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    IACOPI o JACOPI: una serie di antiche famiglie originarie della TOSCANA
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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

Una vita di ricerche per conoscere chi sono.

  

      IACOPI o IACOBI di PISTOIA

IACOPI  di SANTA CROCE (del LION NERO del BUE e delle RUOTE) e IACOPI di S. GIOVANNI (delle CHIAVI e del LION d'ORO)  

          (associati alla Consorteria De' Veneri)

Consorteria De' Veneri

 

Famiglie discendenti: 

 

IACOPI o IACOBI del Lion Nero o IACOPI di Santa Croce

Iacopi del Lion Nero, Quartiere di S. Croce e Iacopi di Pistoia, stemma

  IACOBI / IACOPI di Pistoia e IACOBI / IACOPI del Lion Nero, quartiere di Santa Croce oltre a VENERI, DEL VERRE o DELLA SCROFA o DELLA SCROFFA

 

       Stemma IACOPI da uno stemmario di Monaco di Baviera

 

       IACOPI del Bue (di Santa Croce)

 

 

iacopi del Lion d'Oro del quartiere di S. Giovanni.png

       

       IACOPI delle Chiavi, Quartiere di S. Giovanni

 

 

 

 

Secondo il CIABANI, gli IACOPI o JACOBI facevano parte della Consorteria dei VENERI (a loro volta derivati da un certo VENIERO di CINO di COLTO). In realtà, sulla base di documenti recentemente reperiti presso l'archivio di Stato di PISTOIA, gli IACOPI fiorentini sembrerebbero provenire, invece, dall’area montana del pratese-pistoiese nei pressi di Vernio e derivare dagli JACOBI/IACOPI di PISTOIA. Essi, dopo il loro iniziale consolidamento nella città di PISTOIA si sono inurbati in FIRENZE agli inizi del 1300 ed hanno goduto di notevole prestigio nella città del Giglio, sia per gli incarichi ricevuti e le cariche ricoperte, sia per la prospera situazione economica da loro raggiunta.

Ricerche condotte sulla famiglia dei VENERI, artigiani ed orafi di prestigio, che abitavano nel Quartiere di S. GIOVANNI e che avevano il loro sepolcro di famiglia nella Chiesa di S. Marco (fig. 23 e 23a), hanno fatto piuttosto pensare che i Veneri, che danno appunto il nome alla Consorteria (che innalza lo stesso stemma con il porco rampante), potrebbero persino derivare proprio dagli IACOPI, in quanto il loro sviluppo, secondo i documenti reperiti, appare svilupparsi temporalmente, contemporaneo e non precedente, a quello degli IACOPI e per questo motivo non appare totalmente corretto, se non per comunanza di stemma, fare riferimento a tale Consorteria, cui appartenevano anche i DELLA SCROFFA ed i DEL VERRE. In Allegato E1 dati ricavati dalle Tratte per i Tre Maggiori e sintesi genealogica dei VENERI di Firenze derivata dalle stesse.

Prendendo in considerazione gli elementi deducibili dalle carte del MAZZEI, Priorista pistoiese del XVII secolo, come anche dalle carte dei Prioristi Alberto CHIAPPELLI e Guido MACCIO', gli IACOPI/JACOBI, dalle montagne del Pistoiesesi sono inurbati preliminarmente nella città di PISTOIA, dove si erano consolidati, entrando a far parte del Consiglio degli Anziani e ricoprendo più volte la carica di Camerlengo (10) e già nel 1292, erano riusciti ad ottenere la massima carica di Gonfaloniere di Giustizia, con MASINO o TOMMASINO di VEZZOSO. Da questa località alcuni degli IACOPI/JACOBI di PISTOIA, per il prestigio ivi acquisito, si sono quindi naturalmente spostati verso FIRENZE, il centro di attrazione economico e politico del tempo, a partire dalla fine del 1200, inizi del 1300, dove ottengono una definitiva consacrazione negli anni 1310.

Va comunque sottolineato che nel 1319 FIRENZE sottomette la città di PISTOIA, semplificando e favorendo l'esodo verso la città del Giglio delle famiglie maggiorenti pistoiesi.

Questa ipotesi sulla possibile derivazione degli IACOPI di FIRENZE da quelli di PISTOIA, decorre dall'esame dei documenti reperiti presso l'Archivio di Stato di PISTOIA. In effetti, dalle predette carte decorre dal fatto che gli JACOBI/IACOPI di PISTOIA innalzavano, tra l’altro, lo stesso blasone o comunque un blasone decisamente similare (un porco o porcho di nero rampante cinghiato d'argento in campo d'oro) (fig. 23be dalla constatazione che, solo dopo il 1310, gli IACOPI fiorentini riusciranno ad ottenere cariche di un certo rilievo nella città del Giglio, evento che si verifica, circa 25 anni dopo quelle ottenute a PISTOIA ed in concomitanza con la definitiva sottomissione della città a FIRENZE che avverrà nel 1319.

A tal proposito va evidenziato che già nel 1307 un PUSCIUS o (Filip)PUCCIUS JACOPI risulta già cittadino fiorentino ed abitante nel Popolo (Parrocchia) di Santa Felicita di Piazza. Per questo personaggio ci viene in aiuto un documento, appunto del 1307, riportato al n. 691, pag. 305 del Regesto del Liber Censuum Comunis Pistorii di Quinto Santoli del 1915. In effetti, nel documento redatto presso l'Arte dei Calimala, nel Popolo di Sant'Andrea, fra Ardingo di Bonaggiunta de' MEDICI che cede, alla presenza di numerosi testimoni e fidejussori, a Rainerio FIERAVANTI di Pistoia, rappresentante del Comune di PISTOIA, la somma di mille fiorini, il teste PUSCIUS JACOBI, sopraddetto, viene caratterizzato come abitante de Populo  Santa Felicitatis in Piazza (che come tutti gli altri testimoni risultano)... omnibus  de Florentia. In questo caso è evidente la presenza di Puscius come testimone in quanto discendente di una famiglia facoltosa ed illustre della città di PISTOIA. E si tratta proprio del PUGIUS o PUCCIUS JACOBI che nel 1323 assumerà la massima carica fiorentina di Gonfaloniere di Giustizia.

E' molto importante sottolineare, in questo caso, che gli JACOBI di PISTOIA possedevano già, sin dalla fine del 1200, uno stemma ed un cognome consolidato.

Nello specifico, gli IACOPI/JACOBI di FIRENZE, probabilmente associati alla Consorteria de’ VENERI erano meglio conosciuti anche come IACOPI di Santa CROCE (il rione in cui abitava la maggioranza dei rami), risultano particolarmente benemeriti nella città del Giglio per le loro attività commerciali e per le loro sovvenzioni e per il loro mecenatismo. Essi, come già precedentemente evidenziato, alzavano come blasone lo stesso degli IACOPI/JACOBI di PISTOIA e di quello della Consorteria dei VENERI (un cinghiale - anticamente un porcellino o meglio un cinghiale appenninico con la banda bianca) rampante, armato o difeso di rosso, cinghiato o fasciato d’argento in campo d'oro) (fig. 23c, 23d). Va infatti soggiunto che tale animale era particolarmente popolare a Firenze, tanto che ha avuto l’onore di una scultura (il famoso porcellino) proprio nella Piazza del Mercato nei pressi di Ponte Vecchio (fig. 24).

 

Fig. 24: il porcellino di firenze

 

Come sopra evidenziato, la famiglia, per il suo prestigio locale e regionale, era già conosciuta con il suo cognome a FIRENZE già dagli inizi del 1300 ed, in particolare, dopo il trasferimento di diversi membri degli JACOBI di PISTOIA nella città. Ma già nel 1314 notiamo un GUGLIELMO JACOBI, Priore della città di Firenze (di cui peraltro non abbiamo molte notizie) e la nomina di PUCIUS (Filippuccio) JACOBI/JACOPI, sopraricordato, a Gonfaloniere Giustizia nel 1323, ci indica l'avvenuta integrazione degli JACOBI pistoiesi nella città del Giglio. Ancora nel 1372 verrà eletto Priore GIOVANNI JACOBI e nel 1390 anche suo figlio LEONARDO ottiene la carica di Priore. In ogni caso, il Catasto fiorentino del 1427 comprova, l'importanza raggiunta economicamente dalla famiglia che, nel frattempo, viene indicata anche con il solo cognome IACOPI. Dal predetto Catasto si evidenziano in particolare, ben tre rami che, pur portando lo stesso cognome e presumibilmente derivando dallo stesso lignaggio o ceppo familiare, non abitavano più tutti nello stesso sestiere/quartiere e non alzavano effettivamente uno stesso stemma in comune. Si tratta di NOFRI di NOFRI di GIOVANNI (?) IACOBI e TOMMASO di GIOVANNI IACOBI, capostipite degli IACOPI delle CHIAVI, abitanti nel Quartiere di S. Giovanni (Gonfaloni del Lion d’Oro e delle Chiavi, rispettivamente), mentre GIOVANNI di LEONARDO di GIOVANNI IACOBI, lanaiolo, capostipite degli IACOPI del LION NERO, abita, appunto, nel Quartiere di S. Croce, sotto le insegne del Gonfalone del Lion Nero (Fig. 24a, Quartieri  Gonfaloni a Firenze; vds. anche Nota 8). Vale la pena aggiungere, per completezza di di informazione che il Gonfalone delle CHIAVI confinava con il Quartiere di S. CROCE e più precisamente con il Gonfalone della RUOTA. Questo aspetto geografico ci conferma che gli IACOPI citati derivavano tutti da un ceppo comune.

Inoltre agli inizi del 1400 GIOVANNI di LEONARDO IACOPI, predetto, ottiene l'autorizzazione a costruire un sepolcro nel pavimento della Chiesa di Santa Croce (nei pressi della statua di Dante), la cui lastra tombale riporta, oltre allo stemma tradizionale del casato (il porco rampante), la scritta: IOANNES IACOBI LEONARDI FILIO (ovvero il cognome storico della famiglia).

Un esame sotto l’aspetto degli stemmi, utilizzati dai vari rami ci fornisce ulteriori utili elementi di valutazione. In effetti, a parte il ramo di NOFRI di NOFRI suddetto, per il quale non risulta noto alcun blasone, l’esame dei documenti del CERAMELLI PAPIANI, conservati presso l’Archivio di Stato di Firenze, ci evidenzia, gli stemmi utilizzati dalle famiglie di Firenze.

Nel caso degli IACOPIlo storico, oltre allo stemma degli IACOPI de’ TORNAQUINCI (già precedentemente esaminato), enumera, in particolare, quello degli IACOPI di SANTA CROCE o del LION NERO, che innalzavano, come visto in precedenza, un “Cinghiale - ex porco - rampante di nero e cinghiato d’argento in campo d’oro”(l'animale ci ricorda l'antico cinghiale appenninico con la cinta bianca ed il suo famoso discendente addomesticato, il maiale di cinta senese) (fig. 24b, 24c e 24c1) e quello degli IACOPI di S. GIOVANNI o delle CHIAVI, che mostrava “un massacro di cervo d’oro in campo azzurro” (fig. 24d) (uno stemma molto simile a quello degli UBALDINI di Firenze). Entrambi gli stemmi ci indicano, comunque, una comune appartenenza ed una comune provenienza, quella dei cacciatori (Veneri) e che la loro diversità deriva, con ogni probabilità essenzialmente da divergenze interne alla famiglia o puramente dalla semplice necessità di distinguersi dagli altri rami del ceppo familiare. Questa logica, appena evidenziata, viene ampiamente confermata anche dal fatto che non tutti i rami degli IACOPI di SANTA CROCE utilizzeranno lo stesso stemma familiare. Di fatto, mentre il Priorista MARIANI, nelle sue note, indica come blasone della famiglia “un porco di nero rampante cinghiato di argento” (IACOPI antico), il ramo di ZANOBI o ZENOBIO di GIOVANNI di LEONARDO IACOPI, Capitano a CAMPIGLIA MARITTIMA (LI) nel 1471 per i Medici, lascerà sulla facciata del palazzo pubblico di Campiglia uno stemma leggermente diverso “D’oro al porco (cinghiale) al naturale rampante (senza cinghia d’argento) (fig. 24e e 24f) e tale stemma verrà successivamente riportato nello stemmario settecentesco, appartenuto agli Elettori di Baviera, oggi consultabile nella Biblioteca di MONACO di BAVIERA, relativo alle famiglie patrizie fiorentine, ma con una ulteriore variante: “D’oro al cinghiale al naturale rampante, difeso di nero”  (fig. ). Per completezza di informazione, va inoltre ricordato che nel Rione di Santa Croce vivevano altri rami degli IACOPI ed in particolare quello di ZACCARIA IACOBI ..., forse figlio o fratello del Priore GIOVANNI, che viveva sotto il Gonfalone del BUE (IACOPI del BUE) e quello di PIERO di Nicolò IACOPI, forse notaio, che abitava sotto le insegne del Gonfalone delle RUOTE (IACOPI delle RUOTE; Archivio delle Decime del 1427, Poligrafo GARGANI), mentre dall’Archivio delle Decime del 1433 rileviamo che un certo PIERO di TOMMASO di GIOVANNI IACOPI lavorava come fornaciaio ed abitava nel rione di Santo Spirito, sotto le insegne del Gonfalone del DRAGO.

In ogni caso, gli IACOPI, dediti alla mercatura, si erano arricchiti con i loro commerci, compiendo una rapida ascesa sociale e venendo ammessi alle più importanti Magistrature cittadine. Di fatto, tutti gli Iacopi furono “imborsati” ed ascritti per ben 165 volte nelle “Tratte” rappresentative cittadine (Allegato F: tre Maggiori Consigli) e, complessivamente, per ben 248 volte, considerando anche le cariche istituzionali di Console delle Arti e del Collegio della Mercanzia (11). L’elenco completo dei personaggi della famiglia IACOPI interessati a tali attività sono documentati nel dettaglio nell’Allegato F1. La condizione popolare, infatti, consentì a molti membri della famiglia di ricoprire numerose volte la carica di Priore del comune fiorentino e più precisamente, per quanto deriva dalle ricerche effettuate, ben 18 volte negli anni:

 

1314 (GUGLIELMO di Iacopo);

1323 (Filip-PUCCIO po, PUGIUS IACOBI (Gonfaloniere di Giustizia, anche da Elenco dei Priori del RAVEGGI);

1324 (Filip-PUCCIO o PUGIUS JACOBI) (per PUGIUS, alias PUSCIUS, alias PUCCIUS JACOBI);

1372 o 1374 (GIOVANNI JACOBI di PUGIUS ?, tavoliere);

1390 (LEONARDO (di GIOVANNI) JACOBI);

1420 (GIOVANNI di LEONARDO di GIOVANNI JACOBI) (citato nei documenti  come nipote abbiatico del 1° Giovanni; Priorista CALAMAI, pag. 222);

1436 (GIOVANNI di LEONARDO di GIOVANNI JACOBI);

1450 (GIULIANO di GIOVANNI di ZACCARIA);

1455 (ZANOBI di GIOVANNI di LEONARDO);

1473 (BERNARDO di GIOVANNI di LEONARDO);

1489 (GIOVANNI di BERNARDO di GIOVANNI);

1498 (GIOVANNI di BERNARDO di GIOVANNI);

1503 (GIOVANNI di BERNARDO di GIOVANNI);

1513 (GIOVANNI di BERNARDO di GIOVANNI);

1516 (LORENZO di BERNARDO di GIOVANNI);

1518 (LUCANTONIO di PIERO di TOMMASO),

1522 (LORENZO di BERNARDO di GIOVANNI), ed infine nel

1688 (ALESSANDRO di LORENZO).

Ma a queste date potrebbe essere aggiunta, quella del:

1425-28 (IACOPO di GUERRIANTE JACOBI). Per questo personaggio, che non è provato che appartenga per certo alla famiglia Iacopi, altri riportano la data del 1417);

personaggi, tutti ricavati dalle Tratte e che porterebbero a 19 il numero totale dei Priori/Gonfalonieri della famiglia. Inoltre dal 2° vol. del Libro “Famiglie di Firenze di Roberto Ciabani, Beatrix Elliker ed Enrico Nistri, editore Bonechi, 1992, un BERNARDO di Iacopo di Matteo Iacopi risulta essere stato eletto, nel 1437, alla carica di Gonfaloniere di Giustizia, ma, in realtà, il personaggio citato dal Ciabani non appartiene alla famiglia degli Iacopi ma a quella dei CIACCHI !!

Va, peraltro, sottolineato il fatto che, riguardo le date suddette, esistono delle discrepanze e quelle riportate inizialmente sono state tratte dal lavoro “Storia Genealogica della nobiltà e cittadinanza di Firenze” del Mecatti del 1754. Inoltre, prima della suddivisione della città in Quartieri (1343), risulta che uno IACOPI sia stato eletto Priore per il Sestiere di S. Pancrazio, che, come abbiamo visto, é con ogni probabilità proprio il PUGIUS suddetto (Allegato F2). (Fig. 25, 25a e 25b, quartieri, sestieri e quartieri di FI).

In conclusione, tutti gli elementi ricavati dai documenti delle Tratte ci dicono, infatti, che questa branca degli IACOPI/JACOBI di FIRENZE deriva necessariamente dagli JACOBI di PISTOIA (per comunanza di stemma e di cognome), forse associati alla Consorteria dei VENERI e che il PUGIUS JACOBI suddetto risulta presente e cittadino di Firenze già dagli inizi 1300. La famiglia, con le cariche ricoperte, risulta aver acquisito, a partire da tale periodo, un certo peso nel tessuto sociale della città. Notiamo, infatti, che i vari rami della famiglia abitano, agli inizi del 1300, nei Sestieri di S. Giovanni e S. Pancrazio (Brancazio) (fino al 1343 la città era stata suddivisa in Sestieri e solo da tale data verrà ripartita in Quartieri e Gonfaloni) e che il 1° della famiglia a ricoprire cariche pubbliche risulta, nel 1314, GUGLIELMO JACOBI, nato anteriormente al 1280, che, nell’anno, viene eletto Priore per il Sestiere di S. Pancrazio, mentre nel 1323, il nostro FILIPPUCCIO o PUGIUS o PUGGIUS JACOBI del Sestiere di S. Pancrazio, ottiene la carica di Gonfaloniere di Giustizia, la massima carica politica fiorentina (il personaggio doveva avere intorno ai 50-60 anni, in quanto per essere eletti a Gonfaloniere di Giustizia, la massima carica istituzionale fiorentina, occorrevano almeno 40 anni di età, mentre per le altre cariche, Priore, ecc., ne bastavano solo 30 !). Va peraltro sottolineato il fatto che tali personaggi non vengono riportati dai Prioristi nel novero dei priori della famiglia IACOPI, anche se sono stati ormai individuati elementi concreti per ricollegarli a tale famiglia.

Ma come, generalmente, si dice: nessuno é perfetto, specie in questo campo !!!

Stando più semplicemente agli elementi deducibili dalle Tratte, il 1314 sembra, però, l’anno preciso della definitiva consacrazione a Firenze di questa famiglia quando, oltre al GUGLIELMO predetto, che viene eletto Priore, un Ser GIOVANNI JACOBI, ascritto, ovviamente, all’Arte dei Giudici e dei Notai (il titolo di Ser veniva attribuito a tale categoria), viene nominato Notaio della Signoria (ovvero Notaio del governo fiorentino), mentre, nel 1324, anche il PUGIO o PUGGIUS JACOBI sopra ricordato, iscritto all’Arte dei Ferratori, viene eletto fra i Priori sempre per il Sestiere di S. Pancrazio, quello cioè dove abitava il GUGLIELMO predetto (probabilmente suo parente) ed anche la famiglia dei TORNAQUINCI.

Da quanto precede risulta decisamente possibile ed altamente probabile, per tutte le considerazioni soprariportate che proprio dai discendenti di FILIPPUCCIO JACOBI, del Sestiere di S. Pancrazio, o da quelli di GUGLIELMO o di Ser GIOVANNI JACOBI, dello stesso quartiere, sia derivato il ramo più importante della famiglia, appunto gli IACOPI di S. CROCE, detti anche del LION NERO, (fig. 26 Gonfaloni di S. Croce), così chiamati per il fatto che, dopo la metà del 1300, la maggioranza dei suoi membri prenderà stabile dimora nel Sestiere di S. Piero Scheraggio, poi nel Quartiere di Santa Croce, sotto le insegne del Gonfalone del Lion Nero, mentre un ramo, discendente ZACCARIA (vedi sotto), viveva nello stesso quartiere sotto le insegne del Gonfalone del Bue (IACOPI del BUE), nel rione finitimo (vds. fig. 24a).

In sostanza, partendo proprio dal documento del 1307, recentemente scoperto per PUSCIUS, PUGIUS JACOBI, che dimostra la sua affinità con gli JACOBI di PISTOIA, si può legittimamente inferire, senza peraltro poter disporre di ulteriori pezze d’appoggio a supporto, che, a partire dalla fine del 1200, la famiglia IACOPI, dopo essersi consolidata nella città di PISTOIA, (10) si sia portata con uno o più rami nella città del Giglio (specie dopo il 1319), collegandosi forse con la Consorteria dei Veneri (cacciatori) - che accomunava diverse categorie di lavoro, quali quelle relative alla filiera del trattamento della carne, (cacciatori, beccai, commercianti di carne secca, pizzicagnoli, ecc.). Ma un altro elemento importante e decisivo é rappresentato dal fatto che già dalla fine del 1200 la famiglia era nota a Pistoia con la sola denominazione JACOBI e che sia gli JACOBI di Pistoia che gli JACOBI di Firenze innalzavano praticamente lo stesso stemma, confermato anche dai documenti reperiti a Pistoia. in particolare dai Prioristi FRANCHI, CHIAPPELLI e MACCIO’ (gli ultimi due più recenti). Nello specifico, nelle carte del FRANCHI si legge per la blasonatura dello stemma del 1292 del Gonfaloniere di PISTOIA, (Tom) MASINO di VEZZOSO JACOBI quanto segue: “In campo tutto giallo, ha un porcho, con una striscia bianca nel corpo”. (vds. fig. 26a, 26b, 26c. 26d e 26e; Immagini tratte rispettivamente dal CHIAPPELLI e dal MACCIO'). Da ultimo un altro elemento che rafforza la tesi dello spostamento degli JACOBI di Pistoia a Firenze ci è fornito anche dal fatto che a partire dalla metà del 1400 non si trovano più documenti che attestino personaggi e fatti della famiglia a Pistoia, che probabilmente era passata armi a bagagli nella città del Giglio..

Agli inizi del 1300, avendo raggiunto un certo benessere, gli Iacopi riescono ad effettuare un salto di qualità nel tessuto sociale fiorentino, dove cominciano ad annoverare, oltre ad artigiani veri e propri, anche imprenditori ed uomini di diritto, marcando così il suo consolidamento nel contesto della società di Firenze. Ed é proprio nel corso del 1300 che la famiglia, dopo aver iniziato a diversificare le proprie attività e tendendo ad entrare in Arti, per così dire più “nobili”, parteciperà a pieno titolo, proprio per la sua condizione popolare e borghese di partenza, alla vita politica cittadina, mentre alcuni rami della stessa famiglia si porteranno da FIRENZE o dalla stessa PISTOIA, nel corso dello stesso secolo e sotto la spinta delle attività commerciali, nel centro commerciale e finanziario della città di LUCCA ed in quello di BOLOGNA. Di fatto, agli inizi del 1300 una pergamena riporta una denuncia d’estimo fatta da mercanti pistoiesi residenti a BOLOGNA, nella parrocchia di San Michele del Mercato di Mezzo. Ne risulta autore un certo Franchino di Boldo Franchini, che scrive a nome suo, del fratello Sinibaldo e di SINIBALDO Iacopi, già socio del padre. Essi chiedono di essere posti all’estimo di Porta Piera e non più a quello di Porta Ravennate, a cui Boldo Franchini, ancora vivo, e Sinibaldo Iacopi erano ascritti … (pag. 157 di “Testi pistoiesi della fine del 1200 e dei primi del 1300” con introduzione linguistica, glossario ed indici onomastici di Paola MANNI, Accademia della Crusca, 1990).

Per quanto riguarda LUCCA, oltre a degli IACOPI che potrebbero esservisi stabiliti per motivi commerciali, sembra opportuno ricordare che nel 1304 un Pietro IACOPI da Montepulciano era Maggior Sindaco della Città di Lucca. Da pag. 234 di “Collezione di opere inedite o rare di Lucca” Archivio di Stato di Lucca e che uno IACOPO di Piero o Pietro IACOPI, agli inizi del 15° secolo era Capitano della Cittadella di Lucca, al servizio di Paolo GUINIGI (i suoi discendenti daranno origine al ramo degli IACOPI di LUCCA che, nella sua branca principale, assumerà poi il cognome di CITTADELLA e prima dell’estinzione del ramo principale daranno origine CITTADELLA CASTRUCCI di Lucca). (Fig. 27 e 27a, stemmi Cittadella e Cittadella Castrucci)). In un documento di Ser Ciomeo Pieri del 16 agosto 1430 risulta riportata la copia dei capitoli di consegna della Cittadella di Lucca, dopo la caduta della Signoria del Guinigi, a FRANCESCO di Iacopo di Pietro ? IACOPI, autenticata dal Cancelliere Maggiore del Consiglio: Tolomeo dal Portico. (Estratto da pag. 42 della rivista “Archivi d’Italia e rassegna internazionale degli archivi”, Eugenio Casanova, Bibliotheque des “Annales institutorum”). Questo documento prova che il suddetto IACOPO, al momento della caduta in disgrazia del Guinigi, colse, con molto buonsenso, la nuova direzione in cui spirava il vento si sia accordato con i rivoltosi ed abbia consegnato la fortezza alla Repubblica da poco ricostituita, in cambio, ovviamente, di onori e privilegi e, naturalmente, la conferma nella la carica di Capitano della Cittadella e che tale carica era, appunto, passata a suo figlio Francesco nell’agosto 1430. Il 21 aprile 1461, il figlio di Francesco, NICCOLO’ IACOPI di Cittadella, inoltra una supplica al Consiglio Generale di Lucca, ottenendo una risposta nello stesso giorno. In definitiva gli IACOPI, che erano rimasti nella carica di capitano della Cittadella di Lucca, iniziarono, da allora, a chiamarsi IACOPI di CITTADELLA e successivamente solo CITTADELLA.

Gli IACOPI di CITTADELLA abitavano, infatti, a Lucca nel Palazzo ex Orsetti, sulla “Piazza Cittadella”, la vecchia "Piazza di Poggio", (quindi "Piazza del Grano"), nome derivato da una famiglia che anticamente aveva qui le sue case. Ma il nome attuale della piazza deriva appunto dagli Iacopi che, nel corso del 1400, assunsero un nuovo cognome . In effetti, qualche tempo dopo, forse anche a ricordo dell’evento, la famiglia mutò il cognome in CITTADELLA integrandosi pienamente nella vita della Repubblica Lucchese. Da allora i CITTADELLA furono una famiglia in vista, proprietari di vasti possedimenti terrieri nella zona di Ciciana, i cui membri ricoprirono importanti cariche: Anziani, Ambasciatori e Gonfalonieri. Intorno al 1700 venne celebrato il matrimonio di un Cittadella con Luisa CASTRUCCI: che sanzionava l’alleanza di due importanti famiglie lucchesi che garantì continuità di potere e cariche alla famiglia CITTADELLA. I suoi membri, personaggi di spicco anche al tempo dei BACIOCCHI, sono anche menzionati due volte nel "Libro d'oro" di Carlo Ludovico nella classe dei Patrizi. Carlo Ludovico, in persona, conferì loro nel 1837 titolo e dignità di Marchese. Il ramo principale della famiglia si estinse il 12 Aprile 1896 con la morte dell'ultimo membro, ENRICO CITTADELLA.

Tornando agli Iacopi di Santa Croce, l’esame  dei ruoli delle Matricole del Collegio della Mercanzia (11, la Confindustria fiorentina dell'epoca) o delle Arti Maggiori e Minori (Allegato F3), nonché il libro “Orsammichele” di Diane Finello Zervas, Istituto di Studi Rinascimentali, 1996, ci permettono di ricavare numerosi elementi interessanti. Vediamo, in questo contesto, che:

nel 1373, GIOVANNI JACOBI di Pugio ?, abitante nel quartiere di S. Croce, risulta esercitare l’attività di tavoliere, mentre alla fine del secolo risulta iscritto nei ruoli dell’Arte della Lana; di fatto era un Lanaiolo. Va sottolineato che l’essere iscritto ad un arte non significava necessariamente esercitare tale attività, ma l’essere iscritto ad una qualsiasi delle Arti, a prescindere dal mestiere esercitato, costituiva la conditio sine qua non per poter accedere alla vita politica cittadina.

nel 1386, GIOVANNI di GIOVANNI JACOBI, risulta svolgere l’attività di “armaiolo”;

nel 1408, GUERRANTE o GUERRIANTE JACOBI, abitante del Quartiere di S. Maria Novella, ricopre  la carica di Console dell’Arte della Seta, meglio conosciuta come Arte di Por Santa Maria

nel 1412, IACOPO di MICHELE IACOPI risulta esercitare la carica di Console nell’Arte dei Chiavaioli,

nel 1420, ZACCARIA o ZACARIA JACOBI o IACOPI, probabilmente fratello di GIOVANNI predetto, abitante nel Quartiere di S. Croce, sotto le insegne del gonfalone del Bue, iscritto nei ruoli dell’Arte della Lana,  appare, nel 1420, come uno dei 5 principali azionisti, insieme a Giunta Gherardi e Iacopo Foresi, della Compagnia De’ BONI di Pistoia (pag. 164 di Medieval and Renaissance Pistoia. The social history of an italian town 1200-1430 di David Herlihy della Yale University; (altra prova dei legami rimasti con il Pistoiese)

Nel 1425 e nel 1430, IACOPO di GUERRIANTE suddetto, risulta far parte del Consiglio dei Buonuomini;

nel 1428, lo stesso IACOPO di GUERRIANTE viene eletto fra i Priori per il Quartiere di S. Maria Novella;

nel 1431, Ser IACOPO di Antonio IACOPI (ricordato anche in un rogito di un documento del 1448) viene eletto alla carica di Notaio della Signoria ;

nel 1434 Ser PAOLO di Cino IACOPI, cugino del precedente ed iscritto nell’Arte dei Giudici e dei Notai, viene anch’egli eletto alla carica di Notaio della Signoria;

nel 1438 giugno, LEONARDO di GIORGIO di MICHELE di Iacopo, risulta esercitare l’attività di “biadaiolo”. (pag. 225 di “Orsammichele” di Diane Finello Zervas);

nel 1436, 1439, 1441 e 42, PIERO di Tommaso di GIOVANNI di Iacopo ricopre la carica di Console nell’Arte dei Fabbri; (un’arte coerente con quella esercitata da Pugio di Iacopo ferratore, predetto)

nel 1467, TOMMASO di PIERO di GIOVANNI IACOPI, figlio del precedente, ricopre anch’egli la carica di Console nell’Arte dei Fabbri ;

nel 1471, IACOPO di GIOVANNI di PIEROZZO IACOPI risulta eletto Console dell’Arte dei Fabbri attività indubbiamente affini a quella del loro avo.

Nel 1473 un GIROLAMO IACOPI dichiara fallimento nella sua attività (da Diari di Ser Giusto d'ANGHIARI).

nel 1484, ZANOBI di GIOVANNI di LEONARDO JACOBI ricopre l’importantissima carica di Console del Collegio della Mercanzia  (la Confindustria di Firenze)

nel 1485 e nel 1487, BERNARDO di GIOVANNI di BERNARDO (o LEONARDO ?) JACOPI ricopre anch’egli, per ben due volte, l'importantissima carica di Console del Collegio della Mercanzia .

In particolare, la figura di GIOVANNI JACOBI di Pugio ? sopracitato,  spicca su tutte le altre della famiglia perché nel 1373, arriverà, per il suo prestigio, ad essere eletto Priore per il Quartiere di S. Croce (fatto che dimostra che la sua famiglia ha già spostato la residenza nel predetto quartiere) e che all’epoca del Priorato, pur essendo un lanaiolo come attività, era iscritto all’Arte dei Tavolieri. (solo successivamente entrerà di pieno diritto a far parte dell’Arte della Lana). Questo personaggio, morto prima della fine del 1300, costituisce il primo vero imprenditore della famiglia, organizzando - con il figlio LEONARDO, morto nel 1401 e sposato con Francesca, alias Checca di Nicola del fu Riccardo ZAGNI in Marucelliana, Codice A - 145) ed iscritto nei Ruoli dell’Arte della Lana - il primo abbozzo di una attività proto industriale nel campo della lavorazione della Lana (non si hanno dati certi sul fatto che gestisse direttamente o meno una gualcheria, che, come noto, assemblava i mestieri di “ciompo” o “scardassiere” o cardaiuolo/cardatore, di filatore, di tessitore al telaio, di lavatore, di purgatore - che libera la lana dall’olio e da impurità, di cimatore - che tira i peli dalla lana, di tintore, di tiratore, nonché di ricamatore). Tutto questo diventerà una realtà concreta con il suo nipote omonimo GIOVANNI di LEONARDO di GIOVANNI.

In ogni caso, il suddetto GIOVANNI JACOBI, Priore di Firenze nel 1373 , direttamente coinvolto nelle lotte contro le rivendicazioni degli operai della lana, si schiera con gli intransigenti e dalla parte dei Capitani di parte guelfa ed, in un certo senso, anche con la sua azione contribuisce allo scoppio del Tumulto dei Ciompi (24 giugno 1378), scatenato proprio dalle rivendicazioni di un “ciompo” o pettinatore della Lana, Michele di Lando. Travolto dagli eventi, GIOVANNI, che era diventato un personaggio influente in città, viene escluso con la sua famiglia dal potere comunale e solo dopo la normalizzazione del potere, avvenuta nel 1382, la famiglia potrà ritornare ad assumere cariche pubbliche in città. Rientrato in piena attività, GIOVANNI, continuando comunque nella sua attività commerciale, nel luglio 1385 e nel 1392, risulta il rappresentante della compagnia commerciale “Francesco di Marco DATINI e compagni di PRATO” nel fondaco di AVIGNONE, presso la corte papale e nel novembre dello stesso anno lo troviamo rappresentante della stessa compagnia a BARCELLONA (da “Inventario dall’archivio di Francesco di Marco Datini, di Prato, fondaco di Avignone”, di Elena … 2004).

Proprio da TOMMASO e GIOVANNI suddetti derivano con certezza rispettivamente, i rami degli IACOPI del di S. GIOVANNI e di SANTA CROCE. Da TOMMASO di Giovanni JACOBI, ricordato nel catasto del 1427 come abitante del Quartiere di S. Giovanni ed iscritto all’Arte dei Fabbri, derivano gli IACOPI delle CHIAVI (di S. GIOVANNI), mentre da LEONARDO di GIOVANNI JACOPI e da ZACCARIA JACOBI, del quartiere di S. Croce, provengono, rispettivamente, gli IACOPI del LION NERO e gli IACOPI del BUE (detti di SANTA CROCE).

Gli inizi del 1400 e tutto il secolo che segue segnano il definitivo consolidamento degli IACOPI del LION NERO o di Santa CROCE nella città di Firenze. Nel 1401, LEONARDO figlio di GIOVANNI suddetto, già Priore nel 1390 ed iscritto all’Arte della Lana, viene rieletto fra i Priori per il Quartiere di S. Croce, ma non potrà entrare nelle sue funzioni in quanto muore prima di assumere l’incarico. Suo figlio GIOVANNI di LEONARDO, nato nel 1387 e sposato nel 1410 con Angela de’ CEFFINI, risulta esercitare l’attività di “lanaiolo” (pag. 225 di Orsammichele di Diane Finello Zervas, Istituto di Studi Rinascimentali, 1996) e viene eletto fra i Priori per lo stesso quartiere nel 1420 e nel 1436. Lo stesso personaggio viene anche ricordato, insieme al figlio ZANOBI, alle pag. 135 e 344 del “Priorista, 1407-59” di Pagolo di Matteo Petriboni e Matteo di Borgo Rinaldi e risulterebbe aver ricoperto nuovamente la carica di Priore per S. Croce nel 1434.

Dal 1424, infine, gli IACOPI erano entrati a far parte, per la 1^ volta con il predetto GIOVANNI di Leonardo, anche del Consiglio dei Buonuomini (4) - carica che successivamente verrà ricoperta con una certa frequenza da altri membri della famiglia fino al 1531, data della definitiva restaurazione medicea - e nel corso del secolo raggiungeranno anche la prestigiosa carica di Console del Collegio della Mercanzia in Orsammichele (11). Sarà proprio GIOVANNI di LEONARDO, per l’accresciuto prestigio guadagnato dalla famiglia, ad ottenere il privilegio di un sepolcro nella Chiesa di S. Croce, realizzato nel pavimento della navata destra della chiesa, quasi di fronte al monumento dedicato a Vittorio Alfieri e non lontano dalla staua di Dante

L'elevato prestigio conseguito della Casata è anche dimostrato dalle numerose importanti parentele acquisite con le maggiori famiglie della città, fra le quali giova ricordare quella con gli Adimari, gli Alberti, gli Ambrosi, gli Attavanti, i Bini, i Benvenuti, i Borghigiani, i Ceffini, i da Filicaja, i Da Gagliano, i Da Uzzano, Da Diacceto, i Da Quarata o Quaratesi, Del Pellicciajo, i Della Tosa o Tosinghi, i Filippi, i Franceschi, i Gianfigliazzi, i Guicciardini, i Lapaccini, i Lanfredini i Lottieri, i Martelli, i Medici, i Michelozzi, i Nerli, i Nucci, i Rondinelli, i Serragli, i Silvestri, i Serristori, i Vettori, gli Zagni, gli Zati, ecc..

 

Stemmi Famiglie imparentate con gli IACOPI

 

A titolo di esempio, vengono riportati alcuni brani estratti da documenti a giustificazione di quanto sin qui affermato:

- Silvestro CEFFINI, sposato con Piera d'Uberto dei Ridoli, ebbe per figlia ANGELA che andò sposa a GIOVANNI di Leonardo IACOPI nel 1410. Da questo matrimonio nacquero almeno dodici figli maschi, fra i quali: LIPPO, GIOVANNI, MATTEO, LUDOVICO, BERNARDO, GIROLAMO, CEFFINO, SILVESTRO, GIULIANO, MAURO e TOBIA IACOPI (Gamurrini: Istoria Genealogica delle famiglie toscane ed umbre, pag. 269, anche se ci sono però dei dubbi sulla attribuzione dei 12 figli agli Iacopi piuttosto che ai Ceffini). In effetti, dall’elenco riportato da Gamurrini non risulta il nome di ZANOBI, più sopra citato nel “Priorista del 1407-59” e che il Bartolomeo Cederni ricorda spesso nella sua corrispondenza con i CEFFINI. Di fatto alle pagine 15, 16 e 121 di “Bartolommeo Cederni and his Friends: letters to an obscure fiorentine”, di Kent Francis William, Corti Gino, Olschki, 1991, viene detto che, nel corso del 1457, il “Cederni, chiedendo notizie di casa Ceffini scrive: “saluta il nostro Salvestro di Zanobi e Lionardo, Bernardo e Zanobi (di Giovanni) IACOPI e cotesti altri nostri patrizi; non solo mi saluta que’ primi, ma a loro mi raccomanda, maximamente al mio Salvestro, doctrinato dal nostro buono vechione, spechio e lume della religione e fede cristiana”. Segue nota 54 al testo che riferisce: “Occorre dire che questi IACOPI, la cui famiglia proviene dal distretto del Lion Nero del quartiere di S. Croce, non risultava preminente nella corrispondenza, anche se Zanobi o Zenobio Iacopi si scriveva molto intimamente diverse volte nel corso del 1457 con il Cederni”;

- Nel 1420, Lorenzo di Domenico ATTAVANTI si ammogliò con PIERA di Ser Iacopo d'Antonio Iacopi e dalla stessa ebbe Bartolomeo, Domenico ed Attavante Attavanti (Gamurrini: Idem, pag. 269);

- Nel 1432, MARIOTTO di Luca Iacopi sposa Bartolomea di Salvatore Da UZZANO;

- Nel 1442, BERNARDO di Giovanni di Leonardo IACOPI risulta sposato a Giovanna di Giovanni di Iacopo BINI;

- Nel 1451, Ser IACOPO di Ser Antonio di Iacopo IACOPI si era sposato con Lisa di Andrea di Bartolomeo de’ SERRAGLI;

- Nel 1459, BARTOLOMEO di Lorenzo IACOPI risulta essere sposato a Ludovica di Alberto del dominus Alberto Aldrovando degli ALBERTI;

- Nel 1468, NICOLO’ di Piero Iacopi risulta sposato a Nicolosa di Lorenzo di Bartolo;

- Nel 1469, TOMMASO di Iacopo IACOPI risulta sposato a Costanza di Ugone di Giovanni Del PELLICCIAJO;

- 1470 circa, LORENZO di Bernardo di GIOVANNI Iacopi, cambiavalute, o banchiere, che risulta sposato con Maria o Marietta (+ 1546) di Francesco di Roberto di Nicolò di Ugolino MARTELLI, subisce, un improvviso tracollo finanziario intorno al 1474, secondo le “Ricordanze dal 1433 al 1483: la memoria familiare di Ugolino di Nicolò MARTELLI, tanto da dichiarare fallimento della sua compagnia; LORENZO figura nel numero del Consiglio del Duecento a Firenze nel 1531 per il Rione di Santa Croce (da Storia di Messer Benedetto Varchi dell’abate Silvano Razzi, vol. 2°, pag. 457).

- lo stesso LORENZO di Bernardo di Giovanni sposa Maria MARTELLI. Da pag. 432 di “Mariage Alliance” vol. 114 di Molho Anthony.

- Nel 1475, FRANCESCO di Ser Iacopo di Ser Antonio IACOPI risulta sposato con Brigida di Cristofano di Francesco di Bono di Giovanni da GAGLIANO;

-  Nel 1476, MADDALENA di Iacopo di Giovanni di Zaccaria, abitante nel quartiere di S. Maria Novella, sposa Lazzaro di Tommaso di Francesco (+ 1372) de’ MEDICI;

-  Nel 1488, Simone da FILICAJA, Priore nel 1493, sposa CAMMILLA di Bernardo Iacopi, da cui avrà Giovanni da FILICAJA;

-  Nel 1494, FRANCESCO di Girolamo di Giovanni di Iacopo risulta sposato con Sandra di Zanobi LANFREDINI;

-  Nel 1500, PIERO di Giovanni di Antonio IACOPI risulta sposato con Apollonia di Lorenzo di Piero;

-  Nel 1501 Giovanni Battista, fratello di Mauro di Silvestro di Ludovico di Lippo CEFFINI, sposò in seconde nozze "Donna ALESSANDRA di Francesco Iacopi, dalla quale ebbe Francesco e Girolamo Ceffini, quest'ultimo nel 1545. (Gamurrini: idem, pag. 311);

-  Nel 1503, GIOVANNI di Bernardo di Giovanni Iacopi risulta essere sposato con  Costanza (Tancia) (1488 - 1523) di Averardo di Antonio di Silvestro di Ser Ristoro (SERRISTORI) e muore il 29 giugno 1521 a PISTOIA nella carica di Commissario per il Governo fiorentino per la città;

-  Nel 1509, DIAMANTE di Tommaso di Iacopo IACOPI sposa Agostino di Biagio di Cervagnio CANTINI da DIACCETO;

-  Nel 1524 Pier Filippo GIANFIGLIAZZI, sposa COSTANZA di Lorenzo di Bernardo IACOPI, da cui avrà il Senatore e Cavaliere Giovan Battista.

-  Nel 1526 CATERINA di Lorenzo Iacopi, sposata a Niccolò GUICCIARDINI, ebbe una figlia, Margherita che andò sposa nel 1558 a Giovanni VETTORI (pag. 283 di “Storia di Firenze” di Iacopo Nardi);

-  Nel 1529, GIROLAMO di Francesco di Girolamo IACOPI risulta essere sposato con Lina di Giovanni di Lorenzo FILIPPI;

-  Nel 1529, GIOVANNI MARIA di Lucantonio di Piero di Tommaso IACOPI risulta essere sposato con Costanza di Ferrando di Francesco NUCCI o NACCI;

-  Nel 1539, BERNARDO di Lorenzo IACOPI risulta sposato con Argentina di Corso di Piero ADIMARI (sepolta il 18 marzo 1589); (BERNARDO era morto ad AREZZO nel 1574. Segno evidente delle sue attività bancarie e di commerciante sul luogo).

-  Nel 1549, BARTOLOMEO di Tommaso di Piero IACOPI risulta sposato ad Elisabetta di Gioacchino di Antonio del BORGO (BORGHIGIANI) sepolta il 22 marzo 1583 nella chiesa del Carmine;

-  Nel 1500, prima metà,  CLEMENZA di Lorenzo IACOPI risulta sposata a Domenico di Niccolò LOTTIERI;

-  Nel 1565, GIOVANNI di Bernardo di Lorenzo ? IACOPI risulta sposato a Margherita (sepolta il 20 giugno 1614) di Antonio di Girolamo MICHELOZZI;

-  Nel 1567, GISMONDO di … di Tommaso IACOPI risulta sposato con Faustina di … Francesco AMBROSI;

LORENZO di Bernardo Iacopi, nipote del precedente, aveva sposato Elisabetta LAPACCINI, figlia di Iacopo di M. Alessio, che, nel 1530, pronunciò l'orazione ufficiale per il conferimento del Capitanato Generale della Repubblica di Firenze a Malatesta Baglioni di Perugia. Avrà per figlio NERI FRANCESCO Iacopi che, nel 1616, era stato eletto fra i Canonici fiorentini e che muore nel 1645 (Manni: sigillo VII, pag. 89; sigillo XIV, pag. 137 ed “Elenco dei Canonici fiorentini”);

-  Nel 1650, 29 maggio, ALESSANDRO Iacopi (morto nel 1688), fra i Priori nel 1668, risulta intorno al 1670 sposato con Maddalena di Tommaso ZATI (sepolta 2 gennaio 1697 a S. Maria Maddalena de’ Pazzi).

Per quanto ha tratto con il censo della famiglia, gli IACOPI di SANTA CROCE risultavano avere le loro case in Via dei Fossi (oggi Via Verdi) (fig. 29), davanti al tetro fabbricato delle “Stinche”, che dava su via Ghibellina (oggi il sito del Teatro Verdi, nei pressi del Tabernacolo delle Stinche.  (Fig. 29a,  29b  e 29c)

Il Carcere delle Stinche, costruito nel 1299, prese tale nome per aver ospitato i prigionieri del Castello delle Stinche presso Greve in Chianti. Esso era destinato a Firenze ai prigionieri politici ed in un secondo tempo ai falliti. Fu alienato e distrutto nel 1833. (fig. 29d)

Gli eredi di GIOVANNI di Ser Giovanni Iacopi avevano delle case in S. Giovanni. Nel corso del 1400, gli IACOPI di Santa CROCEriescono ad acquisire dalla famiglia LEONI, un palazzo signorile in via del Fosso (oggi via Verdi), a cui aggiungeranno un giardino, all'angolo di Via del Fosso con Via Ghibellina. Di fatto, dal libro “Firenze il Quartiere di S. Spirito dai Gonfaloni ai Rioni” di Valeria Orgera, leggiamo che “Sulla cantonata fra via Ghibellina e via Verdi la famiglia dei Lioni aveva un palazzetto, poi passato agli Iacopi, i quali vi impiantarono un giardino, dal quale prese il nome il Canto degli Aranci. (Fig. 30, 30a e 30b) In realtà l’area dell’abitazione della famiglia, nel 1640, era conosciuta anche come il Canto delli IACOPI (vds. nota 51 pag. 949 del vol. 3°-10° del “Vocabolario degli Accademici della Crusca”, Le Monnier, 1923, Firenze, dove si cita: “tutte le vie traverse che, partendosi dal Canto delli Iacopi sino alla detta via Ghibellina, andando in sù a mano manca …. “), ma nell’immaginario collettivo popolare esso venne a chiamarsi anche “Canto degli Aranci, proprio a causa della inusuale presenza di un aranceto in città, che la famiglia Iacopi aveva impiantato, accanto al palazzo, nel giardino che dava sulla via Ghibellina (vds. Casini: i Canti di Firenze). Tale canto è stato più volte ricordato dalla letteratura come luogo deputato al ritrovo di “poeti improvvisatori”. L’edificio insieme al giardino, passato poi, nel 1688, ai Fabbrini (famiglia oriunda di Figline Valdarno, per eredità alla morte di ALESSANDRO, ultimo di questo ramo della famiglia), successivamente ai BARSANTI e, quindi, acquistato nel 1835 dai DALLA RIPA, che lo fecero restaurare ed ingrandire su progetto dell’architetto Nicola MATAS. Questo Palazzo, che aveva al suo interno alcuni ambienti decorati con pitture murali, raffiguranti scene della Divina Commedia, verrà abbattuto nel 1960, dopo una lunga diatriba giudiziaria con la Sovraintendenza di Firenze ed il complesso è stato soppiantato, nel 1964, da una anonima palazzina a 5 piani, più attico (fig. 30c), su progetto dell’architetto Rolando PAGNINI, con la collaborazione di Giorgio Giuseppe GORI.

Il Catasto fiorentino del 1427 ci fornisce, inoltre, dei significativi elementi di valutazione. In esso (Allegato F4) troviamo tre “fuochi” degli IACOPI, con un reddito complessivo stimato sotto i 7 mila fiorini (NOFRI di NOFRI di GIOVANNI ? e TOMMASO di GIOVANNI, capostipite degli IACOPI di S. Giovanni - Gonfaloni del Lion d’Oro e delle Chiavi, e GIOVANNI di Leonardo di Giovanni, che abita nel Quartiere di S. Croce sotto le insegne del Gonfalone del Lion Nero). Nel particolare: NOFRI di NOFRI e TOMMASO di GIOVANNI IACOPI, che abitano, appunto, nel quartiere di S. Giovanni, risultano rispettivamente con una imposta di 324 e 257 fiorini su un totale rispettivo di 492 e 507 fiorini di reddito complessivo denunciati al catasto. TOMMASO di Giovanni, fabbro di 48 anni, paga al fisco fiorentino meno tasse di NOFRI, in quanto risulta avere un carico di famiglia di nove bocche, ovvero moglie e sette figli e vivere in affitto. Da parte sua, NOFRI ha 29 anni e risulta, dai documenti, essere celibe; La situazione di GIOVANNI di Leonardo, lanaiolo di 40 anni, appare, invece, decisamente più agiata e, con una imposta complessiva di poco inferiore ai 4 mila fiorini, presenta una posizione economica medio alta nel contesto fiorentino. Egli, come sopra evidenziato, risulta abitare in casa di proprietà nel quartiere di S. Croce ed, a fronte di un imponibile totale di 6.377 fiorini, paga una tassa decisamente molto più alta, pari a 3.953 fiorini  (una deduzione di 2474 fiorini), sebbene anch’egli abbia un carico di famiglia di nove bocche (moglie più sette figli) (vedi anche nota a pag. 31 di “Tornabuoni: una famiglia fiorentina alla fine del Medioevo” di Eleonora Plebani, 2002).

Vale la pena di sottolineare che, nel catasto del 1427, solo l’1,4% delle famiglie fiorentine possedeva un reddito superiore ai 10.000 fiorini (appena 137 su un totale di 9821). Nel 1427 gli individui registrati al catasto fiorentino erano complessivamente 37.246) (Allegato F5 - Allegato F6).

Dalla metà del 1400 e gli inizi del 1500, gli IACOPI conseguono il loro massimo fulgore politico ed economico, entrando nelle attività bancarie e finanziarie e disponendo di palazzi in città, di attività commerciali in patria ed all’estero e di numerose proprietà, fra cui terreni e per certo, una villa in campagna sulle colline in riva sinistra dell’Arno. La prima villa di proprietà risulta nel corso del 1500 e si riferisce alla Villa ai Fossi, posta sui piani che vanno da Soffiano a Scandicci in località Lastrico (area viciniore alla fermata Arcipressi della tramvia per Scandicci). Agli inizi del 1600 gli Iacopi vendono la precedente costruzione e con ALESSANDRO di LORENZO di BERNARDO, acquisiscono un’altra proprietà, in località Balatro Rosso, con una villa spaziosa posta nella vicina Picille (Fig. 31 e 31a), in posizione dominante, nella zona collinare a sud dell’Antella, in riva sinistra dell’Arno (pag. 201 de “Le Ville al di là dell’Arno” di Lensi Orlandi Cardini Giulio Cesare e pag 351 de “I Dintorni di Firenze: Sulla sinistra dell’Arno” di Carocci Guido, Galletti e Cocci, 1907). (fig. 32, 32a, 32b e 32c). Dal libro del Carocci si evince inoltre che, alla morte del già citato ALESSANDRO, ultimo della suo ramo, questi lascia la proprietà del Balatro Rosso e la sua villa di Picille alla Congregazione dei Buonuomini di S. Martino a Firenze (una associazione caritatevole fiorentina, destinata ad aiutare i nobili in difficoltà economiche, che aveva la sua sede nella piazzetta nei pressi della casa di Dante Alighieri).

In effetti, verso la metà del 1400, la famiglia Iacopi entra in forze nella politica cittadina: ZANOBI o ZENOBIO di Giovanni di Leonardo ricopre per ben due volte la carica di Priore per il Quartiere di S. Croce nel 1450 e nel 1455 e verso la fine del secolo un GIOVANNI di Bernardo di Giovanni di Bernardo godrà di un prestigio tale da essere eletto fra i Priori del Quartiere di S. Croce per ben 4 volte, nel 1489, 1498, 1503 e 1513 (nel 1462 era già stato eletto, ma non insediato, perché troppo giovane), mentre altri della famiglia, come GIROLAMO di Giovanni di Leonardo, nel 1444; GIULIANO di Giovanni di Zaccaria nel 1444, 1447 e 1450; IACOPO di Giovanni di Zaccaria nel 1452; ZACCARIA di Giovanni di Zaccaria di IACOPO, nel 1453; BUONACCORSO di Giovanni di Zaccaria nel 1454; FRANCESCO e CARLO di Giovanni di Zaccaria nel 1455; MANETTO di Girolamo di Giovanni, nel 1466; GIROLAMO di Francesco di Girolamo nel 1518 e GIROLAMO di Leonardo di Girolamo nel 1522, pur estratti dalle borse, non potranno essere eletti a Priore, perché al di sotto dei 30 anni, senza, peraltro contare gli altri numerosi membri della famiglia che entreranno a far parte dei Gonfalonieri di Compagnia e del Consiglio dei Buonomini o dei 200

Con la ricchezza ed il potere arriva anche il prestigio e la famiglia inizia ad essere considerata come “nobile”, fatto peraltro testimoniato, sicuramente a partire dal 1400, dal loro privilegio della sepoltura in chiesa. In effetti già intorno al 1450 ZANOBI di Giovanni di Leonardo di Giovanni, sopra indicato, viene citato in dei documenti come “Nobilis Vir”. In effetti, alla pag. 110 del libro di G. Giacomelli ed Enzo Settesoldi su “Gli Organi di S. Maria dei Fiore a Firenze, sette secoli di storia dal 1300 al ‘900”, pubblicato a Firenze da Olschki nel 1993, viene citato un documento della metà del 1400, dove Jacopo di Guccio di Raniero di Geri Ghiberti e Zanobius Johannis Leonardi Iacopi, suddetto, facenti parte di una commissione per le opere della Cattedrale, vengono qualificati come Nobiles Viri. Proprio nello stesso periodo i discendenti di GIOVANNI di LEONARDO otterranno il privilegio di un sepolcro nella chiesa principale del loro quartiere, quella di Santa Croce (fig. 33).

In sintesi, dalla fine del 1300 agli inizi del 1500, la famiglia, inurbatasi nella città del Giglio dalla montagna del pistoiese, riesce a ricoprire tutte le cariche ufficiali del potere fiorentino ed attraverso i suoi membri, iscritti (Allegato F3) a 3 delle 7 Arti Maggiori (Giudici e Notai, Seta e Lana) ed a 2 delle Arti Minori (Chiavaioli e Fabbri), raggiunge una posizione preminente, sia nel campo politico, sia in quello economico, mentre la sua consacrazione definitiva avverrà verso la metà del 1400 quando parte dei suoi membri verranno ascritti anche all’Arte Maggiore del Cambio (banchieri e cambiavalute). In effetti, proprio dalle attività proto industriali del ramo di LEONARDO di Giovanni di Iacopo di Pugio ?, avverrà quella accumulazione di capitale, che consentirà successivamente alla famiglia di poter intraprendere nelle attività finanziarie. Ecco, quindi, che GIROLAMO di Giovanni di Leonardo diventa il 1° membro della famiglia nell’Arte del Cambio di cui, nel 1468, diviene persino il Console ed il suo esempio sarà seguito dai suoi numerosi discendenti diretti, specialmente FRANCESCO e MANETTO. Anche uno dei nipoti di Girolamo, LORENZO di Bernardo di Giovanni, il cui genitore aveva continuato nella attività laniera, intraprende l’attività di cambiavalute e di banchiere, mentre il fratello GIOVANNI di Bernardo di Giovanni risulta iscritto all’Arte di Por Santa Maria (da “Mercato della seta del 1400” a Firenze di Sergio Tognetti). Nella seconda metà del 1400 gli IACOPI entreranno a far parte del Collegio della Mercanzia, quello che era, per la Firenze del Rinascimento, l’attuale Confindustria per l'Italia. In sostanza, l’istantanea economica famiglia, fissata nel catasto fiorentino del 1427, fotografa esattamente il momento della crescita ed accumulazione di capitale del ramo di GIOVANNI di Leonardo, proprio qualche anno prima che la stessa inizi a gestire in proprio delle attività finanziarie.

Nonostante che nel 1473-74 la fortuna della famiglia subisca un primo rovescio finanziario (in effetti nel corso dell’anno, secondo le “Ricordanze dal 1433 al 1483: la memoria familiare” di Ugolino di Nicolò MARTELLI, risulta che un ramo degli IACOPI, che possedeva una compagnia, il GIROLAMO IACOPI sopra ricordato, dichiara fallimento), agli inizi del 1500 la famiglia IACOPI vive, in ogni caso, il periodo di maggiore splendore, illustrandosi in opere di beneficenza e di mecenatismo e spostando, prima del 1503, GIOVANNI di Bernardo di Giovanni di Leonardo il sepolcro di famiglia (fig. 34) in una cappella acquisita nella Chiesa del viciniore antico Convento cistercense del Cestello (poi Convento e Chiesa di S. Maria Maddalena de’ Pazzi), in via Borgo Pinti 58 (fig. 35 e 35a), più volte beneficato dagli Iacopi ed, in special modo, nel 1628-29. In effetti, sotto tale data si verifica un evento singolare: le Monache carmelitane del Monastero di S. Maria degli Angeli d’Oltrarno, scambiarono il loro convento e chiesa con i monaci cistercensi del Cestello di Borgo Pinti, dove traslarono anche il corpo di S. Maria Maddalena de’ Pazzi, morta nel 1607 e canonizzata nel 1622. Le monache carmelitane denomineranno il nuovo monastero, inizialmente S. Maria degli Angeli e, poco dopo, lo intitoleranno a S. Maria Maddalena de’ Pazzi. Gli Iacopi, come le altre famiglie maggiorenti del rione, contribuiranno grandemente alla nuova sistemazione delle monache suddette. I monaci cistercensi, dal canto loro, nello spostarsi Oltrarno, porteranno con loro il nome del Cestello, che oggi risulta legato alla chiesa di S. Frediano d’Oltrarno. Risulta dai documenti che di questa cappella di famiglia in S. Maria Maddalena de' Pazzi era stata iniziata la costruzione, intorno al 1489, per la famiglia MASCALZONI, in occasione della ristrutturazione della chiesa e, nell'estate del 1503, fu acquistata da GIOVANNI di Bernardo Iacopi suddetto, che l'ha, poi, adattata come sepolcro di famiglia per sé, sua moglie Tancia o Costanza (1488 -1523) di Averardo di Antonio di Silvestro di Ser Ristoro di Figline Valdarno (la famosa famiglia fiorentina dei SERRISTORI) e per i discendenti suoi e di suo fratello LORENZO di Bernardo. A tal fine, Giovanni farà costruire una vetrata colorata (fig. 36 e 36a) con lo stemma di famiglia da apporre alla finestra della cappella e farà abbellire le colonne di ingresso con lo stemma degli IACOPI (il cinghiale rampante di nero fasciato d’argento, in campo d'oro), a sinistra (fig. 37) e lo stemma dei SERRISTORI (blu, alla fascia d'oro, fra tre stelle dello stesso, poste 2 e 1 ed accompagnata in capo dal simbolo dei Guelfi: un rastrello di 4 pendenti di rosso, inframmezzato da tre gigli d’oro) (fig. 38), a destra e farà porre nella crociera della volta un ulteriore stemma degli Iacopi (fig. 39). Inoltre, secondo il critico Luciano Berti, lo stesso personaggio incarica il famoso pittore fiorentino, Andrea d’Agnolo VANNUCCHI detto del SARTO, di preparare il disegno per la realizzazione della pietra tombale in intarsio di marmo (fig. 40). Infine, intorno al 1550, il predetto GIOVANNI di Bernardo risulta titolare di una azienda di vendita al dettaglio di tessuti. (pag. 14, 156, 158, 159 di “Da Figline a Firenze: ascesa economica e politica della famiglia Serristori”, di Sergio Tognetti, Opus Libri, 2003). Da ultimo, per completezza di informazione, risulta che la Cappella Iacopi in S. Maria Maddalena de’ Pazzi fosse all’epoca decorata con una pala d'altare di Lorenzo (d'Andrea di Oderigo) di CREDI (fig. 40a), commissionata e pagata da Filippo MASCALZONI ed acquistata nel 1503, insieme alla Cappella, dagli Iacopi e che rappresentava una Madonna col Bambino fra i Santi Giuliano e Niccolò (fig. 40b). Della tavola, oggi rimane nella cappella solo una predella, con gli stemmi IACOPI e SERRISTORI, un Angelo, un Cristo risorto ed una Madonna (fig. 40c, 40d e 40e). L’opera è stata trafugata a Parigi dalle truppe napoleoniche nel 1810-12 e si trova oggi, come tante altre opere italiane portate via dai Francesi, conservata al LOUVRE. La tavola del Di Credi è stata surrogata da una pala d’altare di Matteo ROSSELLI, rappresentante lIncoronazione della Vergine da parte della Trinità. (fig. 40f). In ogni caso, sembra accertato che, al momento dell’estinzione del ramo della famiglia IACOPI, il sepolcro sia passato alla famiglia fiorentina dei PUCCI.

 

Fig 40b: Madonna col Bambino fra i Santi Giuliano e Niccolò.

 

Per quanto concerne il Convento di Santa Maria Maddalena, beneficato dalla casata, esso è certamente da identificare con quello, tuttora esistente, di Santa Maria Maddalena de' Pazzi in Borgo Pinti, a Firenze, (fig. 41)

In realtà, a Firenze, esisteva, effettivamente, un altro Convento con lo stesso nome che, però, si trovava in via S. Gallo ed era meglio conosciuto con il nome di S. Pietro in Morrone, perché era tenuto dai padri Celestini (da Papa Celestino V. al secolo Pietro da Morrone, L'uomo del "gran rifiuto" dantesco) (12).

Due fatti confermano che il Convento in questione era appunto quello di Borgo Pinti: uno per la sua relativa vicinanza al Rione di Santa Croce e secondo perché l'Ademollo, nella sua opera ne fa specifica menzione alla pagina 1015 del suo terzo volume. Comunque sia, l'origine del nome di questo Convento ha a che fare, come per quello di Via S. Gallo, con "donne di mondo". La sua fondazione risale al 1257 ed era intitolato a “S. Maria Maddalena delle Convertite”. Si trattava, infatti un Conventino riedificato nel luogo dove già esisteva una casa di accoglienza per donne di malaffare "repenitenti, convertite o pentite" le quali, allontanatesi molto dalla via dell'onestà ed essendo state espulse dalle loro famiglie, erano state raccolte costì. Esse seguivano la regola di S. Benedetto. Il Davidsohn ci dice che "esso fu fondato nel 1240 dai fedeli fiorentini, fuori Porta S. Piero, al di là della seconda cerchia di mura per le donne “ripentute” di Pinti (sembra, persino, che il nome della vicina porta cittadina - Pinti - sia derivato per corruzione di Pentite) e fu consacrato alle penitenti di Santa Maria Maddalena" (Vol. II, pag. 628). Si trattava, pertanto, di un Convento di monache "rinchiuse". Lo stesso Davidsohn (vol. VII, pag. 84) ci dice che nel Convento, nel 1261, risuonavano le preci delle penitenti ma, col tempo, questo fervore religioso andò, via via, scemando tanto che la scarsa volontà di penitenza ed anche solo di "buoni costumi" costrinse il Vescovo Antonio Degli Orsi o dell'Orso a prendere drastici provvedimenti. Nel 1319, infatti (Ademollo: vol. III, pag. 1015), il Vescovo di Firenze sottopose il piccolo convento alla giurisdizione dei Vallombrosani di Santa Maria di Crispino ma "poco piacendo alla Repubblica la libertà presasi da questo Vescovo, Firenze, nel 1322, concedette questo monastero ai Monaci Cistercenci di S. Salvatore di Badia a Settimo, i quali erano molto in concetto presso il Comune, avendo essi tolto vari Camerlenghi del pubblico, e dato ad essi in custodia il sigillo della Repubblica. Questi monaci si riservarono un solo Ospizio cedendo il restante del Convento alle monache di Santa Lucia a Montisoni che vi permasero fino al 1442. In quell'anno Papa Eugenio IV, desideroso che i Cistercensi occupassero la struttura, spostò le Suore a S. Donato a Torri o S. Donato in Polverosa, nella zona di Novoli (Convento, questo, in precedenza degli Umiliati). Questo Ospizio, ovvero lo "Spedale a Pinti" è citato sia da Dante Alighieri, nella LXXVI Rima, in risposta a Forese Donati (A lo spedale a Pinti ha' riparare), sia da giovanni Villani, che ricorda come nel 1260 da qui venivano i buoi che trainavano il vessillo fiorentino diretto alla battaglia di Montaperti. Rimasto libero il Convento i Fiorentini, a partire dal 1481, danno inizio ai lavori di ristrutturazione del convento e dal 1492 al 1530, intervengono, anche nella Chiesa attigua, con radicali lavori di restauro, su progetto di Giuliano da Sangallo, facendogli assumere la forma attuale, con l'innovativo quadriportico in stile ionico, antistante alla chiesa. L'interno viene armoniosamente arredato, in questo periodo, da pale d'altare di artisti di primissimo piano, quali Sandro Botticelli, il Perugino, Domenico e Ridolfo del Ghirlandaio, Lorenzo di Credi e Raffaellino del Garbo, che saranno inesorabilmente trasferite altrove, e successivamente in parte disperse all’estero, a seguito della ristrutturazione sei-settecentesca (oggi sparse nei musei di Firenze, Parigi, Monaco e San Pietroburgo). Questi lavori furono resi possibili - ci dice l'Ademollo - "mercé le generose sovvenzioni dei Pucci, Del Tovaglia, Rucellai, Attavanti, Nerli, Gaetai, Giovanni IACOPI, Strozzi e Guiducci". Nella Sala Capitolare del Convento si può tutt'oggi ammirare un famoso affresco del Perugino, commissionato nel 1493 e completato il 20 aprile 1496, rappresentante Cristo in croce con la Maddalena ed i Santi. Ancora dal Davidsohn (Vol. VII, pag. 117) leggiamo una curiosità relativa a questo convento: nel settecento vi si conservavano alla venerazione dei fedeli n. 24 capelli della Vergine, oltre ad un pò di fieno della mangiatoia di Betlemme !!!!!.

Il nostro convento, infine, nel 1628, viene dunque, venduto in permuta alle monache di S. Frediano. Queste, monache carmelitane, le “Nostre Sorelle bianche”, avevano avuto inizio nel 1450 da Innocenza Bartoli, Anna Davanzati, Sara Lapaccini e sua figlia Maddalena. Nel 1479 avevano cominciato a vivere in comunità in Santa Maria degli Angeli in Borgo S. Frediano e si erano acquistate fama di grande santità, specialmente dopo la morte di S. Maria Maddalena de' Pazzi, che visse tra loro e che da lei il convento ebbe il nome definitivo. L'acquisto del Convento in Borgo Pinti si dovette all'opera di due monache, nipoti di Papa Urbano VIII, le quali ricorsero allo zio, affinché permutasse il loro vecchio convento, divenuto malsano per la vicinanza dell'Arno ed angusto per il numero delle suore. Se ne interessò difatti il loro fratello Cardinale Francesco Barberini ed al suo ritorno dalla delegazione di Spagna, contrattò con i monaci di Santa Maria Maddalena una permuta di convento a condizioni per essi vantaggiosissime. Da allora rimasero nel Convento, a meno della parentesi della soppressione napoleonica degli ordini religiosi, le monache Carmelitane che, come detto, intitolarono il Convento alla loro consorella Maria Maddalena de' Pazzi.

Per quanto attiene, invece, alle meritorie opere di mecenatismo della famiglia, ne vanno ricordate alcune che hanno lasciato tracce nella Storia dell’Arte e che sono ricordate anche dal VASARI nella sua monumentale opera. Innanzitutto la famiglia IACOPI aveva una predilezione per la pittura ed annoverava, fra i suoi pittori preferiti, Andrea d’Agnolo VANNUCCHI, detto del SARTO (Firenze, 16 luglio 1486 - 21 gennaio 1531), Ludovico BUTI (1550/60 - 9 ago. 1611) e Cristofano di Alessandro ALLORI (Firenze, 1577 - 1621), e Giovanni MANNOZZI detto Giovanni da S. Giovanni (Valdarno 1592-1636 Firenze), oltre, al pittore Lorenzo di Andrea di Oderigo di CREDI (1459-12 gennaio 1537).

Nel 1520 circa, il banchiere LORENZO di Bernardo, che nel 1498 era entrato a far parte del Consiglio dei 200 a Firenze (pag. 457 del vol. 2° di “Storia Fiorentina” di Benedetto Varchi), aveva commissionato al celebre pittore fiorentino Andrea d’Agnolo VANNUCCHI detto del SARTO (perché figlio di un sarto), una Madonna, per il loro palazzo di famiglia e che oggi avrebbe dovuto trovarsi nel Museo degli Uffizi di Firenze. Leggiamo dalla biografia del BUTI che: “Avendo a quei tempi quelli della famiglia Iacopi donato al Granduca il bellissimo quadro della Madonna di mano di Andrea del Sarto, che oggi si vede nelle stanze della Real Galleria, che si chiama Tribuna ed essendo stato fermato (sic), che oltre al pattuito prezzo, dovessero gli Iacopi averne una copia di mano di un maestro a loro piacimento Nella stipula del contratto era stato pattuito che gli Iacopi ne potessero fare una copia per la mano di un maestro a loro piacimento …”, che fu poi individuato nella persona di Ludovico BUTI (della scuola di Santi di Tito (1536-1603), che aveva esordito come aiuto di Alessandro ALLORI (1535-1607)). In effetti, il Buti fece molte altre copie della stessa opera, che andarono poi in proprietà a diversi cittadini di Firenze ed una, in particolare, alla famiglia de’ TEMPI (da pag. 36 di Baldinucci Filippo “Notizie di professori di disegno da Cimabue, arricchita da notazioni ecc.” Libro 1°, tomo 9°, relativo alla voce Ludovico Buti). Citato anche in “Professori di disegno da Cimabue in qua”, vol. 1° di Baldinotti Filippo e Francesco Saverio e Ranalli Ferdinando, edizione 1974). Questa Madonna, dopo il 1537, venne “spintaneamente” donata (altri autori, pochi invero, dicono “venduta”) dalla famiglia Iacopi al Granduca Cosimo 1° de’ Medici, probabilmente per ingraziarselo in quei difficili momenti e questi, avendola particolarmente apprezzata, decise di porre il dipinto fra le opere del suo studio personale, che aveva sede nella Sala ottagonale degli “Uffizi” detta la Tribuna del Buontalenti. La Madonna, entrata a far parte delle collezioni dei Medici, è diventata successivamente patrimonio dello Stato nella Galleria degli UFFIZI di Firenze. In particolare, quest’ultima opera, citata nell’inventario degli Uffizi, subito dopo l’Unità Nazionale, è scomparsa dopo il 1944 e nessuno è in grado di dirmi dove sia finita !!!

Nel 1523, La famiglia Iacopi commissiona ad Andrea d’Agnolo del Sarto, che era diventato il pittore di famiglia, la famosa Madonna della Scala (fig. 42), che oggi si trova al Museo del PRADO a Madrid. (Allegato F7). Leggiamo dal Vasari che Andrea del Sarto aveva appunto realizzatoun quadro a Lorenzo Iacopi (fratello di Giovanni) ancora, molto di grandezza maggiore che l'usato, dentrovi una Nostra Donna a sedere con il putto in braccio, e cosí due altre figure che l'accompagnano, le quali seggono in su certe scalee che di disegno e colorito son simili alle altre opere sue”. L'opera era stata, in effetti, commissionata dal banchiere LORENZO di BERNARDO Iacopi, elemento che spiega la presenza nella sacra rappresentazione di San Matteo, patrono della sua professione, proprio perché l’Apostolo era stato, prima della chiamata tra gli seguaci di Gesù Cristo, esattore delle tasse per l’Impero romano (Matteo 9, 9). Nel 1605, a seguito di difficoltà economiche incontrate dalla famiglia, una vedova Iacopi, non meglio identificata, vende il quadro del Del Sarto, per 10 scudi d’oro, al Duca Vincenzo 1° GONZAGA di Mantova (fig. 42a), nella cui collezione rimane fino a poco prima della caduta della dinastia. Di fatto, il quadro, che risulta in un inventario del 1626 delle opere d’arte della Celeste Galeria dei Gonzaga, viene successivamente venduto, intorno al 1627 (insieme a molti altri quadri della sua collezione, Veronese, Raffaello, ecc.), dal Duca Vincenzo 2° GONZAGA (fig 42b), al re Carlo 1° STUART d’Inghilterra (re dal 1625 al 1649) (fig. 42c) e nel periodo successivo, dopo l’esecuzione del re da parte di Sir Oliver CROMWELL (fig. 42d) l’opera viene alienata in asta pubblica ed acquistata dal colonnello inglese William WETTON per 230 Sterline. Fra il 1650 ed il 1655 (data del rientro in Spagna dell’ambasciatore spagnolo), la Madonna viene acquistata, per 300 sterline, dall’ambasciatore spagnolo presso la corte di S. Giacomo, Don Alonso de CARDENAS, per ordine del 1° Ministro spagnolo (1643-61), Don Luis MENDES de HARO GUZMAN y SOTOMAYOR (Valladolid 1598 - 1661 Madrid; 6° Marchese del Carpio, 3° Duca de Olivares e Grande di Spagna) (fig. 42e), per farne omaggio al re Filippo 4° d’ASBURGO (re dal 1621 al 1665) (fig. 42f), che, a sua volta, la destina alla sua residenza dell’ESCORIAL. L’opera passa quindi ai suoi legittimi successori e nel 1819 la Madonna viene, infine, trasferita al Museo del PRADO di Madrid, proveniente dal Monastero dell'Escorial.

 


Fig. 42: Madonna della Scala

 

Oggi la Madonna è esposta nella Sala 49 del piano terra del Prado, nella sezione dei pittori italiani dal 1300 al 1600. Per questa Madonna, che è uno dei capolavori di Andrea del Sarto, vale la pena riportarne alcuni elementi riferiti alla descrizione ed allo stile dell’opera: “Alla sommità di alcuni gradini, da cui il nome tradizionale dell'opera, Maria sta in ginocchio e tiene il Bambino, mentre con una mano si regge il velo gonfiato dal vento. Ai suoi piedi stanno San Matteo ed un angelo, mentre in lontananza, nello sfondo, si intravedono una donna di spalle che cammina con un bambino (Elisabetta e Giovannino in fuga dalla strage degli Innocenti) e una città fortificata tra le colline. La struttura del dipinto riprende la classica forma piramidale, con numerose citazioni da Raffaello e Michelangelo. La Vergine col velo ricorda ad esempio la madonna di Foligno di Raffaello, mentre la monumentalità del San Matteo ricorda le figure di Michelangelo nelle lunette della Cappella Sistina; le citazioni però non sono mai pedisseque e appaiono amalgamate sapientemente nell'equilibrato stile dell'artista”.

Come abbiamo visto in precedenza, qualche anno prima, nel 1503, gli Iacopi,  con GIOVANNI di BERNARDO, insieme alla Cappella di famiglia, avevano acquistato anche una pala d’altare, che i precedenti proprietari avevano commissionato a Lorenzo di Andrea di Oderigo di CREDI e posto  nella Chiesa del Cestello (oggi S. Maria Maddalena de’ Pazzi). In effetti, la cappella, la 3^ a destra entrando, era stata fondata, secondo il monaco BRILLI, da Filippo di Francesco MASCALZONI il 28 marzo 1489, durante i lavori di ristrutturazione della stessa chiesa. Consacrata nel 1491, la Cappella era stata dedicata a San Giuliano, fatto che spiega il soggetto della tavola del Di Credi. L’opera del Di CREDI viene collocata sull’altare della Cappella il 20 febbraio 1493 e riportava appunto come soggetto una Madonna col Bambino fra i Santi Giuliano e Niccolò (vds. fig. 40b). Per l’opera risulta che Filippo MASCALZONI abbia pagato 100 scudi oltre a 40 ducati per la realizzazione della cornice dorata. Agli inizi del 1503 la Cappella viene donata dal MASCALZONI, con tutto il suo contenuto, a Bernardo di Niccolò del BARGIGIA, che, a sua volta, il 12 agosto dello stesso anno, la rivenderà, con tutto quanto in essa contenuto, al dominus, nobilis vir, GIOVANNI di Bernardo IACOPI. GIOVANNI, dal canto suo, effettuerà diversi lavori di riadattamento della cappella, facendo: porre sulle colonne d’ingresso gli stemmi degli IACOPI e dei SERRISTORI (la famiglia di sua moglie); porre in sito sul pavimento la lastra tombale, su disegno di Andrea del SARTO, addobbare la finestra con una vetrata colorata, contenente lo stemma degli Iacopi ed inserire, nella chiave di volta della cappella, uno stemma degli Iacopi in pietra dipinta. Inoltre, egli farà realizzare, come base per la pala del Di CREDI, una predella d’altare, decorata con soggetti religiosi (Annunciazione e Resurrezione) ed ornata con gli stemmi IACOPI a sinistra e SERRISTORI a destra, secondo il costume dell’epoca (rimasta ancora oggi nella Cappella).

L’opera della cappella Iacopi, di cui oggi rimane solo la predella, perché depredata nel 1812 dalle truppe napoleoniche del barone DENON (Dominique Vivant 1747-1825), Direttore del Museo Napoleon (oggi Louvre), che ha organizzato, con il beneplacito di Napoleone, diverse spedizioni nell'Europa imperiale per raccogliere opere d'arte da trasportare nel museo parigino. La Pala, di fatto, risulta oggi conservata al LOUVRE, con annotazioni lacunose e volutamente incomplete circa la provenienza della stessa. In effetti, la scheda segnaletica del LOUVRE fa riferimento ai committenti dell'opera, i MASCALZONI, ma non alla Cappella IACOPI dove la pala d'altare é stata, da sempre, custodita e da dove é stata sottratta e, soprattutto, stende un velo pietoso (“trasportata” in Francia) sugli eventi  “criminosi” (furti sistematici ed organizzati nello specifico nell'Italia sotto dominio francese) che hanno determinato lo spostamento dell’opera a Parigi. Opera mai restituita. Va inoltre soggiunto, per completezza di informazione, che dopo la caduta di Napoleone, nel 1815, l’opera del Di Credi, considerata fra le sue migliori realizzazioni artistiche, farà parte della quota delle opere d’arte che la Francia non ha mai restituito al governo fiorentino degli Asburgo Lorena.

Inoltre, verso la fine del 1500, la famiglia degli IACOPI di S. CROCE commissiona al pittore fiorentino Cristofano ALLORI (figlio del pittore Alessandro e Dianora Sofferoni ed allievo e pupillo di Agnolo di Cosimo detto il BRONZINO (1503-72)) una serie di vedute ad olio per il palazzo in via dei Fossi, oltre ad alcuni disegni che dovrebbero oggi essere conservati presso il Gabinetto dei Disegni degli Uffizi ed, in particolare, il nobile IACOPO di Giovanni di Pierozzo o IACOPO di Giovanni di Iacopo o IACOPO di Girolamo di Giovanni si farà fare un ritratto, che sarà poi mandato in Francia.

Inoltre, un GIOVANNI di BERNARDO Iacopi, risulta aver contribuito per la decorazione della Cappella di S. Bernardo presso la cappella Maggiore della cittadina di Badia a Settimo.

Infine, nel periodo 1610-20, uno IACOPO (di Girolamo ?) Iacopi, mentre ricopriva un incarico a PISTOIA per il Granduca de’ Medici, ebbe ad ospitare nella sua casa il pittore Giovanni MANNOZZI da S. Giovanni Valdarno detto Giovanni da S. Giovanni, al quale aveva commissionato diverse opere (dalle “Vite” del Vasari).

In definitiva, appare certamente non superfluo e giustificato sottolineare con orgoglio come una famiglia, di sicuro non fra le più abbienti e potenti di Firenze, abbia potuto consegnare alla Storia dell’Arte, per la sua sensibilità ed il suo mecenatismo, ben tre opere, che costituiscono oggi parte del patrimonio del PRADO, del LOUVRE e degli UFFIZI, ma anche dell’Umanità, a disposizione per essere ammirate da tutti i visitatori del mondo.

Con l’agiatezza economica ed il prestigio acquisito nella città e nel circondario ecco schiudersi per la famiglia, nel corso del 1400 e nel secolo seguente, la possibilità di avere incarichi di prestigio e di fiducia da parte del potere nell’ambito del dominio territoriale di Firenze. Ecco dunque che numerosi personaggi degli IACOPI vengono nominati Vicari del Governo mediceo, Capitani del Popolo, Capitani di Giustizia, Camerlenghi Generali o Amministratori di città, Podestà, Depositari o Fiduciari del Governo, Commendatari, ecc.. Fra questi giova ricordare:

GIOVANNI di CECCO o FRANCESCO di IACOPO, ambasciatore nell’aprile 1370 a BOLOGNA e nel 1372 Gonfaloniere di Giustizia;

GIOVANNI di Ser GIOVANNI, ambasciatore nel giugno 1389 a Giovanni Acuto;

LORENZO di Bernardo di Giovanni, dal novembre 1456 al maggio 1457, ricopre la carica di Vicario di S. MINIATO al Tedesco (oggi S. Miniato al Monte, Vicariato formato dalle Podesterie di S. Miniato, Vinci, Montabone, Fucecchio, S. Maria in Monte e Castel Fiorentino);

GIROLAMO di Giovanni di Iacopo, risulta Podestà dell’anno 1470 della Podesteria del castello di Lari, nel Pisano.

ZACARIA o ZACCARIA di Giovanni di Zaccaria nel 1470, viene nominato Camerlengo Generale della Città di AREZZO (Capitanato di Arezzo, composto da Arezzo e Contado e Podesteria di Civitella). Quest’ultimo incarico è particolarmente importante soprattutto per i rilevanti riflessi e possibili e probabili collegamenti con gli attuali Iacopi del Casentino e dell’Umbria.

ZANOBI o ZENOBIO di Giovanni di Leonardo Iacopi ricopre nel 1471, la carica di Capitano del Popolo e di Giustizia a Campiglia Marittima (Capitanato composto dalle Podesterie di Campiglia e di Bibbona) (fig. 43) e nell’aprile 1477 viene nominato Capitano di Giustizia di Castrocaro (Capitanato di Castrocaro, composto dalle Balie di Castrocaro, Zuola, Montecchio, Converselli e Salutari) nella Provincia Tosco - romagnola.

FRANCESCO di Girolamo Iacopi dal 1498 al 1502 ricopre la carica di Camerlengo di Scarperia (Vicariato del Mugello composto dalla Lega di Taglia Ferro, e dalle Podesterie di Scarperia, Borgo S. Lorenzo, Barberino, Vicchio, Dicomano, Carmignano, Campi, Fiesole e Sesto Fiorentino) (Inventario preunitario dell’Archivio del Comune di Scarperia (sec. 15°-1865 vol. 11°, Vanna Arrighi, 1991 e di Mario Parlanti, Pacini, 1999).

GIOVANNI di Bernardo di Giovanni di Leonardo Iacopi, nel dicembre 1497 e nel dicembre 1504, è nominato Vicario e Capitano di Giustizia del Valdarno Superiore.

GIOVANNI di Bernardo di Giovanni, di Bernardo ?, nel 1505 risulta Commissario di Castrocaro (da Adriani: Istorie de’ suoi tempi); nel 1515 ricoprirà anche la carica di Podestà di Pistoia (Fig 43a). Egli nel 1498 era stato eletto anche Console dell'Arte della Seta.

LORENZO di Bernardo di Lorenzo Iacopi, ricopre dal 30 novembre 1546 al 19 maggio 1547, l’incarico di Vicario di LARI (formato dalle Podesterie di Lari, Palaia, Peccioli, Rosignano e Pontedera) e lascerà l’incarico a Francesco di Daniele Canigiani.

LORENZO di Bernardo di Lorenzo risulta, da una lettera di Cosimo 1° de’ Medici del 1° aprile 1550, Capitano di Giustizia di Montepulciano (Capitanato di Montepulciano);

BERNARDO di Lorenzo IACOPI é inviato dal 31 luglio all’8 agosto 1552, come Capitano di Giustizia in Cortona (Capitanato composto da Cortona con i suoi Comuni e la Val di Pierle e le Podesterie di Castelnuovo, Ripomarance, Monte Castelli, Sasso, Monteverdi e Querceto). Da pag. 188, 199 e 438 di “Carteggio universale di Cosimo 1° de Medici. Inventario”, Bellinazzi Anna, Giamblanco Concetta, Lamioni Claudio, Toccafondi Diana, a cura della Giunta Regionale Toscana, 1982, Archivio di Stato di Firenze.  

BERNARDO di Lorenzo IACOPI, sempre in due lettere di Cosimo 1° de’ Medici del gennaio-febbraio 1555, risulta Commendatario di Castrocaro (anche da pag. 523 delle “Storie di Firenze” dell’Adriani);

URBANO IACOPI appare, dopo il 1560, nell’incarico di Ambasciatore di Francesco 1° Sforza presso il Papa a Roma. Dalle pag. 83, 116 e 117 di “Francesco 1° Sforza” di Ermolao Rubieri, Lemonnier 1879.

IACOPO Iacopi, nobile fiorentino, nel 1610-1620, ricopre l’incarico di “Depositario” del serenissimo Granduca di Toscana in Pistoia ed in tale periodo ebbe rapporti con il pittore Giovanni da S. Giovanni o Giovanni Mannozzi da S. Giovanni da Valdarno (1592-1636), al quale ordinò diversi lavori (informazioni desunte dal Vasari).  Iacopo viene ricordato anche alle pagine 56 ed 83 del libro “Dal Baroccio a Salvator Rosa” di Filippo Baldinucci, Guido Belletti e Franco Croce.

In un documento del 25 febbraio 1630: (pag. 109 delle Carte Strozziane dell’Archivio di Stato in Firenze ASF. Inventario serie 1^, vol. 1°, (Sovrintendenza degli Archivi Toscani) ANTONIO Iacopi effettua una descrizione di quattro contrade di Firenze: “Sesto di S. Croce, contrade: n. 13, S. Stefano; 12, Sanità ad Arno; 8, Piazza del Grano; 7, corso de’ Tintori. Descrizzione fatta delle sopradette quattro contrade a dì 25 febbraio 1630 per me …Antonio Iacopi.; e si sono notate le infrascritte cose, cioè numero delle case e delle famiglie, delle …). Egli è nuovamente ricordato in un documento del 25 febbraio 1639 (pag. 109, Vol. 1° delle Carte Strozziane dell’ASF).

In realtà, esaminando bene gli incarichi ricevuti dalla famiglia nel periodo sopra citato e le date relative alle cariche ricoperte, ci si accorge che, nonostante la famiglia Iacopi, nel suo complesso, emani ancora un certo fulgore verso la metà del 1500, qualche crepa inizia ad apparire e credo che la causa più importante di tutto questo debba essere ricollegata alle vicende politiche fiorentine della fine del 1400 - inizi del 1500. Con la cacciata dei Medici da Firenze, a seguito della rivoluzione del Savonarola, alcuni dei rami della famiglia Iacopi, in maniera autonoma, hanno presso posizione più o meno aperta pro o contro i MEDICI e la cronaca di Firenze (Ademollo) del 1504 ci riporta, ad esempio, che un non meglio precisato ANTONIO Iacopi, viene ucciso dalla fazione dei Vitelleschi che, notoriamente, appoggiava i Medici, in quanto da loro finanziati. Sta di fatto che, con la restaurazione del 1530, prima con il Duca Alessandro, ma soprattutto con il Granduca Cosimo, dopo il 1537, dei rami interi della famiglia scompaiono dal panorama politico della città e più precisamente: quello di GIOVANNI di Zaccaria di Iacopo, che pure era imparentato con un ramo dei Medici (di fatto nel 1476 MADDALENA di IACOPO di Giovanni di Zaccaria aveva sposato Lazzaro di Tommaso di Francesco de’ MEDICI) e sotto i Medici, nel corso del 1400, aveva avuto molti importanti incarichi; quello di BERNARDO di GIOVANNI IACOPI, che aveva dato nel 1400 ben 4 Priori e diversi Consoli delle Arti e scompare anche buona parte del ramo di GIROLAMO di Giovanni di Leonardo, che era stato il principale ramo della famiglia implicato nelle attività finanziarie.

In definitiva si potrebbe inferire che buona parte degli Iacopi degli inizi del 1500 potrebbero aver effettuato la “scelta sbagliata”, sia in politica (avvicinandosi forse agli Strozzi contro i Medici) sia, con ogni probabilità, finanziaria, ma spesso, come è noto, le due cose nella vita degli affari non vanno mai disgiunte !!! E quindi probabile che in questo periodo molti rami della famiglia siano andati in rovina, mentre altri si siano trasferiti, col capitale ancora disponibile, nella vicina Repubblica di LUCCA e la Lucchesia o verso lo Stato della Chiesa. Dopo gli anni 1530 sopravvivono a Firenze, ancora in discrete condizioni, solamente un paio di rami dei figli di GIOVANNI di Leonardo di Giovanni e dei loro figli (un misto di mercanti, commercianti e banchieri), ma, nonostante le condizioni economiche apparentemente ancora fiorenti, è già iniziata la parabola discendente della famiglia. Le famiglie superstiti, quelle di BERNARDO di Giovanni di Leonardo e di GIROLAMO di Giovanni di Leonardo, godono ancora una certa fiducia del Granduca, al quale dopo il 1537 gli Iacopi avevano regalato una preziosa Madonna di Andrea del Sarto per ingraziarselo e dal quale continuano per qualche tempo a ricevere importanti incarichi, ma l’aria non è più quella del periodo precedente alla Repubblica Fiorentina.

In ogni caso, il Censimento granducale della Toscana del 1562 ci evidenzia, senza ombra di dubbio, che a quella data le sole famiglie Iacopi censite a Firenze erano quelle del “fuoco” di BERNARDO di Lorenzo di Bernardo Iacopi, con moglie, 3 figli maschi e 4 figlie femmine ed il “fuoco” di IACOPO di Girolamo di Leonardo (o Francesco ?) di Girolamo Iacopi, con moglie, 2 figli maschi e 5 figlie femmine, entrambe nel Quartiere di S. Croce, Popolo di S. Simone (Parrocchia). Per completezza di informazione, occorre dire che dallo stesso Censimento si evince anche il "fuoco" di MAGDALENA di Lucantonio Iacopi, degli IACOPI delle CHIAVI (di S. Giovanni) che, probabilmente vedova, viveva nella sua casa nel Quartiere di S. Giovanni, insieme a due figlie non maritate e rappresentava ormai un ramo in estinzione. I nobili fiorentini, con la politica accentratrice e dispotica di Cosimo, ma anche a seguito di tentativi di congiure, specialmente dopo la congiura dei Peruzzi, subiscono un controllo molto stretto da parte del regime mediceo e sono ormai destinati a diventare dei semplici personaggi d’apparato, completamente esautorati, da utilizzare per magnificare la potenza del sovrano. A tal proposito basta leggere la pag. 106 della “Cronaca 1532-1606” di Giuliano de’ Ricci (Ricciardi, 1972) per rendersi conto a cosa era ormai ridotta la funzione della nobiltà fiorentina (“Il ricchissimo baldacchino con 10 mazze era portato dai “raccomandati” (sic !) e da 50 giovani, fra i quali Vicentio di Antonio Magalotti, Girolamo di Francesco Quaratesi, Nicolò di Carlo Paganelli, Lelio di messer Francesco Torelli, Federigo di Lorenzo Strozzi, LORENZO di Bernardo Iacopi. Dal punto di vista economico, i mercati europei cominciano a globalizzarsi e gli Iacopi e le altre grandi famiglie fiorentine, mentre Firenze ed il Granducato si richiudono progressivamente su sé stessi, non posseggono più le risorse economiche e politiche per sopravvivere alla concorrenza ed alla potenza finanziaria esterna. Anche se le cariche cittadine con Cosimo 1° vengono svuotate di ogni significato e non hanno più alcun valore se non formale, gli Iacopi non riusciranno più, per oltre un secolo, a far eleggere un loro membro fra i Priori, ad eccezione di ALESSANDRO (sposato intorno al 1670 con Maddalena ZATI), nel 1668, e anche se, da un punto di vista economico, la famiglia acquisirà, alla fine del 1500 e secondo la moda del tempo, una villa in campagna, nei territori d’Oltrarno, la decadenza è ormai definitiva ed inarrestabile. In effetti, alla fine del 1600 non si parla più della Casata Iacopi a Firenze e con ogni probabilità o per estinzione del ramo di ALESSANDRO o per esaurimento economico. In ogni caso, al tempo dell’Ademollo (1845), non si riescono più ad avere dati certi e documentabili della presenza della famiglia a Firenze ed anche nel Libro d'Oro della Città di Firenze, successivo al 1752, non si hanno più riferimenti agli Iacopi.

In definitiva, due eventi concomitanti hanno certamente determinato la rapida decadenza economica e politica degli Iacopi:

la disgrazia politica con il regime mediceo di una buona parte dei rami della famiglia, che ha provocato la loro dispersione, in maggioranza nel territorio della libera Repubblica di Lucca (per quelli che erano stati economicamente previdenti!) o, in minor misura, nei territori montani dell’aretino e del finitimo Stato della Chiesa, dove avrebbero potuto godere di maggiore libertà ed iniziativa, soprattutto nel campo dei commerci. Per quest’ultima area si poteva probabilmente contare sull’aiuto un ramo della famiglia Iacopi, probabilmente discendente da ZACCARIA di Giovanni di Zaccaria di Giovanni, e verosimilmente dislocatosi nell’Aretino nella prima metà del 1500 o da BERNARDO di Lorenzo di Giovanni di Leonardomorto proprio ad Arezzo nel 1574;

la crisi economica e politica, determinata dalla crescita dell’economia di scala a livello europeo nel contesto delle Nazioni, dove la Toscana risultava inevitabilmente emarginata e dove la “famiglia” nel suo complesso, avendo già perso parte dei suoi pezzi di valore, non possedeva più le risorse economiche e politiche e forse mentali e morali per continuare competere nel nuovo scenario europeo.

In conclusione, anche gli IACOPI di SANTA CROCE, che godevano il titolo di Miles (Nobili di Firenze) ed erano indicati come Nobiles Vires o Domini, scompaiono da Firenze nel ramo principale in modo repentino a partire dalla fine del 1600, anche se risultava, con certezza, ancora fiorente un loro ramo nella città di PISTOIA, dove erano riusciti ad ottenere l’ambito riconoscimento del titolo di Nobili di Pistoia. (In Allegato G tentativo di ricostruzione genealogica a partire dai dati delle Tratte, mentre negli allegati G1, G2 e G3, breve genealogia degli Iacopi del LION NERO e di S. GIOVANNI).

AVVERTENZA

L’esposizione sin qui condotta sull’evoluzione e la storia della Famiglia IACOPI di S. CROCE e S.Giovanni (appartenenti agli IACOPI di PISTOIA e forse alla Consorteria de’ VENERI), non ci esime, per onestà intellettuale, dall’effettuazione di un esame critico su quanto sopra riportato, per la permanenza di numerosi dubbi sulla genealogia e sulla omonimia di alcuni personaggi citati. Gli aspetti più critici collegati alle fonti sono sostanzialmente connessi con il tentativo di ricostruzione genealogica della famiglia del 1300 (vedasi Allegato G), dove non è ancora documentalmente dimostrato che gli IACOPI di S. Croce, che nel Catasto del 1427 avevano già un cognome ed uno stemma o che comunque risultavano essere registrati al Catasto, derivino con certezza da PUGIO di IACOPO (Jacobi), Gonfaloniere e Priore per S. Pancrazio o da GUGLIELMO di IACOPO (Jacobi), Priore per S. Pancrazio agli inizi del 1300. Non è peraltro escluso, a priori, per una somma di considerazioni sopra esposte, che gli stessi possano derivare proprio da uno dei due rami predetti, per il fatto che, in linea di massima, in una discendenza familiare il cognome veniva assunto proprio in funzione dell’importanza e del prestigio acquisito da un personaggio fra i loro antenati (nel caso specifico un personaggio noto che, come nel caso in esame, aveva rivestito la carica di Priore o di Gonfaloniere di Giustizia). Non risulta altresì provato che il ramo di IACOPO di GUERRIANTE di IACOPO, iscritto all’Arte dei Por Santa Maria e che abitava nel quartiere di S. Maria Novella, possa a sua volta, derivare da uno degli Jacobi predetti. Per contro, il ramo di ZACCARIA di IACOPO, che pure abitava a S. Croce, sotto un diverso gonfalone (quello del Bue), anche se non presente nel catasto del 1427, sembra proprio riconducibile al ramo degli Iacopi, in quanto ZACCARIA di GIOVANNI di ZACCARIA, Camerlengo di Arezzo nel 1470, come suo fratello GIOVANNI di GIROLAMO di ZACCARIA, Podestà di Lari nel 1470, vengono indicati nei documenti dell’epoca come facenti parte della famiglia Iacopi. Essi, tra l’altro, innalzavano come stemma una variante dello stemma familiare, il cinghiale rampante al naturale in campo d’oro. Infine il ramo di TOMMASO di GIOVANNI, indicato dal catasto fiorentino del 1427, pur abitando nel Quartiere di S. Giovanni ed innalzando uno stemma diverso da quello della famiglia, sembra appartenere allo stesso ceppo familiare (figlio del Priore GIOVANNI), proprio perché designato nel catasto con un cognome, estremamente raro a quel tempo.

In ogni caso, il personaggio centrale degli IACOPI di S. CROCE sembra indubbiamente essere proprio il GIOVANNI di IACOPO, Priore nel 1373, designato dal Priorista come “tavoliere”, forse falegname, ma che risulterebbe svolgere anche l’attività di “lanaiolo”. Egli risulta essere il vero progenitore della famiglia di S. Croce, elemento chiave della genealogia degli Iacopi del LION NERO, il cui ramo, anche se preso singolarmente, non solo non inficia quanto sin qui affermato, ma semmai conferma con ogni evidenza, tutte le considerazioni di carattere qualitativo e sociale sopra esposte nei riguardi del complesso della famiglia (suo nipote GIOVANNI, sulla pietra del sepolcro di famiglia in S. Croce farà scrivere “Giovanni Iacopi figlio di Leonardo” a riprova che, a quell’epoca - inizi del 1400 -, la famiglia aveva già un cognome ampiamente consolidato). Il lavoro da effettuare per conferire al tutto una piena solidità documentale appare decisamente immane. Occorrerebbe esaminare le migliaia di documenti relativi ai battezzati presso gli Archivi di S. Maria del Fiore, i documenti delle “portate” e degli estimi, i Documenti sulle sepolture nelle chiese di Firenze del Rosselli e del Sarmantelli presso l’Archivio di Stato di Firenze e numerosa altra documentazione che, per posizione geografica e per tempo disponibile, appare decisamente al di fuori dalla portata e delle attuali possibilità di chi scrive. Sarebbe, in tal quadro, auspicabile l’aiuto dei numerosi studiosi che esistono a Firenze, che possano, per ventura, aver letto queste note. A loro mi rivolgo e lancio un appassionato S O S, nella speranza che mi possano aiutare a portare avanti questo difficile, impegnativo ma entusiasmante lavoro, fatto in omaggio degli amanti della storia locale e, soprattutto, per la soddisfazione di tutti quelli che hanno l’onore di portare questo importante e raro cognome !!

Infine a tutti gli Iacopi, pochi invero, sparsi per l’Italia (meno di 500 individui) e per il mondo (forse altrettanti), rivolgo un caloroso un appello, affinché mi aiutino, se possibile, ad ampliare ed a completare le sezioni relative ai vari rami odierni della famiglia, nell’intento di stimolare in tutti un sano orgoglio di appartenenza, che, nel mondo “globalizzato” di oggi, di certo non guasta !!

 

NOTIZIE SPARSE

1348, TOMMASO di SILVESTRO di GIOVANNI IACOPI inviato in Romania (sic, probabilmente nell’area del Lazio !) come tesoriere del Prenza. BUONAMICO o MICO di Giovanni suddetto, nello stesso periodo, è inviato in Sicilia (Cicilia) per affari. Egli era figlio di Mona (Madonna) DUCCIA di Ser Buonamico VELLUTI (da Storia di Firenze del VELLUTI).

1365 gennaio, frà FRANCESCO IACOPI di Firenze risulta frate francescano a Monte Oliveto.

1379, PIERO di IACOPO, correggiaio;

1417, 6 luglio, don BARTOLO IACOPI risulta teste di un documento, redatto nel popolo di S. Maria degli Angeli a Firenze. Da pag. 170 di “Studi medievali” di Vincenzo Crescini, Filippo Ermini, Pietro Fedeli, Chiantore Editore 1981.

Domina ANGELA IACOPI risulta avere effettuato un versamento in denaro a Prato (Delegazione Storia Patria, Prato, 1973).

un Ser FRANCESCO JACOPI era Podestà di Urbisaglia dopo il 1446;

1500, ad ASSISI risultano abitare GIOVANNI MARIA e FRANCESCO IACOPI (detto il Bello). Francesco risulta anche essere fra i Consiglieri del Comune ed entrambi provengono da una famiglia di notai, oriundi di Firenze.

1611, MARGHERITA IACOPI fa testamento (Archivio Spinelli Firenze).

Un SERAFINO IACOPI risulta Ingegnere per l’amministrazione granducale toscana nel 1700 (da “I disegni degli Ingegneri della Camera di Soprintendenza Comunicativa di Pisa”, vol. 2°, 2001, a cura di Costantino Caciagli e Roberto Castiglia);

un ANTONIO Iacopi, nel 1742, era vescovo di Santa Romana Chiesa;

un ANDREA LORENZO IACOPI nel 1767 risulta essere Pievano della Parrocchia di Doccia (FI);

un JAMES IACOPI risulta censito nella città di Boston negli USA nel 1840;

un Padre francescano minore VINCENZO STEFANO JACOPI risultava nel 1912 nel Convento di Cortona ed è ricordato dallo Jorgensen nella prefazione della sua Storia di S. Francesco;

un LUIGI IACOPI, commerciante di fiori in Uruguay, è ricordato nel 1920 da Horacio ARAUJO VILLAGRAN.

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