme liberali condotte in questi grandi imperi è attribuibile all’opera di una donna. Forse tutto questo è dovuto anche al fatto che, presentando il potere delle caratteristiche di brutale virilità, anche le donne, per poter farsi largo in questo difficile ambiente, erano obbligate a dimostrare la disponibilità di adeguati … attributi o qualità maschili.

NOTE

(1) Procopio da Cesarea,  “Storia Segreta” e “Anekdota”;

(2) Dachkov S.B., “Imperatory Visantii”, Krasnaia Plochad, Mosca, 1995, tradotto in francese;

(3) Dachkov S.B., ibidem pag. 7

(4) Monofisismo, eresia cristologia, sviluppata dal monaco Eutichio, Archimandrita a Costantinopoli, avanzava la tesi che il Cristo non avesse che una sola natura, divina ed incorruttibile, da prima della sua incarnazione, perché “una volta il Verbo incarnato in Cristo, non resta più che una sola natura: l’umanità si fonde nella divinità”. Vedi Kaplan M., “La Cristianità bizantina dall’inizio del 7° alla metà dell’11° secolo, immagini, reliquie, monaci e monache, Costantinopoli e Roma”, Sedes, Parigi, 1997, pag. 15-16;

(5) Riché P., I Carolingi, una famiglia che ha costruito l’Europa, Hachette, Parigi, pag. 124-125

(6) Gouillard J., “L’eresia nell’impero bizantino dalle origini al 12° secolo”, De Boccard, Parigi, 1965, pag. 229-324

(7) i Pauliciani, che prendono il nome da San Paolo, hanno una interpretazione spiritualista della Bibbia a tendenza manichea. Per essi ci sono due divinità: un Dio severo dell’Antico Testamento ed un Dio buono del Nuovo Testamento; essi rifiutano il culto della Vergine e considerano che Maria é la Gerusalemme celeste nella quale Gesù è entrato da precursore. Essi ricusano anche il culto della croce, strumento di supplizio ed intendono per “croce” Gesù con le braccia aperte. I pauliciani avevano costituito un piccolo stato in Asia Minore, da dove effettuavano dei raids contro i villaggi bizantini. La loro capitale Thepriké venne conquistata con la forza nell’878 e l’eresia debellata.