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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

Una vita di ricerche per conoscere chi sono.

  

La conquista Araba dopo Maometto

LA CONQUISTA ARABA DOPO MAOMETTO

 

(Pubblicato con il titolo “Mussulmani in Siria, Egitto, Iran e Maghreb” sul Forum della rivista www.graffiti-on-line.com - del giugno 2008)

In meno di quaranta anni, come un’onda di marea, i mussulmani si impadroniscono della Siria, dell’Egitto, dell’Iran e del Maghreb, distruggendo le più venerabili civilizzazioni. Nel secolo seguente raggiungeranno anche l’India.

Ragioni di un vero e proprio cataclisma

Nel 7° secolo dopo Cristo appena qualche decennio basta ai cavalieri arabi, fanatizzati dalla predicazione di Maometto, per conquistare un immenso spazio, dalle rive atlantiche del Marocco alla valle dell’Indo e dalle steppe dell’Asia Centrale alle “vegas” andaluse.

A mala pena usciti dall’Arabia quelli, che i Persiani chiamavano con sufficienza “i mangiatori di lucertole”, distruggono delle antichissime e ricche civiltà, dopo aver sbaragliato le armate che gli si sono opposte. Spingendo sempre più lontano i limiti delle loro razzie, gli Arabi arrivano ad imporre la legge del Profeta alle popolazioni soggiogate.

La rapidità folgorante di questa espansione è semplicemente impressionante dal momento che essa si realizza in situazioni notevolmente differenti.

Il comune denominatore della conquista va ricercato nella superiorità militare di una cavalleria leggera molto mobile ed operante in maniera largamente autonoma.

Rispetto alla fanteria degli Indiani o ai cavalieri pesantemente corazzati delle armate bizantine e sassanidi, gli invasori, venuti dal deserto, danno un altro ritmo alla guerra, concepita essenzialmente come dei “raids a lungo raggio”. Combinando le tradizione bellicose dei nomadi ed il fanatismo religioso che ormai li anima, l’espansione mussulmana viene così a scombinare l’ordine mondiale ereditato dall’antichità per costruire un mondo che Maometto, morto nel 632, non avrebbe mai potuto immaginare.

La rapidità della conquista si spiega anche attraverso altre importanti ragioni, estranee alla semplice superiorità militare dei vincitori.

La crisi degli Imperi persiano e bizantino, che si sono spossati a vicenda (mutualmente) in una serie di incessanti lotte nel corso degli anni che precedono l’arrivo degli Arabi e le rivalità che dividono profondamente l’aristocrazia dei Visigoti, nella Spagna, avranno un peso fondamentale, nel 711, sulle rive del Rio Guadalete. Inoltre le dispute religiose in atto in numerose altre regioni sono altrettanti buoni motivi che hanno in misura significativa determinato il clima favorevole al successo dell’invasione.

In particolare Nestoriani[1], Monofisiti[2] o aderenti al “Credo di Nicea”[3] si contrastano ferocemente in Oriente e i copti egiziani accolgono inizialmente i mussulmani come dei liberatori, la cui dominazione appare preferibile a quella degli odiati Bizantini. Nella penisola iberica, l’eredità dell’Arianesimo[4] facilita l’accettazione della nuova religione e gli ebrei, perseguitati dalla monarchia visigota nel nome di una unità religiosa del regno, accolgono favorevolmente Tarik e Mussa, i due capi arabi conquistatori della Spagna.

Infine certe altre categorie sociali - come i Paria o gli Intoccabili in India, i seguaci dell’eresia donatista[5] in Africa del Nord – ebbero in effetti la sensazione di aver cambiato solo di padrone con l’arrivo dei nuovi conquistatori arabi.

In particolare all'interno dell'Oriente cristiano bizantino - che era separato da Roma - vi erano appunto i Monofisiti ed i Nestoriani : dei Cristiani semiti che vivevano sotto influenza culturale e linguistica bizantina.

Prima e dopo l'Islam, una serie di continui ed insanabili dissidi di tipo sociale, religioso, politico e razziale, tra Bizantini e Monofisiti da una parte, e tra Persiani e Nestoriani dall'altra, aveva prodotto un profondo scollamento delle comunità cristiane autoctone.

L'indebolimento delle strutture societarie di quelle popolazioni, inoltre, si inscriveva in un drammatico contesto di continue e costanti vessazioni erariali, sottomissione e tirannie varie, esercitate per più di mille anni dai Greci, i Romani, i Persiani ed i Bizantini.

In quella situazione, gli autoctoni cristiani si trovarono psicologicamente pronti ad accogliere come liberatore, un qualsiasi conquistatore che li potesse affrancare da quella millenaria oppressione. A maggior ragione, se l'eventuale conquistatore fosse stato di razza, di lingua e di cultura semita. Era quindi normale che gli autoctoni cristiani accettassero di buon grado i conquistatori arabo - musulmani che, in definitiva, erano molto più affini alle loro tradizioni culturali di quanto lo erano stati fino ad allora i Greci, i Romani, Persiani, o i Bizantini. Non dimentichiamo, inoltre, che quella nuova religione - l'Islam - possedeva delle similitudini con l'Arianesimo, il Monofisismo ed il Nestorianesimo, ed era contemporaneamente e nettamente in contrasto con il Difisismo bizantino[6]. Inoltre Quei Cristiani pensavano, a torto, che l'Islam li avrebbe senz'altro affrancati e redenti dalla tirannia bizantina che - benché cristiana - era da loro esclusivamente percepita come imperialista e straniera.

Conquista della Persia Sassanide

Fondato nel 224 da Ardeshir sui territori dell’antico Iran, l’Impero Sassanide aveva raggiunto il suo apogeo sotto il regno di Cosroe 1° (531 – 579) dopo aver esteso il suo dominio sino al Caucaso a la Bactriana. Ad ovest si confrontava con l’Impero Romano sulla frontiera dell’Eufrate, mentre verso sud era protetto da uno stato cuscinetto, dei Lakmidi di Hira, che sorvegliava le tribù razziatrici del deserto d’Arabia. All’inizio del 7° secolo Cosroe 2° aveva conquistato Antiochia, Gerusalemme e l’Egitto, spingendo le sue armate fin dentro l’Asia minore, dove viene duramente respinto dalla reazione dell’Imperatore Eraclio di Bizanzio.

Pertanto l’impero Sassanide, al momento dell’arrivo dei cavalieri di Profeta, risulta, almeno apparentemente, una potenza considerevole, erede della tradizione dei grandi Re Achemenidi. In realtà bastano agli Arabi appena tre giorni di combattimenti per riportare nel 637 la decisiva vittoria di Al Qadisiya. I successi successivi si concatenano con estrema rapidità fino alla definitiva sconfitta di Nehavend del 643. La caduta di Ctesifonte, la capitale sassanide precede di poco quella di Ninive, che permette agli invasori l’acquisizione del completo controllo della Mesopotamia. Nello spazio di qualche anno la Persia cessa di esistere come stato, segnando anche la scomparsa della sua religione di stato il Mazdeismo[7] o Zoroastrismo. La facilità e la rapidità della conquista può essere spiegata con la crisi militare dell’impero sassanide, il cui esercito, costituito in larga parte da mercenari, viveva essenzialmente sul bottino razziato nelle regioni di frontiera e che quindi non era in condizioni di condurre a lungo una lotta, specie sul proprio territorio. Inoltre la perdità dell’unità religiosa dello stato, dovuta alla forte espansione del manicheismo[8], nonché all’accoglienza favorevole riservata ai numerosi cristiani nestoriani cacciati dall’impero bizantino, è stato certamente un fattore di debolezza nella coesione e nella capacità di resistenza interna.

La conquista mussulmana determina la distruzione della civiltà persiana tradizionale e quella del Mazdeismo (Zoroastrismo), la religione nazionale, di cui la maggior parte delle fonti, tra le quali i tre quarti dell’Avesta, attribuiti a Zoroastro, sono andati perduti. Ma la Persia non doveva tardare molto a prendersi una rivincita sui suoi invasori ed allo stesso modo che la Grecia conquistata arriva a dominare culturalmente i Romani, i Persiani riusciranno a mantenere la loro identità  sotto la nuova dominazione che per certi aspetti ne verrà trasformata. Infatti allorché il centro di gravità del mondo mussulmano si sposta, nel 750, dalla Damasco Omeyyade alla Bagdad degli Abbassidi, il califfato verrà ad ereditare in larga misura quella che era stata la struttura statale sassanide, fattore che contribuirà grandemente alla potenza ed allo splendore della capitale di Harun al Rachid e di Al Mamun. Da quel momento basterà poco tempo affinché la lingua persiana torni a sostituire l’arabo sull’altipiano iraniano ed attraverso l’opera di Avicenna, gli splendori di Isfahan o dei poemi di Omar Khayyan, o delle miniature sefevidi, la Persia produrrà un gran numero di pregevoli realizzazioni, fra le più rimarchevoli della civiltà mussulmana e manterrà nel corso dei secoli una potente identità.   

Conquista della Siria della Mesopotamia e dell’Egitto

Praticamente contemporanea alla vittoria sulla Persia sassanide, la lotta degli Arabi contro l’Impero bizantino non porterà alla scomparsa di quest’ultimo ma ne ridurrà sensibilmente e pericolosamente lo spazio teritoriale che aveva mantenuto ad Oriente. Bisanzio, vincitrice con l’Imperatore Eraclio sui Sassanidi, si è fortemente indebolita nel corso di questa lotta prolungata. Inoltre le divisioni religiose interne hanno contribuito grandemente a minare l’autorità del Basileus, incoraggiando le aspirazioni separatiste della Siria e dell’Egitto.

Gli Arabi, eliminando lo stato cuscinetto dei Ghassanidi, penetrano nel 634 nel territorio dell’Impero d’Oriente ed il 20 agosto 636 Khalib ibn Walid batte le forza bizantine in Siria, sulle rive dello Yarmuk. A seguito della sconfitta Gerusalemme e Damasco cadono nel 638 nelle mani degli Arabi e nel 640 vengono occupate la Mesopotamia e l’Armenia bizantina (Alessandretta l’odierna Iskenderun). L’anno seguente, la morte di Eraclio e la crisi per la successione affievoliscono ulteriormente Bisanzio, proprio mentre gli Arabi stanno realizzando la conquista dell’Egitto. Infatti a partire dal 640 hanno stabilito all’inizio del delta del Nilo il campo di Al Fustat, che darà poi vita al Cairo. Nel 642 occupano per la prima volta Alessandria d’Egitto nella quale si installano definitivamente a partire dal 646. In direzione dell’Asia Minore gli invasori avanzano sino ad Amorium nel 647 e cercano di occupare Cipro. Nel periodo successivo Rodi, Cos e Creta vengono saccheggiate e la giovane flotta araba riporta, nel 655, persino una vittoria navale importante sui Bizantini sulla costa della Licia.

L’assassinio del 3° Califfo Othman e la lotta per la successione al Califfato fra Alì, il cugino di Maometto e Muawiya, figlio di Abu Sufyan della Mecca, impongono fra il 656 ed il 661 un forte rallentamento all’espansione mussulmana, il cui ritmo, specie in Asia Minore, riprende rapidamente dopo la vittoria degli Omeyyadi, tanto che la stessa Bisanzio viene assediata a più riprese. Le sue solide mura e l’uso del famoso fuoco greco salvano la capitale bizantina e il 678 segna la momentanea fine dei successi mussulmani in tale direzione.

L’impero di Bisanzio, minacciato tra l’altro anche dagli Slavi nei Balcani, dopo la tempesta ha potuto conservare la maggior parte dell’Asia Minore ma ha irrimediabilmente perduto la Siria, la Mesopotamia e l’Egitto.

I mussulmani assaltano nuovamente Costantinopoli, senza successo, nel 711 e 718 e solo a partire dal 740 la minaccia araba sulla città verrà definitivamente scongiurata. Occorrerà almeno un secolo a Bisanzio per poter riprendere l’iniziativa. Di fatto la ripresa di Bisanzio, coincidente con l’apogeo del regno della dinastia macedone, apre un nuovo capitolo dello scontro con i mussulmani, stavolta marcato dalla metodica riconquista del terreno perduto in Oriente. Il Basileus Niceforo Focas, riprendendo nel 961 l’isola di Creta, rimasta sotto il potere arabo per un secolo e mezzo, distrugge un pericoloso nido di corsari. A fronte dei combattenti della Jihad, il sovrano bizantino ha ottenuto che i suoi soldati, morti combattendo contro i mussulmani, possano essere considerati come dei martiri, aprendo così la via all’ideologia delle crociate.

Cipro e la Cilicia vengono riconquistate e Niceforo Focas riesce a riprendere nel 969 anche Antiochia ed Aleppo, dopo tre secoli di occupazione araba. Qualche anno più tardi, fra il 974 ed il 975, Giovanni Tzimisces condurrà l’esercito bizantino fino a Damasco, S. Giovanni d’Acri, Sidone e Beirut, ma tali riconquiste non saranno definitive, in quanto un nuovo soggetto mussulmano, i Turchi Selgiucidi, verrà a rilevare il testimonio lasciato dagli Arabi, rinnovando con vigore la spinta espansiva.

Questi infatti intervengono in Asia minore nell’anno 1000 e la sconfitta subita da Bizanzio il 19 agosto 1071 a Mantzikert, nel Curdistan, apre una nuova pagina della storia dell’Oriente nel quale un nuovo popolo, alfiere dello stendardo del Profeta, metterà fine quattro secoli più tardi all’Impero Romano d’Oriente e dal quale lo stato ottomano, installandosi sulle rive del Bosforo, recupererà molte delle tradizioni.

Conquista dell’Africa del Nord

Riconquistata dai Bizantini all’epoca di Giustiniano, l’antica Africa del Nord romana, costituiva una terra di conquista per gli invasori arabi, giunti fino a Tripoli già dal 643. La fine della civiltà romana aveva determinato l’invasione di Vandali, il ritorno delle tradizioni berbere nelle campagne ed inoltre l’assenza di autorità dei governatori di Bisanzio, il più delle volte in rivolta contro il potere centrale, lasciava l’area senza una vera coesione politica, facilitando così la conquista araba. Dopo una prima razzia nel 647 ed il periodo di stasi susseguito all’assassinio del Califfo Othman, l’Africa de Nord viene nuovamente attaccata dagli Arabi nel 655. Nel 660 Okba ibn Nafi fonda in Tunisia la piazzaforte di Kairouan e nel 681 lo stesso comandante raggiunge fugacemente anche le coste dell’Atlantico e la valle dello Chelif in Marocco.

La conquista dell’Africa da parte degli Arabi però non presenta le stese caratteristiche di rapidità osservate in Mesopotamia, in Persia, in Siria ed in Egitto. I Berberi del Maghreb resistono gagliardamente ed arrivano persino a conquistare per breve tempo anche Kairouan.  Ma alla fine sono battuti e nel 698 la Cartagine bizantina viene occupata. Questa sarà rimpiazzata da Tunisi per la sua posizione meno vulnerabile ad un attacco navale nemico. Ma la rivolta berbera non demorde, Un nuovo capo locale si impone, il celebre Kahina, che dopo lunghe lotte verrà inesorabilmente battuto. Solo nel 705 Mussa ibn Noçair, Governatore dell’Ifrikia, praticamente indipendente dall’Egitto, riesce a sottomettere tutto l’ovest del Maghreb, il Marocco, da Tangeri a Sidjilmassa.

Sebbene rapidamente islamizzato, il Maghreb oppone nondimeno una ulteriore resistenza originale. Infatti diviene in grande maggioranza seguace del Karigismo (“uscire”), una ala scissionista dell’Islam, vicina agli Sciiti, uscita dai partigiani di Alì, 4° Califfo, cugino e genero del Profeta. I Karigitiescono” appunto dalle file degli Alidi (seguaci di Alì), perché rimproverano al Califfo Alì di aver accettato un compromesso con il suo avversario Omeyyade Muawiya. Professanti un puritanesimo ugualitario, i Karigiti affermano che ogni mussulmano può diventare Califfo e che non c’è bisogno a tal fine di essere un discendente del sangue del Profeta. Essi diventano gli alfieri dei nuovi convertiti scontenti della pressione fiscale che viene loro imposta dalle famiglie dei “vecchi credenti” arabi discendenti dei conquistatori e detentori del potere reale.

In una nuova rivolta nel 740 un armata araba viene distrutta dai Berberi marocchini che, due anni più tardi, si ripetono contro un nuovo esercito inviato contro loro dalla Siria. Il Governatore dell’Egitto riesce a salvare Kairouan e la rivolta vincente dà origine ai regni di Tiaret e Tlemcen. La reazione non si fa però attendere e nel 772 le forze egiziane battono finalmente i ribelli in Tripolitania, ma non ottengono alcun risultato nel Maghreb, che da questo momento sfuggirà a qualsiasi controllo del califfo abbasside di Bagdad.

La volontà di indipendenza del Maghreb persiste anche nel periodo successivo e si esprime all’inizio del 10° secolo con la fondazione da parte di Obeid o Ubaid Allah del califfato sciita fatimide, che si appoggia sulle tribù sciite della Piccola Cabilia. Questi peraltro deve far fronte ad un ultimo sussulto del Karigismo con la rivolta di Abu Yazid “uomo dell’Asino”, vinto infine nel 947.

In conclusione, sebbene la massa dei Berberi sia stata rapidamente guadagnata all’Islam, del quale adotta una lettura rigorosa con il Karigismo ed il Malekismo sunnita, nondimeno la popolazione del Maghreb, etnicamente diversa dagli Arabi conquistatori, ha voluto mantenere una propria identità ed una forte volontà di indipendenza rispetto ai conquistatori orientali.

La Spagna: “Conquista” e “Reconquista”

Decisamente più rapida di quella dell’Africa del Nord, la conquista della Spagna da parte degli Arabi è stata facilitata dalla crisi profonda che attraversava allora il regno dei Visigoti. Nel breve spazio di qualche anno Tarik e Mussa si impadronisco di quasi tutta la penisola iberica ad eccezione dei ridotti montani dei Baschi e delle regioni della Cantabrica e delle Asturie, considerati dagli stessi invasori di difficile accesso e soprattutto di scarso interesse economico. Superando i Pirenei gli invasori raggiungono Tolosa, dove vengono fermati, saccheggiano Bordeaux, si spingono in Borgogna e nel 725 giungono a Sens, poco distante da Parigi. Nel 732 vengono infine fermati a Poitiers dalla cavalleria pesante austrasiana di Carlo Martello. Poco più di vent’anni saranno sufficienti ai Carolingi per ricacciare gli Arabi al di là dei Pirenei e nel 9° secolo viene quindi costituita la Marca di Spagna che darà origine alla Catalogna e che costituirà una delle basi di partenza della futura “Reconquista”. Di fatto la riconquista della Spagna non muoverà i suoi passi significativi prima dell’11° secolo. In ogni caso la maggior parte della penisola iberica, dall’inizio dell’8° secolo, si trova sotto la dominazione arabo - mussulmana. Fino al 10° secolo i cristiani “Mozarabi” - che parlano vivono e si vestono alla maniera degli Arabi - rimangono maggioritari nell’insieme di Al Andalus e la minoranza dominante, derivata dai conquistatori, accorda loro - come agli Ebrei, l’altro popolo del Libro - lo statuto del Dhimmi, di “protetti”, tollerati e sottomessi ad una serie di discriminazioni e ad una tassa speciale, ma liberi di continuare a praticare la loro religione entro certi limiti.

Questa relativa tolleranza d’altronde, non dura oltre l’11° secolo quando un nuovo Islam da combattimento, diverso dalle raffinatezza della civiltà andalusa, viene imposto dai nuovi invasori Almoravidi o Almohadi, venuti dal deserto mauritano e dalle montagne dell’Atlante.

Peraltro nello stesso periodo la crescita di potenza dei regni cristiani del nord, appoggiati da un Occidente in piena ripresa, consente di respingere metodicamente la presenza mussulmana. Alla fine della Grande Reconquista del 13° secolo, il piccolo Regno di Granada non è altro che l’ultima vestigia di Al Andalus dei grandi Califfi Omeyyadi di Cordova, che sarà definitivamente sradicato dalla Spagna alla fine del 15° secolo, nel 1492, quando Boabdil, ultimo Califfo, consegnerà ai Re Cattolici l’ultimo avamposto di Granada.

La confrontazione nella penisola iberica conoscerà un ultimo strascico nell’episodio nel 17° secolo che vede l’espulsione dalla Spagna di una minoranza moresca, rimasta attaccata alla tradizione mussulmana e pertanto considerata non assimilabile.

Espansione verso l’India

Al di là dell’altipiano iranico i conquistatori arabi - che hanno superato l’Amu Daria, presso Samarcanda e affrontato nel 751 una armata cinese dell’imperatore Tang sul fiume Talas - sono penetrati nello spazio indiano a partire dell’inizio dell’8° secolo. Il Sind, che corrisponde al bacino inferiore dell’Indo, viene conquistato nel 710, ma i nuovi arrivati, sebbene arrivati a Multan nel Punjab, non sono in condizione di dominare completamente l’area (tanto da accordare straordinariamente lo statuto di Dhimmi agli Indù, pur non facenti parte dei popoli del Libro), né, ancor peggio, di proseguire. La ridotta consistenza dei loro effettivi non consente per il momento di affrontare il deserto del Thar, che si estende all’est dell’Indo e soprattutto gli agguerriti eserciti dai Rajah locali, appoggiati da elefanti di guerra. Bisogna infatti attendere il 10° secolo quando un governatore turco del Khorassan (una regione ad est della Persia) si dichiara indipendente ed installa la sua capitale a Ghazni nell’Afghanistan. E’ da questa regione che un discendente dei Ghaznevidi, tale Mahmud (998 – 1030), attirato dalle favolose ricchezze del Punjab, decide di intraprendere la conquista della regione.

A partire dal 1002 Mahmud, lancia dalla base di Peshawar, nel Pachistan, dei raids annuali devastatori. Nel 1008 batte a nord di Srinagar, nel Kashmir, una coalizione di principi indù e convinto delle sue forze, dieci anni più tardi supera lo Yamuna per raggiungere Mathura, celebre per il suo santuario indù dedicato al dio Khrisna, che rade al suolo senza esitazione.

Nel 1019 cancella dalle carte dell’epoca il regno gupta di Harsha, a sud est di Delhi, massacrando tutta la popolazione della capitale Kanauj e distruggendo tutti i suoi templi. Alla fine della campagna riporta a Ghazni un enorme bottino, attribuendosi il titolo di “Pilastro dell’Islam”. Fondata nel 1022 la città di Lahore (Punjab pachistano), continua nella sua opera distruttrice e nel 1025 lancia un raid che lo porta oltre il Rahjastan, dove, come al solito, semina morte e distruzione. Guerriero e saccardo, predatore più che missionario, Mahmud considera l’India come una terra di razzia e le sue spedizioni non hanno determinato la conversione degli indigeni. Suo figlio Masud, lanciato sulle tracce del padre, verrà però disastrosamente fermato davanti alle mura di Lahore nel 1043, segnando così il limite estremo della potenza ghaznevide.

Nel periodo successivo saranno gli Afghani di Ghor (Ghoridi), guidati da Mohammed Ghur, che continueranno l’azione contro l’India e arriveranno ad avere ragione, nel 1192, della resistenza dei guerrieri del Rajahstan e del Gudjerat, saccheggiando nel 1194 la città santa di Benares e sterminando tutti i monaci buddisti. Anche il Bengala viene invaso nel 1204 ed i conquistatori che hanno praticamente annientato una eredità culturale bimillenaria, possono a questo punto imporre la loro legge dall’Hindukush fino al delta del Gange.

Questo Impero, fondato unicamente sul saccheggio ed il terrore non può durare ed è un turco, Iltumish, che fonda il Sultanato di Delhi, riconosciuto dal Califfo di Bagdad, che, poco dopo, comincia a sua volta ad essere minacciato dai Mongoli di Gengis Khan.

Quando nel 13° secolo l’afghano Ala Ud Din scaccia la dinastia del “Sultani schiavi”, regnante (1210 - 1290) a Delhi, ha nuovamente inizio un regime di terrore. Massacri e saccheggi diventano la regola nel nome della religione. Tutta l’India del Nord viene sottomessa ed i conquistatori avanzano nel sud nel Deccan e fino a Madurai, nel paese dei Tamil, ma nel 14° secolo l’ascesa del regno Indù di Vijayanagar (durato fino al 1500) oppone una solida diga all’espansione mussulmana, che, nello stesso tempo, viene seriamente scossa dall’irruzione in India delle orde di Timur Lang, ovvero Tamerlano.

Quando le sue truppe conquisteranno Delhi, avverrà il massacro di oltre cento mila abitanti ed il sultanato mussulmano non riuscirà più a sollevarsi completamente da questa bufera. A partire dal 16° secolo l’espansione della potenza mongola favorirà la nascita in India, con Babur (1483 - 1530), di un nuovo impero mussulmano destinato a durare nel tempo. Babur, che discende per parte dei genitori dal mongolo Gengis Khan e dal turco Tamerlano, è erede del Principato del Ferghana (Ubzekistan) e fra il 1504, presa di Kabul ed il 1522, presa di Kandahar, diviene padrone dell’Afghanistan e nel 1524 inizia la campagna per la conquista dell’India, eliminando e sostituendosi, nel 1526, alla dinastia afghana dei Lodi. Ha così origine la Dinastia indiana dei Gran Moghul, i cui grandi sovrani, come Akbar di Humayun dal 1556, Jahangir (1605 - 1627), Jahan Shah (1628 - 1658) ed Aurengzeb (1658 - 1707), saranno piuttosto dei sovrani indiani che dei principi mussulmani. Questi potranno infatti stabilire sulla piana indo - gangetica una dominazione strutturata e durevole, adottando primariamente una attitudine tollerante nei confronti dei loro soggetti indù, Ciò nondimeno in India rimarrà indelebile la tradizione ed il ricordo di una secolare dominazione mussulmana predatrice e terrorista, cosa che aiuta a spiegare la persistenza al giorno d’oggi di una ostilità religiosa accanita, mantenuta dall’antagonismo Indo - Pachistano e dal risorgere del fondamentalismo islamico ed indù.

Nota conclusiva

Dalla morte del Profeta al 715 circa, il Califfato islamico, sotto la spinta di un espansionismo militare dilagante e sorretto da un vigoroso fanatismo religioso, raggiunge la sua massima dimensione territoriale, estendendosi dai Pirenei, all’ovest, fino all’Indo ed all’Asia Centrale, ad est. Si tratta del più grande impero della storia del mondo, prima della iniziale reazione di contenimento ad opera dei Franchi e di Bisanzio.

L’espansione mussulmana nel mondo, essenzialmente guerriera, ha in effetti sconvolto vaste regioni, annientando diverse antiche civiltà. La sua azione violenta ha però inevitabilmente suscitato alle frontiere di Dar al Islam (casa dei Credenti o il territorio dei Mussulmani) delle vivaci reazioni che hanno permesso, nel corso dei secoli successivi, inizialmente il contenimento e quindi le azioni di riconquista temporanee o definitive. Fondato essenzialmente sul controllo del commercio fra l’Asia e l’Europa, l’impero mussulmano subirà un colpo mortale alla sua potenza nel 16° secolo da parte degli Occidentali, attraverso l’effettivo ed efficace aggiramento da Sud, attraverso le vie marittime, delle sue rotte commerciali, determinando così la fine del suo espansionismo e l’inizio del suo secolare inarrestabile declino.

Ma é anche e soprattutto all’interno del mondo mussulmano che la religione trionfante del Profeta ha dovuto confrontarsi con la pervicace persistenza di realtà etniche differenti e con delle tradizioni ed eredità culturali millenarie estremamente radicate. Questo spiega infatti le diverse forme assunte dall’Islam al giorno d’oggi nei diversi ambienti geografici o nelle diverse società nelle quali si è imposto.

 

[1] I seguaci di Nestorius, Patriarca di Costantinopoli dal 428 al 431 d.C., condannato come eretico dal Concilio di Efeso, nel 431 d.C. i quali sostenevano che " in Cristo c’erano due nature e due persone". Divenuta Chiesa Nazionale persiana nel 2° secolo, oggi conta ancora aderenti in Iran, Iraq e Siria.

[2] Originati dal monaco Eutiche, i Monofisiti, dal greco, monos, unique, et physis, natura - in opposizione alla tesi del Concilio di Calcedonia (Kadikoy) del 451 d.C. - sostenevano e sostengono che "in Cristo le due nature (Divina e Umana) erano unite fin da fare una sola natura. Sopravvivono oggi nei Copti, nei Siriaci Giacobiti e negli Armeni.

[3] 1° Concilio ecumenico tenutosi nel 325 nel quale fu condannato Ario e fu formulato il Credo dei Cristiani.

[4] Arianesimo, da Ario, prete africano, era la setta che credeva che il Cristo era il solo vero Dio, con semplice sembianza Umana"; Condannato dal Concilio di Nicea (Iznik) (325), riabilitato da Costantino e definitivamente condannato  da Teodosio (380).

[5] movimento ereticale sorto nel 4° secolo ad opera del vescovo Donato che sosteneva che la Chiesa è formata solo dai santi. Combattuto da S. Agostino scompare con la conquista mussulmana.

[6]  La dottrina cristiana ( cattolica) che sosteneva e sostiene che nel Cristo sono insite due nature: quella di "vero Dio" e quella di "vero Uomo".

[7] Religione dell’Iran pre islamico derivata da Ahura Mazdah che ne è il Dio Supremo. E chiama anche Zoroastrismo da Zoroastro (o Zarathushtra) suo profeta iranico e innovatore. Il male nel mondo è origine del Dio Angra Mainyu (Arimane) che alla fine del mondo perderà tutti i suoi poteri. L’uomo partecipa alla lotta contro il male.

[8] Religione fondata nel 3° secolo da Mani con il nome di “Chiesa della Giustizia o Religione della Luce”. Fondata sul dualismo Luce -  Materia (bene male), il primo dei quali è destinato a prevalere. Sopravvissuta sino al 1100 in Oriente.

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