Eresia e ortodossia

ERESIA ed ORTODOSSIA

ovvero lo SCISMA del 1054

 

(Pubblicato su Impero Romano d’Oriente del 3 gennaio 2004)

 

All’interno della chiesa cristiana, il problema della definizione dell’ortodossia, o della «retta fede», porta, nell’11° secolo, dopo numerose condanne reciproche per eresia, alla rottura fra la Chiesa di Roma e quella di Bisanzio o d’Oriente.

 

Nel momento in cui il papato si è dato come missione il dialogo o la riconciliazione fra le differenti chiese del cristianesimo, può risultare di un certo interesse effettuare un riesame, dal punto di vista dell’ortodossia, delle cause della prima grande frattura di questa religione, passata alla storia come lo Scisma del 1054. In effetti la rottura prodottasi nel mondo cristiano nel 1054 è il risultato di una crisi ben più profonda protrattasi per diversi secoli, dal 6° al 10°, e che si è incentrata sulla definizione dell’ortodossia. Il problema della definizione di quella che doveva essere la “Retta Fede” nascondeva in realtà una vera e propria lotta di potere e di supremazia fra Oriente ed Occidente. La propagazione e la diffusione dell’ortodossia sono sempre andati di pari passo con l’espansione territoriale delle potenze politiche dell’epoca; in ogni caso le resistenze all’ortodossia, immediatamente bollate come eretiche dai detentori del potere, avevano nondimeno alla base aspetti dogmatici, ma anche risvolti sociali e politici non irrilevanti.

Che cos’é l’ortodossia

L’ortodossia, che significa “Fede dritta, retta” (dal greco ortos: verticale), è un insieme di dogmi, il cui credo è giudicato necessario per vivere pienamente la fede di Gesù Cristo, la sola via per la salvezza eterna. In effetti la definizione dell’ortodossia si incentra nel Cristo Salvatore, ma la fede cristiana è stata elaborata e diffusa da Paolo apostolo ed illustrata nei quattro Vangeli, giudicati dalla Chiesa come Santi. Il Cristo, Verbo incarnato, si è fatto uomo per portare all’umanità la salvezza e la parola di Dio. Credere in questa parola significa avere una fede retta. Il problema nella sostanza sta nel fatto che il Cristo non ha lasciato un trattato teologico: la sua predicazione è stata trascritta attraverso gli Evangelisti e per questo umanamente soggetta da interpretazioni. Sono pertanto le interpretazioni dei testi santi che possono essere o meno ortodosse. Da qui il problema fondamentale: quale interpretazione delle Scritture è ortodossa e quale no lo è ? Chi è che stabilisce che cosa è ortodosso o eterodosso?

L’opera dei Concili

 

A partire dall’Imperatore Costantino il Grande (306 - 337) e dalla riunione del 1° Concilio Ecumenico a Nicea nel 325, sono le assemblee dei vescovi che decidono riguardo l’ortodossia e conseguentemente sulla condanna delle dottrine eterodosse. Le loro decisioni sono ritenute applicabili non solo all’insieme dei Cristiani ma al mondo intero (dal greco oikumené: universo, terra abitata). In tal modo a Nicea viene condannato a grande maggioranza l’Arianesimo, dottrina che subordinava il Cristo a Dio. Nella pratica e dopo Costantino, l’Imperatore bizantino si considerava come un “vescovo dell’esterno” e partecipava anch’egli direttamente alla definizione dell’ortodossia. In tal modo è proprio l’Imperatore bizantino che, dopo aver adottato personalmente la dottrina elaborata (credo) dal Concilio di Calcedonia del 451, la impone a tutto il suo Impero, proprio perché fede ortodossa. In occidente sono i Re barbari, che hanno fondato le loro chiese nazionali, quelli che convocano i Concili nazionali, partecipando anch’essi largamente alla definizione dell’ortodossia.

In Spagna, ad esempio, il re visigoto aveva l’abitudine di riunire periodicamente dei concili nella Cattedrale di San Leucadia a Toledo, capitale del regno. Ben 15 Concili vengono indetti a Toledo dal 589 al 693, vegliando instancabilmente affinché i preti, ai quali era stato distribuito un libretto contenente indicazioni pratiche e dogmatiche, rimanessero nella retta fede. Nel 633 il Re Suintula fu persino detronizzato dal Concilio e rimpiazzato da Sisenardo, perché colpevole di essersi allontanato dall’ortodossia. All’inizio dell’8° secolo, il Papa, subordinato e dipendente per la sicurezza da Costantinopoli, non era ancora il garante dell’ortodossia come lo è oggi. Anzi il più delle volte era obbligato ad accettare le decisioni dottrinali bizantine senza neanche contraddirle anche perché, in genere, non conosceva il greco.

 

Sulla Natura del Cristo

 

La definizione dell’ortodossia riguardava essenzialmente la natura del Cristo. In effetti discutere su chi fosse il Cristo in corpo e spirito, equivaleva a pronunciarsi sull’ideale umano, equivaleva alla elaborazione di una regola di vita, promessa di salvezza eterna. D’altronde tutti i Cristiani del medioevo non erano perfettamente d’accordo sulla natura del Cristo. Alla dottrina uscita dal Concilio di Calcedonia, quella considerata ortodossa dall’Imperatore di Costantinopoli e dal Papa di Roma, si opponevano una miriade di concezioni e dottrine diverse. I “Calcedoniani”, considerando che il Cristo era consustanziale al Padre ed allo Spirito Santo, concludevano che Egli era completamente sia uomo che Dio e che quindi possedeva due nature distinte ma unite in una sola persona. I “Nestoriani”, appoggiandosi alle tesi di un Patriarca del 5° secolo, Nestorio, vedevano nel Cristo due nature, ma anche due persone distinte Il Nestorianesimo venne condannato dal Concilio Ecumenico di Efeso del 431. Per reazione al nestorianesimo (ed ai Difisiti)ed appoggiandosi sui lavori di Eutichio, Archimandrita a Costantinopoli, i “Monofisiti” avanzavano la tesi che il Cristo non avesse che una sola natura, divina ed incorruttibile, da prima della sua incarnazione. Anche il Monofisismo viene condannato dal Concilio di Calcedonia del 451.

All’inizio del 7° secolo, l’Occidente non era esente da queste controversie teologiche. L’Arianesimo era ancora molto diffuso. I Longobardi, giunti in Italia del nord alla fine del 6° secolo, erano in gran parte rimasti seguaci di Ario. Per essi il Cristo era il figlio di Dio ma non era consustanziale al Padre, cosa che implicava un concetto di “subordinazione”, inaccettabile per il Papato, che nel tempo opera notevoli pressioni, attraverso le principesse longobarde e bavaresi, come Teodolinda, per ottenere la conversione di principi di Pavia

Una posta in gioco politica

L’esigenza di propagare e di diffondere l’ortodossia rientrava nella sfera delle competenze del ruolo stesso dei sovrani ed in modo particolare di quello degli imperatori bizantini, che si facevano chiamare Isapostolos, cioè “uguali agli apostoli”. L’imperatore bizantino aveva non solo il dovere di convertire il suo popolo ma anche quello di convertire tutti i popoli della terra al cattolicesimo, compito e responsabilità di cui avrebbero dovuto comunque rendere conto nel Giudizio Finale. A questo imperativo escatologico - condurre i popoli alla salvezza eterna - si aggiungeva peraltro un imperativo molto più prosaico e di natura squisitamente politica. In tal modo di fronte all’aggressione persiana, l’Imperatore Eraclio (610 - 641), dovendo far prevalere l’unione sulle divisioni interne, impiega maldestramente l’ortodossia come un mezzo politico. Consigliato dal Patriarca Sergio, egli abbandona il credo di Calcedonia per avvicinarsi ai dissidenti “monofisiti”, dichiarando che il Cristo non aveva che una sola volontà e dando così origine al “Monotelismo”. Questo rimettere in discussione unilateralmente l’ortodossia ufficiale provoca una violenta opposizione da parte dei “Diotelisti”, i seguaci della doppia volontà del Cristo.

Massimo il Confessore, diotelista, si rivolge alla sola autorità morale in grado di tenere testa a Bisanzio: il Papa Martino 1°. Questi convoca nel 649 un Concilio nel Laterano, nel corso del quale viene condannata questa nuova ortodossia imperiale. La crisi del monotelismo, che ha diviso più di quanto non abbia unificato, contribuisce a poco a poco a far scivolare impercettibilmente l’ortodossia da Costantinopoli verso Roma, che in tal modo riesce ad affermare anche la propria indipendenza di giudizio da Bisanzio. Il successo ottenuto costa nondimeno la vita al Papa Martino, arrestato, torturato e giustiziato per ordine dell’Imperatore. Dopo il fallimento del monotelismo, condannato anche dal 6° Concilio di Costantinopoli del 681, l’Oriente bizantino viene sconvolto da una nuova crisi: la crisi iconoclasta, legata essenzialmente al culto delle immagini sante.

I Carolingi contribuiscono alla liberazione del Papato dalla pressione bizantina

La dottrina Iconoclasta viene decretata nel 730 dall’Imperatore Leone 3° e ribadita da suo figlio Costantino. Ma la sua vita sarà molto contrastata. Abolita a partire dal 787, viene quindi ristabilita dall’Imperatore Leone 4° nell’813 e definitivamente condannata l’11 marzo 843 con la “Domenica dell’Ortodossia”, sotto la reggenza della Basilissa Teodora. Questi ripetuti cambiamenti di opinione nel campo dogmatico, contribuiscono a danneggiare notevolmente la credibilità e l’autorità morale di Costantinopoli ed in tal modo la posizione ed il ruolo di “garante” dell’ortodossia si sposta sempre di più verso ovest. Il Papa, rifiutando di farsi coinvolgere nelle dispute bizantine iconoclaste, arriva a condannare, sorretto dalla sicurezza politica che gli viene fornita dalla potenza dei Carolingi, non solo l’iconoclastia, ma anche la venerazione delle immagini, riconoscendo a quest’ultime un mero ruolo didattico. Di fatto il Regno di Carlo Magno (768 - 814) contribuisce alla completa liberazione del Papato dalla pressione bizantina, non fosse altro per la sola presenza di truppe carolingie in Italia ed a Roma. Al sostegno militare e politico dei Carolingi, il Papato ricambia con un sostegno morale e spirituale al Sacro Romano Impero. Ormai tutte le campagne e le conquiste di Carlo Magno si accompagnano a conversioni sulle quali la Santa Sede gode di piena libertà d’azione,

Queste conversioni però diventano anche oggetto di aspre lotte d’influenza fra Roma e Costantinopoli, poiché la conversione di un popolo alla fede ortodossa creava il più delle volte le premesse per un potenziale alleato. A Costantinopoli i principi convertiti entravano con una grande cerimonia nella grande famiglia cristiana e l’Imperatore bizantino diveniva il padrino del nuovo battezzato. In tal contesto l’integrazione definitiva della Bulgaria nella metà del 10° secolo nella sfera di obbedienza bizantina, risulterà propedeutica alla sua successiva integrazione politica nel 1019.

Dottrine già represse possono di nuovo svilupparsi

 

Islam ed eresie

L’ortodossia come arma politica era pertanto una delle ragioni essenziali della sua propagazione, ma questa azione va incontro a numerose resistenze. Di fatto l’invasione araba del 7° secolo impedisce a Costantinopoli di proseguire i suoi sforzi per guadagnare all’ortodossia i Cristiani d’Egitto o dell’Asia Minore. La crisi del 7° secolo rende ormai chiaramente evidente a tutti quanto l’azione e la pressione politica diretta fosse indispensabile ai fini della propagazione della retta fede. In questo momento di crisi molte dottrine, sino a quel momento represse dal potere bizantino, possono di nuovo, entro certi limiti, riprendere a svilupparsi nell’ambito della dominazione mussulmana. In tal modo i nestoriani, seguendo i mercanti arabi, arrivano a convertire alla loro fede, verso la metà dell’8° secolo, dei Turchi della Transossiana e fondare persino un vescovato a Samarcanda, la loro capitale. I Nestoriani, tra l’altro, risultano anche i cristiani più graditi ai Califfi, nella misura in cui essi ricoprono sempre più di frequente la carica di medici di corte. Al contrario i seguaci ortodossi del credo di Calcedonia diventano oggetto di numerose repressioni, in quanto il potere mussulmano li accusa di essere delle spie al servizio di Costantinopoli. In tal modo l’ortodossia bizantina viene deliberatamente perseguitata in vari modi, ed a partire dal 9° secolo le conversioni all’Islam si moltiplicano anche per sfuggire alla Djizia, una tassa speciale pro capite riservata ai Dhimmi, cioè ai Cristiani.

In Occidente e più in particolare in Spagna, vedono la luce due tendenze simultanee e contraddittorie riguardanti l’ortodossia. Da un lato, attratti dalla civiltà e dalla religione mussulmana, dei cristiani si convertono all’Islam o quanto meno integrano nell’ortodossia cattolica, più o meno coscientemente, degli elementi tratti dall’Islam. In tale contesto particolare si sviluppa l’eresia “adozionista”. Secondo Felice d’Urgell, Il Cristo era il figlio adottivo di Dio, rinnegando in tale maniera la consustanzialità del Padre e del Figlio. Questa eresia viene condannata dal Concilio di Francoforte del 794 e fornisce a Carlo Magno il pretesto per intervenire negli affari del Regno delle Asturie di Alfonso 2°. Dall’altro lato ed a fronte di questa diluizione dell’ortodossia, alcuni cristiani di Spagna reagiscono con determinazione, praticando il martirio volontario, oggi molto in voga nell’Islam. Essi ingiuriavano pubblicamente l’Islam, cosa che comportava automaticamente la loro esecuzione per decapitazione.

Nuove eresie si sviluppano fra i cristiani

Tuttavia l’ortodossia non viene messa a dura prova solamente nelle terre dell’Islam. Nnuove eresie, con origini e nature diverse, si sviluppano nel seno della Cristianità e tutte rimettono sostanzialmente in discussione l’ortodossia. In Oriente i Pauliciani, dal nome di San Paolo, hanno una interpretazione spiritualista della Bibbia a tendenza manichea. Per essi ci sono due divinità: un Dio severo dell’Antico Testamento ed un Dio buono del Nuovo Testamento; essi rifiutano il culto della Vergine e considerano che Maria é la Gerusalemme celeste nella quale Gesù è entrato da precursore. Essi ricusano anche il culto della croce, strumento di supplizio ed intendono per “croce” Gesù con le braccia aperte. I pauliciani avevano costituito un piccolo stato in Asia Minore, da dove effettuavano dei raids contro i villaggi bizantini. La loro capitale Thepriké viene conquistata con la forza nell’878 e l’eresia debellata. Di fronte alla esagerata accumulazione di ricchezze da parte della Chiesa, si sviluppa nella penisola balcanica l’eresia Bogomila. Anche’ssa professa due divinità ed assimila i preti ai farisei, ricusando la validità dei sacramenti. I Throndraki, per i quali Dio è prima di tutto Amore, praticavano invece una vita in comune. Per essi ogni uomo può definirsi Gesù, in quanto questi era stato scelto dallo stesso Dio fra gli uomini.

Un’ultima ondata di eresie tocca direttamente intorno all’anno mille ed in maniera differente sia l’Oriente che l’Occidente. Tutte queste hanno come radici comuni la riforma monastica che crea per conseguenza un diffuso clima penitenziale nella società dell’epoca. Questo è il periodo in Italia dei Camaldolesi di San Romualdo e della ripresa dell’eremitismo. L’eresie che si sviluppano ad Arras, a Monforte nel 1025, hanno in comune il disprezzo del corpo; gli eretici di Orleans del 1022 affermano che l’uomo è cattivo per natura, che il perdono dopo il peccato è impossibile, che il battesimo non apporta la Grazia, che la consacrazione delle ostie non ha alcun effetto. Il rogo viene quasi di norma a sanzionare tutte queste prese di posizione. Per contro in Oriente l’eresia professata da Eleuterio, affermava, come in Occidente, che la natura umana è fondamentalmente cattiva, ma differiva nelle sue conseguenze pratiche: per i seguaci di questa eresia, l’unione con lo sposo celeste veniva assimilata all’unione sessuale. Un monaco, dopo un anno di astinenza, poteva unirsi con due donne; peraltro era anche accettato colui che per ricercare la propria salvezza, si castrava. Pratiche strane, condannate come eretiche e scandalose.

Una difficile formulazione

La definizione dell’ortodossia si è da sempre scontrata con una molteplicità di interpretazioni della Bibbia. A fronte dell’impossibilità di spiegare attraverso l’ausilio della sola ragione l’ortodossia, i responsabili politici e religiosi sono stati costretti a sceglierne una (in modo arbitrario), ma da quel momento l’ortodossia passa al servizio di quelli che la elaborano e la sua propagazione e diffusione divengono degli strumenti e delle sfide politiche e religiose. In tale contesto l’ortodossia si è dovuta confrontare all’esterno della Cristianità con l’Islam ed il paganesimo ed al suo interno con le concezioni cristologiche eterodosse, con le eresie, senza parlare del Giudaismo. L’Oriente e l’Occidente, in teoria d’accordo sull’ortodossia definita a Calcedonia nel 451, hanno vissuto il Cristianesimo in maniera sempre più diversa. Questa pratica diversa della religione, messa poi pienamente in luce dallo Scisma del 1054, giunge persino a rimettere in discussione la stessa ortodossia delle due cristianità, per effetto della loro storica reciproca diffidenza. Esattamente cento cinquant’anni più tardi, dallo strappo del 1054 il divorzio fra le due chiese è ormai consumato. In effetti il vero scisma ha inizio a partire dal 1204 ed è la risultante dello sviamento della 4^ Crociata dei latini e della presa di Costantinopoli. Alla separazione fra Cristiani d’Oriente e d’Occidente si aggiunge nel 16° secolo un’altra separazione ancora più brutale fra cattolici e riformati. Se però l’unità d’Europa in costruzione ha potuto superare quest’ultimo ostacolo religioso nato del 1500, il processo di unificazione in atto non sembra ancora, a parte la Grecia, avere superato la frontiera fra l’Europa cattolica e protestante da un lato e quella ortodossa dall’altro.

Massimo Iacopi

Riepilogo cronologico

Eresia di Nestorio, condannata nel 431;

Eresia Monofisita, condannata nel 451;

Eresia Monotelista, condannata nel 681;

Eresia Adozionista, condannata nel 794;

Disputa Iconoclasta, terminata nell’843;

Eresia Pauliciana, vinta ed estirpata nell’879;

Fra le eresie dell’anno Mille, l’Eresia Bogomila sopravvive in Bulgaria per tutto il Medioevo e contribuisce allo sviluppo del Catarismo.

BIBLIOGRAFIA

                                                            

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