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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

Una vita di ricerche per conoscere chi sono.

  

CRISTOFORO DA CANAL

CRISTOFORO DA CANAL

Sopracomito di galea ed Ammiraglio

(Pubblicato su “Subasio” n. 3/13 del settembre 2005, Bollettino trimestrale dell’Accademia Properziana del Subasio di Assisi)

 

Per il patriziato veneziano esercitare un comando sul mare è un obiettivo molto ambito, perché può anche essere un eccellente mezzo per intraprendere una carriera. nell’ambito dell’alta amministrazione della Serenissima. I Sopracomiti o Capitani di galere militari sono da sempre scelti fra le cento famiglie iscritte nel Libro d’Oro dell’aristocrazia

La Repubblica di Venezia costituisce tutto un sistema fondato sul mare e sulla sua libertà di navigazione. Senza il mare, il commercio non esiste e senza commercio Venezia non ha più ragione di esistere. Sulla laguna tutti sono più o meno legati al commercio marittimo e questo a tutti i livelli della società. Risulterebbe pertanto assurdo che le grandi famiglie, che reggono la repubblica, se ne possano disinteressare. A Venezia occuparsi del commercio o navigare è un attività primordiale e fondamentale. Aver esercitato un comando in mare specie come Sopracomito[1] è sinonimo di considerazione ed è allo stesso tempo un importante e fondamentale trampolino per una brillante carriera nell’alta amministrazione della Repubblica. E’ altrettanto degno di considerazione nella città di S. Marco la credenziale di aver esercitato oltremare una funzione di rappresentante dell’amministrazione centrale. Venezia ha talmente tanti interessi sparsi un po’ dovunque nel Mediterraneo che questi tipi di incarico non mancano mai. E’ in questo variegato contesto che si forma l’elite della diplomazia della Serenissima: negoziare dei trattati e dei vantaggi commerciali e soprattutto saperli conservare è una scuola di vita. Questo implica che ci si imbarchi sulle navi della famiglia o su quelle della Repubblica già a partire dalla più giovane età.

Un comandante non può imbarcare suo figlio, è la regola, ma nulla vieta di prendere a bordo suo nipote o altri parenti. Si comincia da giovani. Verso i 18 - 20 anni, taluni sono ormai dei vecchi lupi di mare, contando già diversi anni di imbarco e magari numerosi combattimenti. Gradualmente a questi vengono conferite cariche sempre più importanti, mano a mano che dimostrano padronanza delle conoscenze necessarie e dei marinai. Si diventa archibugiere con la responsabilità di dirigere i soldati di bordo, si prende quindi parte alle manovre ed un giorno infine si potrà fare il grande salto di qualità, assumendo il comando di una galea [2] da guerra della Repubblica.

Essere Sopracomito è una funzione onerosa e difficile, poiché la Signoria non tollera passi falsi o insuccessi. Al Sopracomito spetta ingaggiare il suo equipaggio ed oltre al personale ai remi, la galera riunisce una moltitudine di specialisti: soldati, marinai, cannonieri, intendenti, ecc., funzioni particolari ed importanti, quali il carpentiere o lo specializzato nella realizzazione o  riparazione di remi, che esigono una notevole professionalità.

Per tali personaggi l’imbarco potrebbe rappresentare il passaggio obbligato e l’anticamera dell’ingresso nell’Arsenale. E che dire della funzione di Comito[3]. In questo caso un buon comandante ricercherà il professionista, l’uomo di talento, perché dal lavoro di quest’uomo dipende in grande misura …  la vita di bordo. Ma il talento si paga molto caro e con moneta contante, buona e sonante. Ma la libertà delle vie commerciali esige comunque questo prezzo!

Quasi tutte le giovani speranze hanno degli zii, dei parenti o dei genitori piazzati nei posti chiave della Repubblica. In ogni buona famiglia, è possibile incontrare Sopracomiti in successive diverse generazioni, se non Ammiragli[4] o persino Provveditori[5].

Alessandro Zorzi, per esempio, è un rampollo di una famiglia illustre e vicina al potere, ma prima di tutto è un uomo di mare che si interesserà della meccanica del colpo di remi, del nuovo sistema a “scaloccio[6] con i remi grandi. Egli si preoccuperà soprattutto del rispetto delle regole riguardanti la disposizione dei rematori su un banco, senza che peraltro nessuno gliene parli a priori. Un altro, Sebastiano Venier, avvocato a quanto si dice, è un temibile spadaccino che ha più spesso frequentato le scale delle galere che quelle del foro o pretorie. Egli giocherà a Lepanto un ruolo essenziale al comando del forte contingente veneziano dello schieramento della Lega Santa.

Nella stessa battaglia troviamo i due fratelli Bragadin, Ambrogio ed Antonio, la loro rinomanza doveva essere tale che La Repubblica ha conferito loro due delle sue sei preziose galeazze[7]. Essi si troveranno davanti all’ala nord dello schieramento turco ed affronteranno il maggiore sforzo dell’attacco ottomano, che peraltro contribuiranno a spezzare. Don Giovanni d’Austria, che comanda tutta la flotta della Lega, deve ai veneziani ed alla galeazze la vittoria finale. In questa ala nord della Lega Santa così provata dal combattimento possiamo trovare anche un certo Antonio Da Canal, che regge la galera capitana di Venezia. La sua famiglia regna sulla marina veneta da diverse generazioni, anche se essa non si trovi nel lotto delle più ricche. Si può certamente affermare che i Da Canal appartengono al gruppo della nobiltà “povera” della laguna, ma sul mare essi non hanno rivali.

Uno dei membri più celebre del clan Da Canal è certamente Cristoforo. La cui morte nel 1561 lo viene a privare della soddisfazione della vittoria di Lepanto. E’ un uomo al di sopra delle parti, di una fedeltà e di una lealtà totale nei confronti del Senato e della Repubblica. Si tratta soprattutto di uno dei più grandi comandanti di galee del suo secolo, il 16°, quando questo tipo di bastimento subisce delle degli sviluppi fondamentali. Figlio di Jacopo da Canal e di Zenita Ariano nasce a Venezia il 1° settembre 1510. E figlio cadetto di una famiglia fortemente impegnata nel commercio marittimo essenzialmente verso il Levante. Come tutte le grandi famiglie anche la sua possiede delle proprie navi. Un Giacomo Da Canal è baiulo[8] di Costantinopoli nel 1537 ed un Benedetto esercita importanti funzioni sulla terraferma nel 1546. Ma sono il mare e le flotte della Repubblica che attirano gli elementi maschi del clan per molte generazioni. Alvise è capitano del Golfo di Arta in Grecia (sulla costa ovest) nel 1523 a fine carriera. Un suo parente Girolamo Da Canal gli subentra in tale incarico, considerato della massima importanza per la garanzia della sicurezza delle navi nell’Adriatico. Questi farà una migliore carriera e diventerà Provveditore della Flotta della Repubblica.

Alla stessa epoca, a parte Antonio, che abbiamo visto comandare la nave “Capitana” a Lepanto, un altro rappresentante della dinastia esercita un comando in mare. Si tratta di Fabio, nel 1546. La famiglia possiede dunque un certa rinomanza ed un complesso di conoscenze professionali, ampiamente riconosciuto nella marina della Serenissima. Lo stesso Girolamo si interessa del giovane Cristoforo, suo nipote. Quest’ultimo partecipa a fianco dello zio alla lotta senza quartiere che viene condotta ai corsari ed ai pirati fra i quali il famoso Moro di Alessandria, dalla temibile reputazione.

La famiglia Da Canal ha conosciuto nel 1514 un rovescio nella sua fortuna. Il commercio marittima dell’epoca è in effetti una attività molto rischiosa e piena di imprevisti. Jacopo, il padre di Cristoforo, è obbligato a dichiararsi in quasi fallimento e questo motivo spiega in qualche modo l’interesse crescente della famiglia verso incarichi di responsabilità nella marina ufficiale della Serenissima.  Cristoforo ha pertanto un eccellente mentore[9] in questo zio, che occupa delle funzioni di rilievo nella Repubblica. Cristoforo ottiene a 25 anni, nel 1535, l’incarico di Sopracomito di una nave, una età considerata piuttosto giovane anche per rampolli di famiglie di illustri ammiragli. I documenti ci indicano peraltro che le sue qualità professionali ed umane erano già ampiamente apprezzate e riconosciute, anche perché in possesso di un patrimonio professionale e di un mestiere che è il frutto di almeno sette - otto anni di mare. La dimostrazione del suo valore emerge in tutta la dimensione nel 1538 nel golfo di Arta, sotto il fuoco dei cannoni turchi. Ma al di là delle sue incontestabili qualità di marinaio, Cristoforo appare un uomo decisamente in anticipo sul suo tempo. Egli ha compreso perfettamente che l’epoca delle città stato era ormai giunta al suo epilogo, a fronte della crescente forza degli imperi cristiano e turco. Per mantenersi indipendenti in mezzo a forze così possenti per Venezia diventava essenziale e vitale possedere una flotta potente e permanente, l’unico mezzo che le può garantire in permanenza una adeguata sicurezza delle sue vie marittime.

Quello che sorprende di più in quest’uomo è una sorta di dualità sul piano professionale: da un lato è un elemento dinamico e perfettamente lucido, ma allo stesso tempo è un comandante totalmente sottomesso agli ordini della Signoria. Questo consente di instaurare fra il capitano ed il Senato dei rapporti straordinari e speciali che storicamente sarà uno dei pochi ad aver stabilito. Le sue raccomandazioni sono tenute in grande considerazione e per suo consiglio verranno create le galereforzate o sforzate[10]. Sul piano marittimo il personaggio si mostra come un attento osservatore ed un costante ricercatore di novità, un uomo che consacra tutte le sue risorse ed i mezzi di cui dispone per migliorare le sue navi. Tutti a Venezia citano come esempio la sua proverbiale integrità. Egli è un servitore dello stato che intende servire con tutte le sue forze e con tutta la sua professionalità, tra l’altro veramente considerevole. Un atteggiamento altamente meritorio considerate le ordinarie mene dell’epoca.

Nel 1542, a 32 anni, Cristoforo è ancora Sopracomito, incarico che ricopre da sette anni. Egli si batte con tutte le sue forze affinché vengano utilizzati i condannati come forza remiera. Il problema viene lungamente discusso e probabilmente, viste le difficoltà incontrate, non avrebbe mai avuto successo senza il suo diretto impegno personale. Ed è proprio Cristoforo Da Canal il primo comandante di galera di forzati e può quindi mostrare a tutti, sul mare, i vantaggi che se ne possono effettivamente trarre.

In effetti lo sviluppo della potenza marittima di Venezia non risultava limitata dalla carenza di navi ma piuttosto da quella di uomini. Un vero e grave problema anche per tutte le altre nazioni del Mediterraneo che armeranno delle galere.

All’inizio La Serenissima non aveva bisogno di armare che un limitato numero di navi e sulla base di una esigenza di 150 rematori per galera era abbastanza agevole trovare i 2500 - 3000 uomini necessari. Le 60 parrocchie di Venezia facevano il censimento degli uomini validi da 20 a 50 anni e fornivano ciascuna un contingente per estrazione a sorte e l’elenco finale degli ingaggiati risultava anche dall’effetto concomitante di una serie di “arraggiamenti” sociali, fra i quali la “surrogazione a pagamento”. Ma questo sistema degli inizi mette in evidenza rapidamente i suoi limiti. Armare qualche galera risulta una cosa abbastanza semplice ma armarne un centinaio diviene un altro e ben più serio problema. Considerando che ci vogliono tre uomini per banco per 50 banchi (25 per lato), risulta evidente che Venezia non è in grado di fornire 15 mila uomini e che diventa quindi necessario cercare altrove. La costa dalmata, abbastanza vicina, appare un buon serbatoio e numerosi Sopracomiti a corto d’effettivi riescono agevolmente a completarvi le loro ciurme[11]. In Dalmazia si trovano uomini robusti, adusi alla vita di mare e soprattutto resistenti alla fatiche della voga. Col passare del tempo vengono reclutati anche uomini delle isole greche. Questi, a differenza dei Dalmati, sono piccoli, “dal pelo nero”, ma capaci di prestazioni di resistenza che sono sorprendenti.

Il problema della disciplina con degli uomini liberi a bordo non è un affare da poco. Hanno denaro, vendono le loro razioni di pane e soprattutto bevono a profusione durante le soste negli scali. In più a bordo occorre fare attenzione a non frammischiare le etnie, per evitare una infinita serie di scontri e di querelle. Inoltre il loro comportamento in battaglia non è sempre scontato ed a Venezia è sempre più frequente vedere una galera lasciare il Lido con effettivi ridotti e completarli durante il viaggio. Il tentativo di dare una nuova spinta al settore con personale tratto dalla terraferma, resistente alle fatiche ma assolutamente digiuno di vita di mare, non avrà maggiore fortuna, ad eccezione della gente proveniente dal lago di Garda. Molte di queste persone, spossate dai primi giorni di navigazione in Adriatico, alla prima sosta tecnica in uno scalo della costa dalmata, ne approfittano per prendersi un congedo “gratuito”, senza rientro. Dopo ulteriori tentativi, effettuati attingendo ai vari empori sparsi nel Mediterraneo, il problema diviene pressante e quasi disperato di fronte al crescere della minaccia turca. Tutto questo porta la Signoria a prendere in considerazione la possibilità di utilizzare gli schiavi, acquistati o frutto di operazioni di guerra, ma solo nel 1542 verrà in effetti deciso di attingere a piene mani dal serbatoio degli uomini legalmente condannati dai Tribunali della Repubblica, nella considerazione che è meglio utilizzare dei condannati per il bene comune, piuttosto che farli marcire inutilmente in fondo ad una prigione. La nuova situazione impone il provvedimento di non frammischiare le ciurme di uomini liberi e di condannati e questo orientamento porterà nel 1545 alla costituzione della prima galea “forzata”, affidata appunto al nostro Cristoforo Da Canal. Da un punto di vista organizzativo le galee “forzate” sono decisamente migliori da un punto di vista disciplinare, trattandosi di rematori incatenati ai banchi, ma occorreva necessariamente un maggior numero di soldati per il loro controllo, provvedimento che peraltro andava incontro alla reiterate richieste dei Comandanti, che da tempo e sistematicamente si lamentavano di non avere abbastanza effettivi armati sulle loro navi[12].

Ma torniamo al nostro Cristoforo, che dopo la prima esperienza in mare con una nave di forzati, riceve successivamente il comando del primo gruppo di tre unità dello stesso tipo. Successivamente si vede attribuito dalla Serenissima un comando a terra, come Comandante di fortezza. Nel periodo seguente viene nominato Capitano del Golfo, missione di fiducia ed incarico già ricoperto da diversi membri della sua famiglia. Egli si copre di gloria durante il suo capitanato, riporta a Venezia numerosi prigionieri e soprattutto libera 400 cristiani forzati sulle galee turche. A 48 anni, nel 1558, lascia il suo incarico per diventare Ammiraglio e Provveditore Generale dell’Armata. Egli, con il suo incarico, controlla ora tutta la Marina da Guerra della Repubblica ed in tale funzione farà altrettanto bene dello zio Girolamo, quello che lo aveva imbarcato per la prima volta, lo aveva iniziato al mestiere del marinaio e che ne era stato il maestro.

Cristoforo muore nel 1561 all’età di 51 anni, in una situazione altamente probabile per la sua fine, in combattimento. Per molti resta un marinaio esemplare con una carriera ammirevole, ma egli si distingue da altri famosi contemporanei anche in un campo completamente diverso. I suoi molteplici rapporti e relazioni al Senato Veneto sulla marina delle galee sono citati ad esempio. A quest’epoca ed a parità di responsabilità è certamente il primo ad aver realizzato un lavoro simile. Il suo trattato Della Milizia Marittima, compendio della sua eccezionale esperienza, così spesso citato nel tempo, verrà riscoperto solo negli anni trenta del 20° secolo. Il testo è consacrato ai miglioramenti da apportare alle galee di Venezia. Nel suo lavoro Cristoforo evoca la sua “galea ideale” e propone tutta una serie di provvedimenti riguardanti la ciurma ed il suo reclutamento, la vita a bordo, l’organizzazione delle basi navali, giudicate indispensabili per la flotta.

Cristoforo Da Canal è il convito assertore delle galee “forzate”, ma, in virtù di una indiscutibile esperienza sugli altri tipi di reclutamento remiero, ne fornisce però un giudizio sereno e giudizioso. In fin dei conti il trattato del provveditore dell’Armata non è altro che il riassunto di una vita passata sul mare alla testa di flotte importanti e di comandi, esercitati nella più grande lealtà e fedeltà al proprio dovere.

 

[1] Comandante di galee militari. Ha alle dipendenze un Comito, pilota della nave,.

[2] Galera, nave veloce e leggera, militare o da trasporto, a remi ed a vela, con 25 remi per fianco, con 1 o 2 alberi, in uso nel Mediterraneo dal tardo medioevo fino al 18° secolo; diversa dalla Galeotta, piccola galea con 15 - 20 remi per fianco, veloce e leggera con un solo albero a vela latina

[3] Comito, pilota della nave, che a sua volta è assistito da un Sottocomito, da 3 o 4 ufficiali di ponte, 30 marinai per le manovre e circa 150 rematori

[4] Signore del mare, deriva da Amir - alComandante di”, Comandante di una flotta

[5] Dal latino providere. Ufficiale pubblico incaricato di un comando di una nave, di una piazzaforte, od anche ufficiale di sanità

[6] voga con remo lungo, che veniva manovrato da più rematori disposti a scala; sistema tipico delle galee

[7] Galea da guerra di alto bordo. Bastimento a tre alberi a vele latine e trenta remi per lato, manovrato a vela ed a remi. Armata dia 30 a 40 cannoni.

[8] amministratore di un emporio veneziano

[9] Consigliere fidato,  guida saggia; da Mèntore, nome del personaggio omerico a cui Odisseo affidò il piccolo Telemaco prima di partire per la guerra di Troia.

[10] Galea militare che utilizza i “forzati” o “galeotti” come forza remiera

[11] Insieme dei rematori di una galera; volontari pagati, schiavi e forzati.

[12] In ogni modo va sottolineato che in un periodo dove la schiavitù non impressiona più nessuno, la Serenissima nella Battaglia di Lepanto è rappresentata in maggioranza da ciurme di uomini liberi. Di fatto oltre cento  galee e galeazze, solo 16 unità erano rappresentata da ciurme di “forzati”

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