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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

Una vita di ricerche per conoscere chi sono.

  

Domenico Grimani

Domenico Grimani,

un principe della Chiesa al servizio dello Stato

(Stampato su “SUBASIO” n. 2/15 del giugno 2007, Bollettino trimestrale dell’Accademia Properziana del Subasio di Assisi)

 

Nel 15° secolo il mondo cristiano ha bisogno di Venezia per far fronte alla minaccia ottomana, ma la Serenissima è indipendente: eretta in Patriarcato nel 1451, ha anche la facoltà di eleggere i suoi vescovi con grande disappunto del Papa. Occorreva il talento diplomatico del cardinale Grimani per poter acquietare le gravi tensioni con Roma.

Posta sotto il patronato di S. Marco, le cui reliquie sono state recuperate ed installate nel cuore del suo spazio civico nel 9° secolo, Venezia custodisce, per usare l’espressione di uno scrittore, “chiese così belle e così grandi fondate sul mare”, tanto da manifestare chiaramente davanti a tutti la sua vocazione cristiana ed il suo attaccamento alla Chiesa. Un tale impegno diviene ancora più significativo nel 15° secolo, allorché la Repubblica si pone come bastione della Cristianità davanti alla progressione ottomana nel Mediterraneo e nei Balcani. Questo ruolo eminente si accompagna tuttavia ad una rivalità latente con il Papato, che degenera a volte in scontro aperto, come è testimoniato dall’interdetto scagliato da Papa Giulio 2° sulla Serenissima nel 1509 e quello di Papa Paolo 5° nel 1606.

L’originalità della situazione veneziana e le tensioni che essa suscita possono essere esaminate e chiarite attraverso il singolare esempio della carriera di Domenico Grimani. Questi, proveniente da una famiglia patrizia pervenuta al vertice del potere (suo padre è stato eletto Doge nel 1521), è anche cardinale ed occupa, in quanto tale, una posizione di primo piano nel governo della Chiesa.

Abbandona la carriera politica per quella ecclesiastica

Domenico Grimani, nasce nel 1461 da una eminente famiglia del patriziato veneziano. Suo padre Antonio ha costruito una immensa fortuna negli affari con il Levante e con l’Europa settentrionale ed i suoi successi economici gli hanno permesso di accedere a delle cariche elevate all’interno delle istituzioni della Serenissima. Domenico, che riceve una educazione molto curata presso l’Università di Padova, dove eccelle sia nel diritto canonico che negli studi filosofici, è destinato a seguire le orme del padre. Entrato nel Gran Consiglio, nello stesso periodo Domenico continua i suoi studi a Padova dove ottiene il Dottorato nel 1487 e nel corso dello stesso anno riesce ad essere eletto Senatore. Nel 1489, in occasione del passaggio nei territori della Repubblica dell’Imperatore Federico 3°, egli viene nominato membro dell’ambasceria inviata incontro al sovrano e che lo scorterà da Aquileia, per Bassano, Treviso, Vicenza, fino a Verona. Prendendo la difesa della dottrina tomista in numerose dispute, egli acquisisce rapidamente una solida reputazione nel settore filosofico ed alla fine decide di lasciare la promettente carriera politica per orientarsi sulla via della Chiesa.

Nel 1491 il Papa Innocenzo 8° lo nomina Segretario e Protonotario apostolico. Anche se non riceve l’ordinazione maggiore (vescovo) prima del 1498, Domenico Grimani comincia molto presto ad accumulare benefici ecclesiastici e si vede persino affidare, per esempio, la commenda (1) di una abbazia nell’isola di Cipro, allora veneziana. Creato Cardinale nel 1493, in cambio del versamento di diverse decine di migliaia di ducati al Papa Alessandro 6° Borgia, egli diventa poco dopo Amministratore del Vescovato cipriota di Paphos, prima di farsi attribuire, nel 1495, l’Arcivescovado di Nicosia. Due anni più tardi egli ottiene la prestigiosa sede di Aquileia, nel Friuli, guadagnandosi così il titolo di Patriarca, associato a tale carica.

Questa rapida ascensione è favorita dall’appoggio delle autorità della Serenissima, che dispone di due sedi patriarcali nei suoi territori: quella di Aquileia, che è molto desiderata dagli Imperiali all’inizio del 15° secolo e quello dell’isola di Grado, trasferita a Venezia mezzo secolo più tardi per decisione pontificale. Secondo la tradizione, S. Marco, venuto a predicare nell’Italia del nord, sarebbe stato il fondatore della sede vescovile di Grado e Venezia e questa trae, da questo doppio motivo, una giustificazione ed un argomento nelle sue velleità di indipendenza nei confronti della Roma di S. Pietro. A questo rilevante incarico Grimani aggiunge la commenda dell’Abbazia di San Pietro di Rosazzo nel 1501 e quella di Santa Maria di Sesto al Reghena nel 1503. Come una buona parte dei prelati del suo tempo Grimani non si interessa veramente alle attività pastorali e non risiede stabilmente nelle diocesi di giurisdizione, affidategli nel tempo. In tale contesto egli visiterà soltanto una volta il suo patriarcato, poco tempo dopo essere stato ordinato prete e dopo aver ricevuto nella primavera del 1498 la consacrazione episcopale. Questo viaggio di un po’ meno di un anno lo conduce nei diversi vescovati della sua giurisdizione, dove il suo passaggio è ritmato da entrate solenni.

Il Papa ed il Doge gli affidano missioni delicate

Una volta compiuto questo suo dovere protocollare, Domenico preferisce affidare le sue funzioni ad un Vicario e si reca a Roma, consacrando ad affari di alta politica, all’amministrazione dei suoi beni ed al consolidamento della sua famiglia. Legato ai territori della Serenissima attraverso una parte dei suoi molteplici benefici ecclesiastici ricevuti, Grimani diventa “romano”, specie dopo la sua accessione al cardinalato. Egli si installa in un palazzo ai bordi del Tevere ed accompagna il Papa nei suoi spostamenti: il 31 ottobre 1493 è a Viterbo al seguito di Papa Alessandro 6° ed il 12 luglio 1494 fa ancora parte del seguito del papa nell’incontro a Vicovaro con il Re Alfonso 2° di Napoli. Questo nuova posizione non gli impedisce si ritornare anche per lunghi soggiorni nella sua patria d’origine, dove conserva numerosi legami e segue con interesse l’evoluzione degli affari della famiglia. Grimani si caratterizza ormai per una doppia appartenenza che porta a giocare un ruolo di intermediario fra Roma e Venezia.

Sia da un lato, come dall’altro egli viene impiegato per il disbrigo di missioni segrete e spesso viene sollecitato ad intervenire da entrambe le parti in affari che interessano i due sovrani. Nel 1498, ad esempio, quando Papa Borgia cerca una signoria per suo figlio Cesare, proprio al posto dei Malatesta a Rimini, egli incarica Grimani di sondare a tal proposito l’opinione della Serenissima, che esercita l’alta protezione su quei territori. Inversamente Venezia non esita a servirsi del cardinale come avvocato presso la Curia: nel 1501 deve in tale contesto sostenere l’ambasciatore veneziano a Roma nella disputa di precedenza che l’oppone al rappresentante del Duca di Savoia e l’influenza esercitata sul Papa gli consente di aver vinta la partita. L’anno seguente egli difende ancora davanti ai cardinali la decisione presa dalla Repubblica di concludere la pace con i Turchi, contro i quali si trovava in guerra dal 1499.

Forte di questi diversi precedenti, Grimani viene ad assumere un ruolo cruciale di mediatore nella violenta disputa che oppone Roma a Venezia intorno al 1510 e che è rapidamente sfociata in conflitto aperto. In effetti anche se la Serenissima si era mostrata favorevole all’ascesa al trono pontificale di Giulio 2° nel 1503, le relazioni con il nuovo pontefice vengono a degradarsi progressivamente negli anni seguenti. I motivi principali sono rappresentati da un contenzioso territoriale a proposito della Romagna, occupata dai Veneziani e reclamata da Roma, ed in particolare a differenti punti di vista circa le pretese giurisdizionali a proposito della nomina dei vescovi nei possedimenti della Repubblica.

La strappo viene consumato nel marzo 1509 quando Giulio 2° aderisce alla Lega di Cambrai. Questa Lega, costituita nel dicembre 1508 per iniziativa del Re di Francia Luigi 12°, costituisce una vasta coalizione anti veneziana nella quale prendono parte l’imperatore Massimiliano d’Asburgo ed il Re di Spagna Ferdinando d’Aragona. Nell’aprile il papa lancia l’interdetto su Venezia, mentre gli eserciti confederati marciano sulla città veneta ed il 14 maggio 1509 le truppe veneziane vengono duramente sconfitte ad Agnadello. Durante il succedersi di questo lungo crescendo e di questa tragica scalata di eventi Grimani si è sforzato senza successo di acquietare le tensioni e di convincere il santo padre ad una posizione più moderata.

La sconfitta della Serenissima cambia completamente la situazione. Giulio 2° vuole approfittarne per dissociarsi dai suoi alleati e firmare una pace separata con Venezia. A tal fine fa dire attraverso Grimani che una ambasciata veneziana che venisse a chiedere perdono sarebbe oltremodo gradita. Gli inviati di Venezia arrivano a Roma agli inizi di luglio 1509 e qualche settimana più tardi il Papa riceve il capo della delegazione, accompagnato dal cardinale. Hanno così inizio delle lunge negoziazioni delle quali Grimani appare il tessitore e che si concludono il 24 febbraio 1510 con la remissione solenne dell’interdetto sulla Repubblica da parte del Papa.

I Veneziani, nonostante le pesanti concessioni alle quali sono costretti, si mostrano soddisfatti di un accordo che consente loro di alleggerire la morsa degli avversari. Dalle entrambe le parti il ristabilimento della concordia viene riconosciuto come merito del Grimani e della sua zelante azione, che guadagna ulteriore considerazione ovunque. Il papa lo sceglie per cantare la messa della pentecoste del 19 maggio 1910 e per celebrare l’apertura del Concilio del Laterano del 10 maggio 1512.

Fine letterato è anche un esperto archeologo

Grimani partecipa al governo della Chiesa e agisce sulla scena internazionale a fianco del papa. Le sue entrate gli consentono una vita fastosa, all’altezza del suo rango di principe. Secondo una testimonianza che rimonta agli ultimi ani della sua vita, l’accumulazione dei benefici ecclesiastici nelle sue mani, gli procuravano la considerevole somma di 14 mila ducati all’anno. Il cardinale consacra una parte di questo denaro a dei progetti immobiliari. Titolare dal 1501 della Chiesa di S. Marco a Roma, egli vi fa operare diversi lavori di restaurazione e di decorazione. Egli contribuisce anche all’abbellimento del Palazzo di Venezia, che occupa a partire dal 1505. Avendo suo padre acquistato due terreni sui fianchi del Quirinale, egli vi aveva supervisionato la costruzione di una villa di piacere che potrebbe aver occupato l’attuale spazio del palazzo Barberini. Queste dimore diventano un luogo privilegiato di feste e di sontuosi banchetti, dei quali gli archivi ne hanno conservato le tracce. Una lettera descrive nei dettagli un festino che il cardinale organizza il 16 marzo 1505 a Palazzo Venezia: una serie interminabile di portate servite in stoviglie di pregio ed accompagnate da suoni di pifferi, squilli di trombe e trombette ed il rullio di tamburi. Le armi cardinalizie dei Grimani, inframmezzate con le bandiere di S. Marco, addobbano a pavese tutto l’edificio.

Qualche mese prima della sua morte, mentre è vittima di continui attacchi di gotta che lo fanno soffrire, egli decide di celebrare il 25 aprilo, la festa di S. marco, con una magnificenza tutta particolare. Il Duca d’Urbino, Francesco Maria della Rovere, è l’invitato d’onore in un banchetto che dura sei ore, inframmezzato da pezzi musicali e da giochi.

Le dimore dei Grimani non sono solamente dei luoghi di divertimento, esse custodiscono anche delle interessanti collezioni. Il Cardinale è un personaggio brillante ed uno spirito fine e quest’uomo di cultura gode di un enorme credito presso gli eruditi e gli umanisti del suo tempo, che numerosi gli dedicano le loro opere. Egli si lega con una forte amicizia con Pico della Mirandola, del quale acquista la Biblioteca nel 1498 e riceve Erasmo da Rotterdam nel suo palazzo romano nel 1509.

Bibliofilo acuto, divoratore di libri e di manoscritti, egli riunisce anche numerose tele e mostra una evidente tendenza per la pittura dell’Europa settentrionale, tanto che si pone incontestabilmente fra i principali amatore d’arte dei primi decenni del 16° secolo: un inventario del 1521 rivela che egli possiede a quest’epoca opere di Hans Memling, Geronimo Bosch e di Albrecht Dürer.

Anche se gli artisti italiani non sembrano interessarlo allo stesso modo, egli possiede nondimeno un cartone di Raffaello e comanda una tela a Michelangelo. Fra le sue passioni per i libri e la pittura bisogna segnalare anche un opera eccezionale, conosciuta sotto il nome di Breviario Grimani, che il cardinale acquista intorno al 1510 dal ciambellano del Duca di Milano, Massimiliano Sforza. Si tratta in effetti di uno manoscritto miniato di estrema bellezza realizzato nelle Fiandre.

La curiosità e l’eclettismo del prelato si manifestano infine anche attraverso il suo gusto per l’antichità. Fortuitamente i lavori di costruzione che commissiona sui suoi terreni sul pendio del Quirinale, portano alla luce delle vestigia romane, che inizia immediatamente a collezionare. Riunisce in tal modo delle sculture di marmo e di bronzo, dei bassorilievi, delle iscrizioni, delle monete, delle medaglie e dei cammei che, in parte, egli lega alla sua morte alla Repubblica. Arricchiti da una nuova donazione effettuata nel 1587 da parte di suo nipote Giovanni Grimani, questi oggetti sono l’origine di uno dei primi musei pubblici aperti dalla Serenissima verso la fine del 16° secolo.

Il suo successo è il risultato di una strategia di famiglia.

Questo destino brillante non può essere considerato come l’esito di un fatto isolato ed il frutto dell’iniziativa fortunata di un solo individuo, ma riflette, al contrario, l’affermazione di una famiglia, i cui membri si sostengono mutuamente ed efficacemente nelle loro rispettive carriere. Antonio il padre di Domenico, aveva giocato un ruolo primordiale nella carriera ecclesiastica di suo figlio, finanziandone in particolare il suo cappello cardinalizio. Tuttavia i ruoli si invertono a partire dal 1499: Antonio mentre comanda la flotta veneziana ingaggiata contro i Turchi subisce nel corso dello stesso anno una cocente sconfitta che gli vale una accusa di tradimento e la condanna all’esilio. Domenico inizia da allora a lavorare per la riabilitazione del padre nella Repubblica, accogliendolo per certo periodo a Roma e per il quale ottiene nel 1510 la prestigiosa carica di Procuratore di S. Marco in ricompensa dei servizi resi nella composizione della disputa fra Giulio 2° e la Serenissima. Nel 1521 il cardinale usa ancora tutta la sua influenza per assicurare l’elezione di Antonio alla carica di Doge, installandosi a Venezia a sostegno della sua campagna politica. Il successo finale del padre deve molto allo zelo del figlio.

Parallelamente Domenico, secondo il costume del tempo, si occupa anche dei suoi nipoti, i figli di suo fratello Girolamo. Il maggiore di questi, Marino, l’accompagna a Roma nel 1504 ed il prelato sovrintende alla sua formazione, prima di ottenergli nel 1508 l’amministrazione del Vescovato di Ceneda (attuale Vittorio Veneto). Poi nel 1517 gli lascia il Patriarcato di Aquileia, ricuperando in cambio Ceneda, prima di cederlo successivamente al cadetto di Marino, Giovanni, che intende orientare alla carriera ecclesiastica. Nel 1522 Domenico partecipa ancora alla sistemazione di Marco, un altro figlio di Girolamo, dotandolo di 8 mila ducati per ottenere un posto nella Procuratoria di S. Marco.

Nei primi decenni del 16° secolo i componenti della famiglia Grimani raggiungono eminenti posizioni nella carriera politica e religiosa che vengono ad illustrare il prestigio sociale di una famiglia che dispone già di una solida fortuna. I Grimani si sforzano di dare continuità alla loro posizione di preminenza, preparando con cura la formazione e la carriera dei loro eredi. Questo innegabile successo collettivo presuppone una profonda solidarietà fra i membri e dei legami di parentela così stretti, tanto da poter affermare che l’ascensione dei Grimani è l’evidente risultato di una strategia familiare, tenace, meticolosa, frutto del lavoro di diverse generazioni.

Ciò non toglie comunque che a titolo individuale il cardinale Domenico ha giocato un ruolo di grande rilievo in questo successo: sostegno indefettibile di suo padre nelle ore difficili, ne è uno degli artefici della sua riabilitazione e del suo trionfo finale, mentre si rivela uno zio attento, generoso e disponibile nei confronti dei figli del fratello. In tal modo splendore già di per sé di rilievo del suo percorso personale, viene ad essere ulteriormente incrementato da questa azione efficace di elevazione sociale praticata nei confronti dei suoi parenti. Tuttavia manca a questa carriera una ultima consacrazione che il prelato ha auspicato invano. A più riprese in effetti egli crede a delle possibilità di diventare Papa e si attiva a tal fine. Mentre la riconciliazione veneto pontificale del 1510 lo proietta al rango dei primi cardinali della Curia, Grimani cerca nel 1513 di approfittare di questa situazione favorevole brigando, con scarso successo, per la successione di Giulio 2°, appena morto. All’improvviso la sua candidatura appare molto fragile: non solo rivalità e gelosie lo oppongono all’altro cardinale veneto del Conclave, Marco Corner, che chiaramente si guarda bene dal sostenerlo, ma anche e soprattutto, Imperiali e Spagnoli sono apertamente ostili alla sua elezione a causa della guerra che ancora vede opposti gli Asburgo alla Serenissima. In tale contesto il nome di Grimani raccoglie appena due suffragi ed sarà infine il cardinale Giovanni de’ Medici a raccogliere la tiara con il nome di Leone 10°.

La morte di questi avvenuta il 1° dicembre 1521, ravviva nondimeno le speranze di Domenico. Si trova a Venezia quando apprende la notizia del decesso del papa e si mette immediatamente in viaggio per Roma, nonostante la cattiva stagione. Grimani entra in Conclave da ammalato e deve poco dopo lasciarlo per curarsi, rimettendo ai suoi partigiani il compito di sostenere la sua candidatura, con un ulteriore fallimento. Il cardinale ha tra il seguito del papa defunto dei nemici determinati, che fanno del tutto per sbarragli la strada. In effetti si ha particolarmente timore che un Papa Grimani regni sulla Cristianità e governi lo Stato Pontificio, nello stesso momento in cui un altro Grimani, padre, è Doge della Serenissima: questo sarebbe come dare alla Repubblica di S. Marco un influenza smisurata e la maggioranza del Collegio cardinalizio non vuole assumersi la responsabilità di questo rischio. In conclusione il 9 gennaio 1522 viene eletto Adriano d’Utrecht, Vescovo di Tortosa in Spagna, che assume il nome di Adriano 6°. La delusione per Domenico è grande e egli decide di allontanarsi da Roma. Vi ritornerà solo un anno dopo, poco prima della sua morte, avvenuta il 26 agosto 1523, l’anno anche della morte di suo padre.

Conclusione

La storia di Domenico Grimani è prevalentemente quella di un grande prelato cattolico all’inizio dell’età moderna. Uomo del suo tempo per la sua cultura umanistica, egli incarna ed illustra l’onnipotenza di una Chiesa ricca e sovrana, prima delle lacerazioni della Riforma. Attraverso questo percorso individuale è tuttavia possibile discernere anche il destino collettivo di una famiglia che, riuscita a cumulare l’influenza politica, il potere religioso e la fortuna economica, riesce a consolidare la sua preminenza sociale per alcune generazioni, attraverso una combinazione abile e calcolata ed il mutuo sostegno dei questi tre elementi.

Infine la carriera di Domenico Grimani, che si sviluppa attraverso il corso tumultuoso delle relazioni fra Venezia e Roma, contribuisce alla finale positiva soluzione della disputa. La posizione che egli acquisisce nella Curia è testimone del ruolo fondamentale giocato dalla Serenissima, sia nei fragili equilibri politici della penisola, ma anche del peso che Venezia ha nello scacchiere del mondo cristiano. Ma tuttavia gli ostacoli insormontabili che il cardinale incontra nei suoi tentativi di ascensione al pontificato, evidenziano chiaramente anche l’instabilità politica dell’Italia del tempo e le numerose inquietudini e diffidenze, non sempre destituite di fondamento, che gli altri partners della politica italiana nutrono nei confronti della Serenissima Repubblica di S. Marco.

NOTA

(1) Dal latino ecclesiastico Commendare “affidare”. Godimento di entrate di un vescovato, di una abbazia o chiesa da parte di una persona alla quale sono affidate delle funzioni spirituali senza obbligo di espletarle.

 

Treccani, Dizionario biografico degli italiani 2002, Voce: Grimani

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