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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

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Il brigantaggio in Umbria

I L   B R I G A N T A G G I O    I N    U M B R I A

(Pubblicato sulla pagina 16 del CORRIERE dell’UMBRIA del 7 gennaio 1994, con il titolo “Banditismo in Umbria: “Zigo” e “Tiburzi” gli ultimi briganti”)

In merito al servizio militare, la coscrizione obbligatoria nella regione ha una tradizione molto recente e tale condizione si è dovuta confrontare, perlomeno nella sua fase iniziale con il fenomeno della renitenza alla leva, naturalmente associato a quello più antico e diffuso del banditismo (brigantaggio) Questo fenomeno, certamente endemico in Umbria alla fine del 1400, giunge con alterne vicende fino alla fine del 1800, quando il moderno stato unitario riuscirà finalmente a stabilire con l’impiego di tutti i suoi mezzi, un soddisfacente controllo del territorio.

Scopo di questo lavoro è dunque quello di tracciare un profilo storico geografico del brigantaggio in Umbria e di ricordare qualche personaggio di spicco che, specie in epoca ottocentesca, ha vellicato non poco l'immaginario collettivo delle masse economicamente subalterne, individuandone le cause del suo insorgere e del successivo sviluppo, nonché le aree principali di diffusione nel territorio della regione.

Prima di procedere è forse opportuno effettuare una puntualizzazione sul significato dei termini "bandito" e "brigante" che, sebbene semanticamente distinti, sono oggi comunemente assimilati per definire la condizione del "fuori legge". Il Bandito era quel personaggio che, colpito da Avviso Pubblico ("Bando"), veniva allontanato dalla comunità o volontariamente se ne allontanava per motivi giudiziari od a seguito della sconfitta della propria fazione. Dunque il Bandito (fuoriuscito o confinato politico), il più delle volte condannato in contumacia, reietto dalla società, senza alcun diritto politico e civile ed anche ricercato, era costretto a vivere ai margini della comunità e non di rado, per pura sopravvivenza oppure per desiderio di rivincita e per recuperare la propria dignità, diventava "Brigante". Da qui l'assimilazione nel tempo dei due termini.

Temporalmente il fenomeno del banditismo umbro si situa fra la fine del 1400 (termine dell'epopea dei Capitani di ventura e dell'inizio del consolidamento della Stato della Chiesa) e la fine del secolo scorso, allorché l'Amministrazione del giovane Regno d'Italia riesce ad estendere capillarmente il controllo su tutto il territorio della regione.

Caduto a l'Aquila nel 1424 il sogno del consolidamento di uno stato braccesco con centro Perugia, lo Stato della Chiesa inizia sistematicamente una capillare azione per il recupero delle terre storicamente ad esso soggette ed in tale quadro procede al metodico smantellamento delle invero sparute signorie che avevano attecchito in Umbria (i Baglioni a Perugia, i Trinci a Foligno, i Vitelli a Città di Castello, i Bandini a Città della Pieve, gli Alviano nel sud della regione per citare i più significativi) e tale azione, pur tra mille difficoltà, si può considerare completata solo verso la fine del 1500. Concomitantemente prende vigore e si stabilisce in maniera patologica il fenomeno del brigantaggio in Umbria le cui cause primarie possono essere ricondotte sostanzialmente alle seguenti, distinte per periodo storico.

Nel periodo delle autonomie locali e delle Compagnie di Ventura (secolo XV) il brigantaggio viene alimentato da:

- contadini cacciati dalle loro case (saccheggiate e bruciate dai venturieri) che diventano briganti o soldati di ventura per necessità e sopravvivenza;

- ex venturieri, non più abili a servire nelle compagnie, che si riducono ad un brigantaggio "di passo" poco rischioso e  molto redditizio, sostanziato essenzialmente da rapine, grassazioni e furti;

- banditi (confinati politici o fuoriusciti), pieni di odio e di rancore, che effettuano azioni di saccheggio o da predoni sulle poche vie di comunicazione allora esistenti;

- elementi, avidi di ricchezza e di denaro, che si accodavano agli eserciti regolari nei saccheggi (Saccardi), attratti dalla prospettiva di facili guadagni e dalla possibilità di modificare sostanzialmente la loro condizione sociale.

Nel periodo del governo temporale della Chiesa (secoli XVI, XVII e XVIII), mentre tendono a scomparire le prime due categorie sopraelencate, si determinano ulteriori cause che alimentano sostanzialmente il fenomeno del brigantaggio:

- nobili spodestati dalla Chiesa che mal si adattano al controllo   del potere centrale e soprattutto alla perdita dei propri privilegi;

- l'applicazione da parte di Papa Paolo III della Tassa sul Sale (1539), che dà origine ad una serie di violente reazioni ed a conseguenti sanguinose repressioni;

- il malgoverno ed il pesante fiscalismo pontificio che riducono alla fame il ceto legato alla terra.

Va sottolineato il fatto che con Papa Paolo III inizia (1540), con il recupero "manu militari" al potere pontificio della città di Perugia, l'azione sistematica per il controllo del territorio, ma tale iniziativa provoca una generale violentissima reazione. Con Papa Pio V, a partire dal 1570, vengono adottate iniziative più efficaci nella lotta contro il brigantaggio fino alla nomina di un Commissario Straordinario nella persona del nursino Candido Zitelli. La successiva energica azione di Papa Sisto V e specialmente quella di Papa Clemente VIII, sul finire del 1500, ottengono un soddisfacente controllo del territorio ed una drastica riduzione del fenomeno.

Nel periodo post - unitario il banditismo umbro fa un'ulteriore recrudescenza la cui cause di base, oltre ad alcune storicamente intrinseche già elencate, sono basicamente legate a:

- introduzione da parte del governo nazionale - dopo 400 anni circa - della coscrizione obbligatoria che determina l'insorgere di un considerevole fenomeno di renitenza alla leva e che costituisce "humus" favorevole alla ripresa del banditismo endemico; Il fenomeno della renitenza alla leva, che preoccuperà non poco le autorità provinciali di allora, sarà decisamente combattuto con tutti i mezzi e la sua normalizzazione a livelli decisamente accettabili sarà una delle concause del declino definitivo del fenomeno del brigantaggio nella regione;

- eccessiva pressione fiscale sulle classi più deboli;

- reflusso post - unitario rappresentato da elementi ex - garibaldini non integrati (per motivi di indegnità o penale) nell'Esercito regolare ed ex - papalini venutisi a trovare nelle condizioni di disoccupati.

- comparsa di una forma di banditismo dalla labile connotazione "sociale", che ottiene inizialmente un certo successo psicologico nelle masse diseredate.

Ma il brigantaggio in Umbria, nonostante le cause sopraelencate, non avrebbe avuto alcuna possibilità di attecchire e proliferare se non ci fossero state le condizioni storiche e geografiche per il suo sviluppo. Per dirla con le parole di Mao Tse Dong "il guerrigliero si deve confondere con il mezzo in cui vive e deve essere come il pesce nel suo elemento naturale (l'acqua)"; questo significa che l'uomo che "vive alla macchia" deve essere "omogeneo" con l'ambiente in cui vive (condizione per mimetizzarvisi) e deve sapere utilizzare al meglio le risorse favorevoli che lo stesso mezzo offre.

Ebbene il banditismo trova in Umbria le condizioni storico - ambientali ideali, perché il brigante è un'autoctono e di norma proveniente dal ceto sociale subalterno e le condizioni geografiche sono estremamente favorevoli. Fino in tempi recenti, infatti, la regione era attraversata da poche vie di comunicazione principali e la maggior parte del territorio era rappresentata da zone montuose o di alta collina, fittamente boscose, disabitate e di difficile percorribilità. Per completare il favorevole quadro geografico si aggiunga che sotto lo Stato della Chiesa l'Umbria confinava, nella zona di Gualdo - Gubbio (almeno fino alla metà del 1600) con il Ducato d'Urbino; nella zona di Norcia - Cascia con il Regno di Napoli; nella zona del Tifernate con il Granducato di Toscana ed il Marchesato indipendente dei Bourbon del Monte Santa Maria; nella zona del Perugino - Orvietano con il Granducato di Toscana.

In sostanza il terreno montuoso della regione, impervio e boscoso, favorevole all'occultamento, coniugato con la vicinanza a confini con stati limitrofi verso i quali fuggire in caso di necessità, rappresenta il substrato ideale per lo sviluppo ed il mantenimento di attività "illegali".

In tale contesto le zone storiche umbre legate al banditismo sono sostanzialmente le seguenti:

- l'area montuosa dello spoletino - nursino, verso l'Abruzzo;

- l'area preappenninica della montagna di Assisi ed appenninica del gualdese - eugubino e di Pietralunga, verso le Marche, finitima al Ducato d'Urbino;

- l'area collinare tifernate - perugina, verso la Toscana, finitima allo Stato dei Bourbon del Monte ed al Granducato di Toscana;

- l'area montuosa e boscosa a sud del Trasimeno e dell'orvietano, verso Lazio e Toscana, perché finitima al Granducato di Toscana e quella boscosa dell'Alfina nell'orvietano dopo l'Unità d'Italia, perché vicina allo Stato della Chiesa;

- l'area montuosa del complesso dei Monti Martani (di minore importanza rispetto alle altre).

L'area di gran lungo più importante per il brigantaggio umbro, specie nel XVI e XVII secolo, è quella spoletino - nursina che, isolata dalle principali vie di comunicazione, carente di strade di arroccamento e di penetrazione, montuosa, fittamente boscosa, inaccessibile ed a volte inospitale, ha rappresentato per almeno due secoli una grossa spina nel fianco dell'amministrazione papale. Per ottenere il controllo dell'area il Governo pontificio sarà costretto ad utilizzare a più riprese forze dell'Esercito e ad aprire numerose strade di accesso, di cui l'ultima in ordine di tempo é la via Nursina nel 1855.

Un notevole rilievo vengono ad assumere per l'ampiezza del fenomeno brigantaggio, rispettivamente nel XVII e nel XVIII, l'area orvietana e quella gualdese - eugubina per il concomitante fenomeno della renitenza alla leva.

Vale la pena, per stigmatizzare l'ampiezza di quest'ultimo aspetto, citare i dati desunti dalla Gazzetta dell'Umbria del novembre 1869 dove, a seguito dell'intervento dell'Esercito nella zona di Gubbio, Montone, Pietralunga, per l'arresto dei numerosi renitenti alla leva, viene sgominata la Banda di Sante Granci detto "Zigo" e vengono più o meno assicurati alla giustizia ben 453 renitenti alla leva, secondo questa significativa sequenza: 283 arrestati il 4 novembre 1869, 386 il giorno 8 seguente e 453 il 20 dello stesso mese, alla conclusione delle operazioni.

Ed ora prima di concludere pare opportuno ricordare rapidamente i nomi di alcuni briganti umbri che hanno avuto un tempo una certa notorietà: Francesco Alfani ed Alfonso Piccolomini nell’area perugino – tifernate nel 1500; i Brunamonti, Petrone di Vallo di Nera, Girolamo Brancaleoni detto “Picozzo”, Petrino Leoncilli ed Antonio Martani, attivi fra il 1500 ed il 1600 nell’area spoletino – nursina; Biscarino e Tiburzi nell’area orvietana nel 1800 e Nazareno Guglielmi detto “Cinicchio o Cinicchia” ed il già citato “Zigo” nell’area assisana - gualdese - eugubina, sempre nel 1800. Con la eliminazione della Banda di "Zigo" nell'eugubino e la successiva distruzione di quella di Tiburzi nell'orvietano, ha inizio la fine del banditismo in Umbria e nel marzo 1901 a Coccorano di Valfabbrica viene catturato in una stalla da una pattuglia di 14 carabinieri quello che per la cronaca è l'ultimo dei briganti della regione.

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